Quando il sottosegretario Delmastro parla di “liberticidio” e si attribuisce questa categoria, sostanzialmente per rivendicare le norme portate avanti dal governo Meloni, tra l’altro, sulla repressione delle occupazioni delle case sfitte o abbandonate, non fa che confermare l’ispirazione più genuinamente autoritaria della destra moderna. Una destra che si rifà al costrutto novecentesco e postbellico messo in pratica da un retaggio politico post o neofascista per cui anzitutto viene la forza, la durezza, la mascolina, muscolare fermezza del potere innanzi alle critiche, al dissenso, alle libertà di manifestare entrambi nel pieno dei diritti sociali, civili ed entro una cornice democratica.
Capziosamente, l’MSI di un tempo rivendicava proprio la libertà ritrovata con la caduta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, con l’avvento della Repubblica parlamentare e la fine di ogni autoritarismo, per portare avanti l’argomentazione della legittimità della propria presenza nel voto, nelle istituzioni, nel consesso democraticamente inteso secondo i princìpi costituzionali. Questa ipocrisia, nemmeno tanto latente, spudoratamente esibita, altro non era se non la ridefinizione in chiave leggermente più moderna dell’intuizione avuta ad inizio secolo.
Tanto da Mussolini quanto da Hitler, così come da altri dittatori che, per arrivare al potere avevano utilizzato tutti gli strumenti delle democrazie liberali, approfittando delle congiunture economico-sociali, sfruttando i timori emersi dalle crisi sopraggiunte anche in Europa dopo cinque anni di Grande guerra e, quindi, con la fine del massacro mondiale, l’arrivo di una ondata di destabilizzazione antipopolare e un sommovimento del capitalismo alla ricerca di nuovi, immensi spazi di colonizzazione planetaria. I regimi autoritari non hanno mai fatto mistero del fatto che, una volta raggiunto il potere per via democratica, non lo avrebbero più lasciato.
Lo affermarono tanto Benito Mussolini dalle pagine de “Il Secolo d’Italia” e Adolf Hitler nel “Mein Kampf“: quella che entrambi stigmatizzarono come una debolezza endemica delle democrazie, ossia il permettere di essere influenzate contro la loro stessa volontà per la troppa concessione di quelle libertà civili che dovrebbero regolare anche oggi i diritti di espressione, di pensiero, di partecipazione, riunione e condivisione degli spazi e delle idee, era al tempo stesso la chiave di volta utilizzata per permeabilizzare le dinamiche interne e sfruttarne le contraddizioni dovute alla imperturbabilità dei princìpi a tutela delle libertà singole e collettive.
Il “liberticidio” cui fanno riferimento autorevoli esponenti dell’attuale governo italiano, dunque, non è una boutade volta a raccattare qualche decina di migliaia di visualizzazioni sui social o a far fare pagine di articoli ai giornali: fa parte di una incultura manifesta delle destre meloniane e salviniane, quelle decisamente – e dichiaratamente – conservatrici, che ha come esempi del passato tutti quei passaggi storici che hanno avuto come protagonista la limitazione della libertà nel nome dell’ordine e della disciplina, del “credere, obbedire, combattere“. Sempre nel nome di un patriottismo che Mussolini, con la spudorata sfacciataggine che lo contraddistingueva, rivendicò alla Camera nel discorso del dopo delitto Matteotti.
La Storia del Novecento, tragica e per certi versi apocalittica, tanto per l’Italia quanto per la Germania, ma molto di più per i popoli sterminati e per le decine di milioni di vittime che vi si contano, non è quindi soltanto un periodo da studiare per avere un quadro complessivo degli eventi fino ad oggi; è anche, e forse oggi soprattutto, un metro di paragone tra l’autoritarismo della prima metà del secolo scorso, il post-neofascismo della seconda metà e l’attuale fase di riemersione di un culturame di destra che, pure aggiornandosi agli standard moderni, parlando il linguaggio della disperazione sociale che la sinistra non riesce compiutamente ad interpretare, seduce nella più “vuota banalità” del male.
Il Disegno di Legge 1660 proprio sulla “sicurezza” non fa che rafforzare questa analisi che rimette al centro dell’agire politico del governo Meloni la traduzione repressiva del disagio sociale, delle debolezze e delle tante differenze che, proprio perché oggetto di preconcettualizzazione, sono fatte percepire come minacce: le persone LGBTQIA+ come pericolosa casta che intaccherebbe le certezze familistiche millenarie di un cristianesimo a sua volta unito all’ebraismo nell’essere una storicamente irrintracciabile radice comune per la stessa Europa, per l’Occidente.
