Era nell’aria, ma probabilmente nessuno si aspettava che arrivasse così rapidamente. La maggioranza di popolari, socialisti e liberali che pochi mesi fa era riuscita, con l’aiuto anche dei verdi, a eleggere Ursula von der Leyen per un nuovo mandato come presidente della Commissione europea mostra ormai vistose crepe.
Lo stallo nell’esame dei commissari ne è la prova più evidente, ma ciò che sta accadendo sull’ambiente non è da meno. Il fatto che il Partito popolare europeo, dopo aver sostenuto l’adozione del Regolamento contro la deforestazione, compia un voltafaccia senza precedenti e si schieri con le forze politiche antieuropeiste contro le foreste e, più in generale, contro la natura, è solo la classica punta dell’iceberg.
Un cambio di rotta gravissimo che va contro l’ambiente e la natura in un momento decisivo, a livello europeo e internazionale, per la lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità.
Nel 2019 il contrasto alla crisi climatica ed ecologica era stato il collante tra i due principali gruppi, popolari e socialisti, che proprio sul Green Deal, l’ambiziosa agenda per la transizione ecologica, avevano costruito la prima coalizione von der Leyen. Oggi le cose sono cambiate: l’ambiente continua ad essere un collante, ma tra il Ppe e le forze politiche di destra (arrivando persino alla Afd tedesca) uniti nel ritardare o bloccare le politiche green.
Le prime avvisaglie le avevamo avute nell’ultimo anno della passata legislatura: la bocciatura e il ritiro del Regolamento sui pesticidi, i passi indietro sulla timida riforma verso la sostenibilità della Politica Agricola Comunitaria, i ritardi nell’approvazione della Nature Restoration Law arrivata solo grazie a un mezzo miracolo della ministra dell’ambiente austriaca, sono stati tutti segnali di come si andava consolidando una maggioranza nuova a destra che, almeno su alcuni punti, appariva ben più solida di quella formalmente in carica.
Se questa nuova configurazione politica dovesse consolidarsi, la normativa ambientale europea è più che mai a rischio. La Commissione ha già avviato la procedura per declassare lo status di protezione del Lupo in Europa e il prossimo anno è attesa una proposta di modifica della Direttiva Habitat che oggi consente all’Unione europea di proteggere la biodiversità del nostro continente.
Anche sul contrasto al cambiamento climatico gli orizzonti si fanno molti foschi. L’Unione europea sembra avere come unici riferimenti la competitività e la “neutralità tecnologica”: un concetto, quest’ultimo, che non ha una chiara definizione e che lascia aperta la porta a fossili e nucleare.
La stessa presidente Meloni, nel suo discorso alla Cop di Baku, ha ribadito di voler abbracciare un approccio di “neutralità tecnologica”, affermando che non esiste una sola alternativa alle fonti fossili, ma che servono gas e nucleare esattamente come avrebbe fatto un qualsiasi lobbista dell’oil and gas.
Tesi ardita e francamente smentita dai fatti perché, se proprio si volesse insistere sul concetto di neutralità tecnologica, la premier dovrebbe spiegarci il motivo per cui il nostro Paese investe ogni anno molto più in incentivi per le fonti fossili che in quelli per le rinnovabili…
Cosa accadrà lo vedremo nei prossimi giorni. Certo è che, se il Ppe dovesse mantenere questa aspirazione a maggioranze variabili a scapito dell’ambiente (ma anche dei diritti civili, dei migranti o della partecipazione dei cittadini), non si comprende quale dovrebbe essere l’interesse di socialisti e verdi a sostenere una Commissione monstre, senz’anima, incapace di mantenere qualsiasi impegno sulle politiche ambientali.
DANTE CASERTA
responsabile Affari Legali e Istituzionali Wwf Italia
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