«Lunedì spiegherò ai miei studenti perché ho scioperato e perché non era una giornata di festa ma di lotta» dice Rosanna, collaboratrice scolastica, mentre è in presidio sotto al ministero dell’Istruzione (e merito) di viale Trastevere, a Roma. È l’unica della sua scuola ad avere le chiavi del plesso, la sua decisione di non aprire ha permesso di manifestare anche agli insegnanti precari che temevano ritorsioni.
Lo sciopero della scuola indetto dalla Flc Cgil con diverse sigle studentesche e di ricercatori universitari, si è articolato in 40 piazze. Da nord a sud docenti, personale amministrativo (Ata) e studenti hanno manifestato per chiedere l’adeguamento dei salari e la stabilizzazione degli oltre 250 mila precari. «Questo numero è frutto della volontà politica – nota Davide – ci stanno mettendo l’uno contro l’altro senza riformare il sistema di reclutamento: dietro questi numeri ci sono 250 mila persone, con storie, famiglie, che non hanno certezze. Questa frammentazione del lavoro pesa su tutti, soprattutto sugli studenti».
Alle riforme dell’istruzione in senso classista del ministro Valditara e a quelle che cristallizzano il precariato nella ricerca, volute da Bernini, si è aggiunta la forbice della legge di bilancio «che non prevede risorse aggiuntive per i rinnovi contrattuali 2022 – 2024 e non risolve il problema del potere d’acquisto dei salari a fronte del 18% circa di inflazione – come spiega la Flc Cgil -. A questo si aggiunge l’annoso problema del precariato: un lavoratore su quattro tra Ata e docenti non ha un contratto stabile e questo arreca un danno non solo alle vite dei lavoratori ma anche alla didattica».
«Con lo sciopero vogliamo anche affermare un’idea di scuola democratica, in netta contrapposizione con le riforme regressive e autoritarie di Valditara – ha dichiarato la segretaria generale del sindacato, Gianna Fracassi dalla manifestazione di Milano – ribadiamo la nostra opposizione alla filiera tecnologico-professionale che riduce l’offerta formativa consegnandola ai privati, al liceo made in Italy che risponde a una visione aziendalistica dell’istruzione e all’istituzione di classi “differenziali” per alunni non italofoni. E ribadiamo la preoccupazione per i nuovi strumenti di valutazione basati su criteri selettivi e punitivi e per la revisione delle linee guida dell’educazione civica ispirate all’individualismo e al culto della nazione e del profitto».
A Genova hanno sfilato in corteo anche i ricercatori del Cnr che ha 8mila dipendenti, di cui il 50% precari. «Molti di noi hanno contratti legati a progetti che però non danno contributi previdenziali», racconta Erica Carlig, ricercatrice genovese e precaria da nove anni dopo una laurea, un dottorato e sei anni di borse di studio per un salario iniziale di circa mille euro al mese. «La nostra – dice Assunta da Napoli – non è una battaglia corporativa, siamo qua per denunciare la messa a rischio del diritto allo studio nel nostro Paese».
Se le piazze erano piene, i primi dati parziali parlano di una partecipazione alla protesta di poco superiore al 3%. «Non sono riuscita a scioperare, anche se credo fortemente nelle sue ragioni, perché quest’anno ho avuto una supplenza di poche ore e non potevo permettermi di perdere neanche quella parte di salario», spiega Francesca, insegnante calabrese di sostegno che ogni giorno passa tre ore sul treno, tra andata e ritorno, per raggiungere la scuola che le hanno assegnato ad Anzio. Per lo sciopero la trattenuta dello stipendio oscilla tra i 96 e i 53 euro.
In piazza ieri anche gli studenti. «Siamo al fianco dei lavoratori della scuola e dell’università e di tutti i settori della conoscenza – spiega Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi – è la prima tappa di un percorso di mobilitazione che ci porterà poi il 15 novembre in piazza in tutto il paese e non ci fermeremo finché non ci saranno risposte dal governo, a partire dalla manovra».
LUCIANA CIMINO
MICHELE GAMBIRASI
foto: screenshot dalla pagina Facebook nazionale della FLC CGIL