«La manovra è finanziata con la lotta all’evasione fiscale e con i tagli, sì, e li ho anche quantificati». Lo ha detto ieri nella sala del mappamondo alla Camera il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti al termine di quattro giorni di audizioni che hanno smontato pezzo dopo pezzo le contraddizioni, e i rischi, della terza legge di bilancio del governo Meloni, la prima della nuova austerità che durerà almeno sette anni.
Cresce solo la spesa per le armi ma non come richiesto dalla Nato (e da Trump». «L’obiettivo del 2% sul Pil è ambizioso e non del tutto compatibile con vincoli della governance europea» ha detto Giorgetti che però ha confermato che nel 2027 arriverà all’1,61%.
Per riportare il rapporto tra il deficit e il Prodotto Interno Lordo (Pil) al 2,8% quest’anno, il 3,3% il prossimo, l’1,8% nel 2029 e mantenerlo all’1,5% per gli anni successivi da quest’anno il governo inizierà a tagliare complessivamente 12 miliardi di euro tra ministeri, regioni, province, città metropolitane e comuni (si veda la tabella e i numeri in pagina).
Si sta lentamente comprendendo che i tagli non comporteranno solo un arresto ai servizi essenziali, ma anche un vero danno a ministeri come quello dell’università. Allo stesso tempo punta a coprire le altre spese con il recupero dell’evasione fiscale. Dall’Ufficio parlamentare di bilancio a Bankitalia in questi giorni è stato ricordato al governo che questo tipo di coperture non sono strutturali e variano di anno in anno e non è possibile impiantare una politica lungimirante su premesse così sfuggenti.
Quello dei tagli agli enti locali è stato definito come un approccio «punitivo» dalle opposizioni che hanno bersagliato Giorgetti con un fuoco di fila di domande. Espressione respinta da Giorgetti secondo il quale questa sarebbe la «normalità». «Gli enti locali devono capire che in passato hanno ricevuto stanziamenti a fondo perduto e non replicabili, sul Pnrr e non solo, e un ritorno alla normalità credo sia dovuto».
La «normalità» di Giorgetti non c’entra nulla con gli oltre 5 miliardi di tagli – che non sono solo «accantonamenti», ma anche riduzioni degli investimenti. Sembra che il ministro abbia confuso gli stanziamenti una tantum del Pnrr con i fondi regolari agli enti locali ai quali, già dall’anno scorso, sono stati inferti altri tagli.
Ora vedono rosso e, in molti casi, hanno lanciato l’allarme. E si capisce che il governo non voglia dire che il meccanismo finanziario dell’«accantonamento» metterà a rischio tutte le altre funzioni dei comuni e delle regioni. Lo scopo è nascondere le conseguenze politiche della sua iniziativa sulla vita delle persone. Nei fatti, saranno i cittadini a pagare le conseguenze di una politica economica regressiva e recessiva.
Un altro momento topico dell’audizione di Giorgetti è stato quando il ministro ha declinato la sua ideologia liberista che coincide con quella della presidente del consiglio Meloni. A chi osservava la mancanza di una politica degli investimenti e industriale nella manovra ha risposto: «La politica industriale la fanno le imprese, non lo Stato». «Lo Stato può intervenire quando serve, ma senza gli imprenditori tutti gli interventi di politica dello Stato sono fallimentari. è la storia che l’ha dimostrato».
Il caso della Fiat-Stellantis è esemplare. Non si contano i miliardi perduti in questo pozzo senza fondo. Il fallimento di queste politiche lo pagano i lavoratori. E lo Stato continua a pagare i danni con la Cassa integrazione o paga le delocalizzazioni. Sono critiche che, molto di recente, si sono fatte spazio tra le destre. Ma solo per Stellantis. Ma questo è un modello universale. I profitti sono sempre privati, le perdite sono pubbliche.
La stessa legge vale per le banche. Esilarante è stata la risposta di Giorgetti a chi gli chiedeva le ragioni del trucco contabile concordato con gli istituti di credito per fingere di dare un contributo alla patria: 1,7 miliardi in due anni chiesti alle banche saranno restituiti dopo. A tale proposito Giorgetti aveva parlato di «sacrifici» delle banche. «Le banche si sentono sacrificate – ha precisato – però si può anche essere di un parere diverso». Almeno Giorgetti ammette la possibilità.
I tagli da 4,6 miliardi del fondo automotive non toccano “le imprese che vogliono riconvertire”, ma rottamazioni e incentivi all’acquisto di auto elettriche prodotte altrove. Invece di finanziare la transizione “verde” meglio non dare incentivi che poi andrebbero ad auto cinesi. Non importa se così evapora il futuro di un settore che dovrebbe trainare l’industria che cala da quasi 20 mesi.
Qualcosa della manovra cambierà. Ad esempio il blocco del turn-over sulle forze dell’ordine. Tutti gli altri, a cominciare dai ricercatori, dagli infermieri o dai medici dovranno prepararsi a restare precari ancora per molti anni.
ROBERTO CICCARELLI
foto: screenshot tv