Gli scioperi sono troppi? No, troppo pochi

C’è stata convergenza internazionale al ribasso, nel senso che i paesi dove in passato si tendeva a scioperare maggiormente hanno finito per somigliare sempre più a quelli in cui gli scioperi sono rari

Sugli scioperi il governo Meloni e i suoi cantori portano avanti una propaganda ben rodata: le astensioni dal lavoro sono troppe, condotte da una minoranza di sindacalisti irresponsabili contro una maggioranza di cittadini danneggiati, e vengono organizzate solo quando c’è la destra al potere. Come invocano le associazioni padronali, bisogna dunque disciplinare, irreggimentare, comprimere ulteriormente il già limitato esercizio del diritto costituzionale a scioperare.

Questa posizione, in effetti, non caratterizza solo l’attuale governo italiano. Anche all’estero, varie forze di governo hanno manifestato aperta ostilità verso le astensioni dal lavoro. Dalla Gran Bretagna alla Francia, dall’Austria all’Olanda, passando per vari stati americani, la tendenza degli esecutivi a ritenere che gli scioperi siano troppi e vadano repressi è un tratto distintivo dell’epoca in cui viviamo.

Eppure, per quanto diffusa, la tesi che gli scioperi siano «troppi» è smaccatamente falsa. Se prendiamo i dati ufficiali della International Labour Organization (ILO) sulle ore di mobilitazione per scioperi nei paesi relativamente “sviluppati” – dagli Stati uniti alla Corea del Sud, dai membri dell’Unione europea alla Turchia, e così via – scopriamo che dal 1992 ai giorni nostri si è verificata una mastodontica caduta delle astensioni dal lavoro: in media, gli scioperi sono crollati di oltre il 40 percento, con punte negative di oltre l’80 percento nel Regno unito. E se i dati fossero partiti dagli anni Settanta avremmo registrato un tracollo globale degli scioperi ancor più accentuato, mediamente stimabile a non meno del 70 percento.

Inoltre, i dati mostrano una caduta della variabilità degli scioperi tra nazioni di oltre l’80 percento. Questo significa che c’è stata convergenza internazionale al ribasso, nel senso che i paesi dove in passato si tendeva a scioperare maggiormente hanno finito per somigliare sempre più a quelli in cui gli scioperi sono rari. Danimarca, Germania, Spagna e altre nazioni, in cui il numero di interruzioni del lavoro si aggirava intorno alle centinaia annue, tendono sempre più a scivolare verso le medie di Stati uniti e Australia, dove in genere gli scioperi si riducono a poche decine ogni anno.

E l’Italia? Il nostro paese si caratterizza per una grave lacuna informativa. L’ILO non riesce ad aggiornare i nostri dati sugli scioperi dal momento che le rilevazioni Istat sono ferme al 2009. In uno scritto di fine Ottocento, Francesco Saverio Nitti lamentava che «non ci sono buone statistiche sugli scioperi italiani». Dopo oltre un secolo, la situazione non sembra migliorata. Il nuovo presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, farebbe bene a risolvere questa imbarazzante situazione.

Nell’attesa che l’Istat batta un colpo, per fortuna non sono mancati ricercatori che hanno aiutato a colmare il vuoto statistico. Uno studio recente di Ilaria Maroccia e Gilberto Turati dell’Università Cattolica mostra che nel declino internazionale degli scioperi l’Italia segue perfettamente la tendenza. Anzi, per certi versi può esser messa tra i capofila del crollo.

Tra il 1973 e il 2009, in Italia i conflitti di lavoro annui passano da 5.598 complessivi a meno di mille, una precipitazione superiore all’80 percento. Per il periodo successivo, un dato disponibile è la Rilevazione Istat sulle grandi imprese dell’industria e dei servizi, da cui si evince che la caduta si accentua ulteriormente: tra il 2005 e il 2022 si passa da circa 30 ore di sciopero a meno di 10 ore di sciopero per ogni mille ore di lavoro, una discesa di altri due terzi.

Non fanno eccezione la sanità e gli altri servizi pubblici essenziali, né tantomeno i trasporti, tutti settori che specialmente dopo la pandemia hanno visto ridursi drasticamente le astensioni dal lavoro: stando ai dati della Commissione di garanzia sugli scioperi, in cinque anni il declino è tra il 25 e il 40 percento.

I dati smentiscono pure il vittimismo della destra. Dalla contabilità delle ore di sciopero per settore, non si registrano apprezzabili differenze tra i periodi di governo della destra, del centro-sinistra, dell’esecutivo giallo-verde «populista» o delle compagini «tecnocratiche» di Monti e Draghi: in tutti i casi, persiste la tendenza di lungo periodo al calo degli scioperi.

I dati parlano chiaro, dunque. Gli scioperi non sono affatto troppi, semmai sono pochi. Soprattutto in Italia, dove il degrado dei salari reali e delle condizioni di lavoro e di vita ha ormai raggiunto livelli record nel raffronto internazionale.

EMILIANO BRANCACCIO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria

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