Teorizzazione etnica di un patriarcalismo ultramillenario

I numeri hanno la testa dura, così l’evidenza dei fatti. E l’ostinazione del governo Meloni a negare il tutto, producendo una narrazione completamente alterata della realtà, edulcorando e ridimensionando...

I numeri hanno la testa dura, così l’evidenza dei fatti. E l’ostinazione del governo Meloni a negare il tutto, producendo una narrazione completamente alterata della realtà, edulcorando e ridimensionando le responsabilità tanto maschili quanto autoctone e interfamiliari dei femminicidi, è veramente, ma veramente imbarazzante. Dovrebbe essere per Valditara e per la Presidente del Consiglio, così come per Salvini. Ma chi non conosce vergogna, nemmeno può pensare di avere un sussulto in questa direzione ed evincersi del macroscopico errore in cui cade.

L’obiettivo è abbastanza chiaro: distrarre l’opinione pubblica dalle grandi problematiche sociali ed economiche, dalla crisi multilivello in cui ci troviamo, per riaprire la gara interna all’esecutivo e alla maggioranza di destra-destra su chi meglio può rappresentare, tra Lega e Fratelli d’Italia, il punto di riferimento dell’emergenzialismo e del securitarismo. Il tutto riducendo le questioni del moderno neomachismo patriarcale ad un accidente dovuto alla presenza in Italia di così tanti migranti che – parola di Giorgia Meloni – siccome non hanno nulla, cadono nella più atroce risposta antisociale.

Non una di meno“, che si batte ogni giorno per dare una risposta scientificamente antropologica e sociale al problema dei femminicidi, compila un report annuale e giornaliero su tutte le vittime della violenza maschile: ciò che ne emerge è l’identikit sufficientemente preciso dell’uomo che vuole possedere la donna, che non le consente di avere un rapporto equipollente e che la subordina al suo volere e, dunque, la uccide nel momento in cui decide di reclamare il diritto pieno alle scelte concernenti una esistenza che non è appaltata ai desiderata patriarcali.

Nel 77% dei casi le donne uccise dagli uomini sono italiane: nel 23% si tratta di persone provenienti dalla Russia, dalla Polonia, dalla Nigeria, da alcuni paesi dell’America Latina. Ci si riferisce qui ai dati riguardanti il 2024, quindi tre quarti abbondanti dell’anno in corso: le donne assassinate sono state 106. Il 15% di loro in Lombardia, il 13% nel Lazio, l’1% in Valle d’Aosta. Quattro di loro erano “sex worker“; tutti gli altri casi riguardano violenza tra le mura domestiche.

In ventisette di questi casi, all’assassinio della donna è seguito anche il suicidio dell’uomo che lo aveva commesso. Nella quasi totalità dei casi, l’omicida era un conoscente della vittima e nella maggioranza di questi casi stessi (43 su 106) era per lo più un suo strettissimo parente. Si tratta per lo più dei mariti (quasi il 50% dei femminicidi nasce da tensioni sempre più crescenti tra coniugi o conviventi o ex mariti/compagni) seguiti da una non trascurabile percentuale di delitti compiuti dai figli (circa il 15%).

Nel 40% dei casi presi in esame in questo 2024, l’arma con cui l’uomo uccide la donna è il coltello. Ventitré su cento fanno ricorso ad un arma da fuoco e dieci di questi maschi che non accettano separazioni, nuovi amori e nuove vite femminili ammazzano a mani nude strangolando la propria vittima che poco prima, molto presumibilmente, hanno ancora chiamato “amore“. Nel report 2023 curato dall’ISTAT, si possono avere ulteriori elementi chiarificatori del contesto in cui emergono le molestie che, se non fermate prima del loro triste epilogo, finiscono con l’essere il proemio dell’uccisione.

Quando un uomo e una donna entrano in contrasto fra loro, per svariati motivi, nel 93,3% dei casi di omicidio, l’assassinio è compiuto dal primo nei confronti della seconda. Soltanto il 6,7% delle donne commette un atto simile. Simile e non uguale, perché in alcuni casi si tratta di legittima difesa rispetto al tentativo del compagno, del marito o dell’amante che l’ha aggredita più e più volte e che tenta infine di farla finita anche con la sudditanza al suo ruolo (di lui, del maschio) di padrone di entrambi.

Non è chiaro quale report abbia letto Giorgia Meloni, ma stando a quanto riportato dall’ISTAT si legge a chiare lettere: «Il 94,3% delle donne italiane è vittima di italiani, il 43,8% delle donne straniere di propri connazionali». Questo vuol dire che gli italiani (o comunque cittadini comunitari) uccidono anche le donne straniere nel 56,2% dei casi. Basterebbe questo macabro dato a mettere fine al cinico balletto delle cifre e delle percentuali che descrivono la piaga del patriarcato moderno anche in Italia. Il termine forse andrebbe un po’ aggiornato, perché rimanda, oggettivamente, ad una serie di comportamenti antisociali che si pensavano ampiamente marginalizzati.

Invece la violenza di genere si ripropone nel momento in cui il punto chiave del “possesso“, della “proprietà” dei corpi e dei sentimenti si riaffaccia con prepotenza sullo scenario di una attualità che contraddice lo sviluppo moderno dei rapporti interpersonali in un contesto di ridefinizione di quelli anche strettamente legati all’ambito familiare. Ne “L’origine della famiglia e della proprietà privata e dello Stato“, Friedrich Engels scrive della subordinazione delle donne come prodotto della Storia, come fenomeno quindi strutturale che proviene dalla lotta fra le classi sociali.