E poi: i migranti come pericolo di “sostituzione etnica“, della tanto paventata “invasione” che non c’è mai stata. Il dissenso studentesco, gli scioperi operai e del mondo del lavoro in generale come elementi destabilizzanti per l’ordine pubblico… Mettiamo in fila tutti i decreti e le legislazioni proposte e fatte approvare dal governo e ne si comporrà l’inquietante e davvero orrorifico quadro di una destra che non è tanto distante, nel suo pretendere di essere moderna (e lo è certamente nella capacità di sedurre, di abbindolare e di descrivere una capacità di tutela sociale che non ha e che non vuole avere) avendo bene piantati nella storia dell’eversione postfascista i propri pesanti piedi.
Il 31 ottobre di due anni fa, veniva firmato il primo decreto repressivo: quello cosiddetto “anti-rave“. Nascono nuove leggi che si aggiungono a norme già in grado di arginare i reati previsti, perché la necessità del nuovo governo è quella di mettere a frutto una interpretazione dei rapporti sociali, civili ed umani fondata su una verticalità del potere che include una sorta di Stato etico, di Stato a tutto tondo in cui prima viene la morale della maggioranza e poi, in un regime di assoluta tolleranza (concetto completamente negativo, in questo caso), le altre. Caratterista comune delle nuove leggi è la formulazione di nuovi reati e l’aumento sistematico degli anni di pena.
Appena passati i primi mesi di rodaggio, il governo Meloni nel 2023 approva le “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori“: è il cosiddetto “decreto anti-Ong” che punta ad ostacolare i salvataggi in mare, punendo le organizzazioni umanitarie con multe salatissime, sequestro delle imbarcazioni e, nel caso, approdi lontanissimi dal primo porto sicuro in cui far sbarcare i disperati della Terra. Si tratta, a ben vedere, di un accanimento davvero disumano, contro persone che sono scampate alla morte nelle acque del Mediterraneo e che si vedono trattate come un pericolo imponente per lo Stato italiano, nemmeno fossero un esercito (per l’appunto) invasore.
Nonostante questo, le Ong riescono comunque a salvare, nel biennio 2023-2024, più di 22.000 migranti: sembrano molti ma sono pur sempre una piccola percentuale rispetto al totale delle partenze e degli sbarcati. Si passa quindi dal “blocco navale“, paventato da Giorgia Meloni quando era all’opposizione, ad una serie di blocco del diritto e delle aule dei tribunali: perché i ricorsi contro i provvedimenti delle autorità fioccano e il tutto finisce (o inizia nuovamente) con il fallimento del progetto di deportazione in Albania. Un fallimento palese su tutti i fronti. Ma tant’è, il governo non fa retromarcia e, tanto meno, autocritica.
Libertà civili ancora sotto attacco quando si parla di famiglie omogenitoriali: Piantedosi manda una circolare, sempre ad inizio 2023, in cui sollecita i prefetti della Repubblica ad opporsi all’iscrizione anagrafica nei Comuni dei figli delle coppie suddette. Due persone dello stesso sesso non possono figurare nello stato di famiglia. Anche questa è una misura che non ha altro scopo se non procedere, insieme alle altre, nella direzione – tutta ideologica – di una destra iperconservatrice, omofoba (a cui si può aggiungere la xenofobia) che scrive una nuova pagina culturale di un Paese che soffre la diversità come un elemento estraneo alla normalità e che per normalità intende sempre l’associazione col concetto di “maggioranza“.
La società che hanno in mente Meloni e Salvini è diametralmente opposta a quella descritta nella Costituzione: l’uguaglianza va bene ma solo tra uguali. Se si è un po’ diversi, allora i diritti scemano, diventano concessioni e, pertanto, dipendono dalla benevolenza (si fa per dire…) di chi detiene in quel momento il potere. I diritti perdono un carattere di universalità che gli è essenziale per poter essere tali. Difficile pensare che il pragmatismo istituzionale possa, ancora oggi, a distanza di due anni e mezzo dall’insediamento dell’esecutivo nero, piegare ulteriormente l’ideologia conservatrice e retrive di questa estrema destra.