Nello specifico, Engels afferma che è la comparsa della proprietà privata ad aver dato seguito al patriarcalismo. La primigenia ispirazione matriarcale della società muta nel corso dei millenni, così come la poligamia e la poliandria mutano seguendo la linea dell’irregimentazione familistica dopo che la struttura economica inizia a creare le condizioni di una trasmissione del potere maschile come elemento costituente della progressività temporale del proprietarismo. L’avvento dell’agricoltura è quel confine tra le ere in cui si determina la nascita del “surplus“, di una eccedenza produttiva.

L’accumulazione dei proventi delle vendite dei prodotti della terra che eccedono il bisogno tipicamente familiare crea le condizioni per la conformazione del “patrimonio” che, nel suo chiaro significato etimologico, è la convergenza tra “pater” e “munus“, quindi il “compito del padre” di gestire le fortune del nucleo che gravita dunque intorno a lui. Il concetto proprietario dell’uomo nei confronti della donna è, quindi, una conseguenza di queste premesse molto indietro nel tempo e non è il frutto di una modernità incedente soltanto a partire dagli ultimi secoli di sviluppo industriale accelerato dalle scoperte scientifiche e dalla globalizzazione capitalistica.

Il passaggio dal matriarcato al patriarcato determina la fine di una società in cui alla donna era storicamente affidato il ruolo di regolatrice della parità, mentre a tutto questo si sovrappone prime e subentra poi la subordinazione della femmina al maschio, mitizzato come espressione di potenza, di virilità, di forza indomita e di coraggio. Caratteristiche le donne finiscono per perdere perché relegate al ruolo monogamo di spose che devono portare con sé una dote a sigla del contratto che stipulano col futuro marito.

La contrattualizzazione economica del matrimonio è, in tutta evidenza, un prodotto esorbitante dell’elevazione della proprietà privata a base antropologico-sociale-politico-economica di tutta la società. Questi brevissimi cenni sulla storia del patriarcato non fanno che mettere il problema dell’oggi sui binari di una storia ultramillenaria in cui la violenza maschile è diritto privato dell’uomo nei confronti della donna: è arbitrio ad esclusiva decisione del marito-padrone che è il solo erede dei beni di famiglia. Alla donna spetta solo la riproduzione della specie.

Quando parliamo di femminicidi oggi, è evidente che non ne possiamo far riferire le cause al codice di Hammurabi che stabiliva la proprietà delle donne da parte dei mariti e dei patri; oppure alla condanna dell’adulterio soltanto femminile tanto nella legge ebraica quanto in quella romana; o, ancora al più recente Codice napoleonico (del 1804) in cui si afferma che una moglie non può esercitare gli stessi diritti del marito in materia di rivendicazioni legali, né vendere, acquistare o dare via beni senza il consenso del consorte.

Ma, oggi come ieri, nonostante in apparenza le donne abbiano assunto una parità di genere e possano accedere a tutti gli incarichi di governo possibili, così come sedere nei più alti posti di comando delle aziende e delle multinazionali, rimane l’onda lunga di una logica maschilista che pone l’uomo al vertice di una catena di comando che gli proviene dalla Storia di una evoluzione molto poco etica e tanto scientifica. La maggior parte dei conti correnti bancari sono cointestati a mariti e mogli ed esiste un 30% circa di donne che non si classifica come indipendente sul piano economico.

Da Hammurabi a Napoleone, per arrivare ad oggi, i rapporti interpersonali e interclassisti sono cambiati. Ma il patriarcalismo sopravvive, che lo voglia Giorgia Meloni o meno, perché le premesse per l’affermazione nuova di un potere maschile esistono e possono consentire all’uomo di farsene interprete; nonostante le leggi e le dichiarazioni dei diritti universali smentiscano questo assunto. Sulle motivazioni che inducono al femminicidio poi esiste una disparità tale nella casistica tanto articolata di singole esperienze e convergenze di fattori, da permettere una sintesi soltanto macroscopica e per grandi linee.

Ma queste linee, proprio perché grandi, ci consentono di vedere il problema tanto da lontano quanto da vicino, senza tralasciare nessuna specificità e, per questo, rifuggendo anche qualunque generalizzazione fondata sul singolo caso, così come qualsiasi assolutizzazione e minimizzazione dal macro a microscopico. Tutto questo dovrebbe insegnarci a riguardare con meticolosa pazienza ogni fenomeno che si produce nella nostra quotidianità e cercarne presupposti logici nella consequenzialità dei fatti e dei rapporti di forza.

Diffidando sempre delle banalizzazioni sensazionalistiche salviniane o meloniane sulle invasioni dei clandestini, sulle percentuali farlocche di stranieri che delinquono rispetto agli italiani. Una colpa è una colpa. Un omicidio è un omicidio. Un femminicidio è un femminicidio. Ma le premesse date fanno sì che si debba conservare il dovere – che dobbiamo tanto alla Legge in quanto tale così come ad un’etica condivisa e non esclusiva – di interpretare i fatti fino laddove essi originano: non per garantire agli uni diritti o sconti di pena rispetto agli altri. Ma per capire.

Per non scadere nel pressapochismo della fascistizzazione anticoncettuale delle illazioni a buon mercato e la cinica e cruda semplificazione delle relazioni che ci contraddistinguono giorno dopo giorno e che non sono separabili dal contesto economico, politico e culturale in cui nasciamo, cresciamo e finiamo per morire, almeno interiormente, prima della scadenza naturale data ai nostri corpi.

MARCO SFERINI

26 novembre 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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