Fanno il contrario di quanto hanno affermato nei comizi quando si tratta di politica estera, di relazioni economiche, perché sono collaterali e conniventi coi poteri forti per mantenere il proprio potere, ma rivendicano il diritto di mettere in essere tutti i loro convincimenti in materia di diritti civili, di moralità, di critica e dissenso, di autorità rispetto all’autorevolezza, di esercizio e acquisizione del potere piuttosto che di gestione dello stesso nel nome dell’intera comunità nazionale. Le ripercussioni pesanti di questa complessiva e tutt’altro che astratta lettura antisociale dell’Italia del XXI Secolo, sta nei numeri: dopo l’introduzione del “decreto-Caivano“, il numero dei minori finiti in carcere è aumentato del 50% (fonte: Associazione Antigone).
Dal 2013 non si registrava il record di detenuti nelle carceri italiane: 62.000. E proprio mentre l’Europa redarguisce l’Italia per le condizioni disumane del suo sistema detentivo. Il governo fa della repressione la risposta unica al disagio sociale, alla povertà, alla precarietà, ai bisogni più elementari; mentre, notturnamente, in spregio alla dilagante povertà nel regime dell’economia di guerra (per cui vale di più un carro armato rispetto ad una scuola efficiente o ad una sanità altrettanto tale…), aumenta gli stipendi dei ministri non eletti, parificandoli a quelli degli eletti. Rientra nei princìpi della giustizia sociale che ha in mente la destra tutto questo? Oppure nelle logica dei privilegi che intendono mantenere come maggioranza di governo?
Il punto su cui fissare l’attenzione è che la forma mentis di questa destra sta tutta (o quasi) nella concezione di un potere che si prende e si mantiene a tutti i costi, cercando di costringere l’opposizione e le minoranze ad esercitare solamente un ruolo di prammatica, cercando di espropriarle del diritto di diventare domani maggioranza e, quindi, sovvertendo i piani di uguaglianza, di medesime opportunità in ogni campo dell’agire politico, sociale, civile e culturale. Un potere, quindi, non considerato come qualcosa di momentaneo, di transitorio, ma come una appropriazione senza possibilità di contestazione. Il germe dell’autoritarismo è insito anche nella nuova destra che tiene a definirsi nazionalista ma che è intrinsecamente votata ad un passato che non passa.
Il loro patriottismo è fatto di esclusivimo, di etnicità, di autoctonia, di diritti di serie A e di serie B, di una italianità che non è concedibile a nessuno che non sia nato nel Bel Paese, eccezion fatta per l’anarco-liberista Javier Milei. Il potere si premia e si impalma con vicendevolezza, guardando dall’alto in basso chi protesta e viene manganellato; chi sciopera e viene definito come un peggioratore della vita degli altri lavoratori. Il tentativo di mettere poveri contro poveri, studenti contro studenti, anziani contro giovani e tradizione contro innovazione è la cifra marcante la fisiognomica di questo esecutivo che altera i cardini e le fondamenta della nazione.
Per non parlare poi delle controriforme costituzionali, per fortuna ancora in alto mare e suscettibili di una sonora bocciatura popolare con i referendum della prossima primavera. Serve ancora qualche esempio per evidenziare il carattere eversivo, antisociale, anticivile (quand’anche incivile), reazionario, retrivo, omofobo e xenofobo di questa sciagura di governo? Fin che queste cose le possiamo scrivere, vuol dire che siamo ancora in tempo per evitare il peggio del peggio. Quando queste righe non sarà più concesso metterle qui, nero su bianco, allora significherà che quelle che si pensavano fossero esagerazioni altro non erano che la verità critica, il presagimento di quello che sarebbe potuto accadere.
Facciamo in modo che non accada. Mandiamo a casa questo governo con una grande opposizione di massa, con un coinvolgimento quotidiano di tutte le forze politiche democratiche, di quelle sindacali, culturali e sociali. Uniamo le sigle più diverse in una nuova resistenza antiautoritaria che prenda spunto dal passato: loro hanno come punti di riferimento novecenteschi regimi, parole d’ordine e conseguenze che ci hanno portato al disastro. Noi dobbiamo avere come bussola l’esatto opposto: senza troppa enfasi, con la lucidità dell’analisi oggettiva dei rapporti di forza, nelle reciproche differenze, uniamoci e diamo concretezza ad un fronte di salvaguardia della democrazia repubblicana, della laicità dello Stato, delle libertà e dei diritti sociali, civili, umani.
MARCO SFERINI
14 dicembre 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria