PRIMA PARTE
Nella primavera del 1922 la signora Florence Balcombe, donna affascinante un tempo corteggiata da Oscar Wilde, decise di fare causa per plagio agli autori di un film uscito nel marzo dello stesso anno. La donna, che non stava attraversando un grande periodo finanziario, pur non avendo visto la pellicola chiamò a risponderne la casa di produzione, lo sceneggiatore e il regista. Nel luglio del 1925 il tribunale le diede ragione e ordinò, oltre al risarcimento per i diritti d’autore, la distruzione di tutte le copie. Fortunatamente, non solo per la storia del cinema, qualche pellicola sopravvisse. Già, perché la donna era la vedova di Bram Stoker, l’autore di “Dracula”, e il film era Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau.
Il futuro regista nacque a Bielefeld in Vestfalia il 28 dicembre del 1888 da Heinrich Florenz Plumpe (1847-1914), un ricco commerciante di tessuti di origini svedesi e da Auguste Karonline Josephine Ottilie Volbracht (1863-1944) insegnante per professione e vocazione. La famiglia di Heinrich, che aveva già avuto due figlie, Ida e Anna, da una precedente relazione, venne allargata dalla nascita di Robert (1887-1961), poi produttore di documentari cinematografici, Friedrich Wilhelm, che fin da bambino si sentiva stretto dalle rigide regole della famiglia tedesca dell’epoca, e da Bernhard Joachim (1893-1932).
Nel 1898 la famiglia Pumple si trasferì a Kassel, nella Elfbuchenstrasse, quindi nella vicina Wilhelmshöhe. Friedrich Wilhelm già a sette anni aveva dimostrato un vivace interesse per la messa in scena e la recitazione. Organizzava delle autentiche rappresentazioni nel teatrino di marionette allestito con l’aiuto di fratelli e sorelle. A dodici si racconta che avesse già letto i testi di Shakespeare, Schiller, Ibsen, Schopenhauer, Dostoevskij, Nietzsche adattandoli per il suo teatrino. Tanto precoce nelle arti, quanto estraneo all’attività fisica. Iniziò ad essere insofferente verso gli schemi che la società e il padre gli volevano imporre.
IL TEATRO CON REINHARDT E LA GUERRA
La madre, invece, incoraggiò i suoi interessi artistici e letterari così, dopo il diploma alle scuole medie di Kassel conseguito nel 1907, il giovane Pumple frequentò prima i corsi di filologia all’Università Humboldt di Berlino, all’epoca nota come Friedrich-Wilhelms-Universität poiché fondata dal filosofo e diplomatico Friedrich Wilhelm von Humboldt, poi Storia dell’arte e Letteratura all’università di Heidelberg.
Su uno dei palchi studenteschi venne notato da Max Reinhardt, figura immensa nella storia del teatro tedesco, che lo incoraggiò a seguirlo nella sua scuola di recitazione a Berlino legata al Deutsches Theater che Reinhardt diresse dal 1905 al 1933. Scuola da cui passarono i migliori interpreti tedeschi non solo dell’epoca. Qualche nome? Conrad Veidt, Leni Riefenstahl, Ernst Lubitsch, Emil Jannings, Paul Leni, Werner Krauss, Pola Negri fino ad arrivare a Marlene Dietrich.
Friedrich Wilhelm Pumple decise così di non seguire le orme paterne, che lo avrebbero portato nella ditta di tessuti, ma di diventare un attore e un regista. Nel 1909, in una tournée della troupe di Reinhardt, che lo coinvolgeva sempre più sia come interprete che come assistente alla regia, decise di fare un ulteriore passo di rottura, decise di diventare Friedrich Wilhelm Murnau in omaggio della città dell’Alta Baviera, immortalata da Kandinskij, sede di una rappresentazione e probabilmente di un amore con un altro ragazzo. Già, perché il futuro regista era omosessuale, cosa che la famiglia non accettò mai.
Forte di questa rottura, Murnau divenne uno degli attori fissi della compagnia. Nel 1913 recitò in ruoli secondari in opere di Emil Milan, Felix Hollaender con rappresentazioni anche a Vienna e Praga. Non solo. Grazie ai rapporti col poeta e letterato Hans Ehrenbaum-Degele, si inserì nel contesto culturale della Berlino di quegli anni. Conobbe Else Lasker-Schüler, considerata la più grande poetessa tedesca di sempre, Renée Sintenis, scultrice che vincerà un Bronzo alle Olimpiadi del 1928 con la statua Footballeur, Franz Marc che col suo pennello dipingeva animali conferendo loro un valore simbolico. Tutti rigorosamente della corrente espressionista.
Nel 1914 Murnau si arruolò come volontario in quella che sarebbe diventata la Prima guerra mondiale. Grazie alla sua altezza, intorno ai due metri, venne prima schierato con la fanteria sul fronte orientale, poi, dal 1917, divenne ufficiale dell’aeronautica militare. Il rapporto col volo non fu entusiasmante, ebbe ben otto incidenti, l’ultimo dei quali durante un volo di ricognizione sulla neutrale Svizzera. Fu costretto ad un atterraggio d’emergenza, per poi essere internato ad Andermatt e a Lucerna. Le sue qualità artistiche, tuttavia, erano note e, vincendo un concorso per la produzione dell’opera patriottica “Marignano”, ispirata all’omonima battaglia avvenuta nel 1515 in cui la Svizzera combatté al fianco di Milano e Mantova contro Venezia e la Francia, iniziò a lavorare nel teatro di Lucerna. La guerra non diede, invece, scampo ai suoi amici Ehrenbaum-Degele e Marc: il poeta perì in battaglia in Russia, il pittore venne colpito da una granata il giorno prima del suo congedo per meriti artistici.
Murnau tornato in Germania trovò una Berlino lacerata dalle contraddizioni socioeconomiche e dallo scontro tra i rivoluzionari spartachisti e i terroristi controrivoluzionari dei Freikorps. Sostanzialmente indifferente poiché estraneo ad un’ottica di classe, non si identificava ne con la borghesia dalla quale proveniva considerata opulenta e grossolana, ne col proletariato “visto come portatore di valori incomprensibili” (Tone), decise di dedicarsi al teatro. Mise in scena alcune pièce a Zurigo, Lucerna e a Berna. Mentre era in Svizzera venne contattato dall’ambasciata tedesca che gli “affidò il compito di realizzare film di propaganda” come ricordò lo stesso Murnau. Di quei film non c’è traccia, ma quel che è certo è che quell’esperienza lo interessò molto al punto che decise di dedicarsi interamente al cinema.
IL CINEMA E I PRIMI FILM
Nel 1917 aveva già abbozzato, quando era internato a Lucerna, un soggetto intitolato Teufelsmädel (La ragazza del diavolo). Tre sole pagine per raccontare la storia di una ragazza povera di Brandeburgo che in sogno stringe un patto col diavolo per poter vivere una vita agiata a Berlino. Ma per mantenere il patto deve sacrificare i suoi amanti.
Due anni dopo riuscì a girare il suo primo lungometraggio. Venne, infatti, contattato dall’amico Ernst Hofmann, attore e produttore teatrale che voleva cimentarsi con la settima arte. Nel giugno del 1919 venne girato, presso gli studi berlinesi della Saturn-Film-Atelier e in Vestfalia, Der Knabe in blau (Il ragazzo in blu) accompagnato anche dal titolo Der Todessmaragd (Lo smeraldo della morte).
Ispirato in gran parte a “The Picture of Dorian Gray” (“Il ritratto di Dorian Gray”) di Oscar Wilde e a “The Blue Boy” tela di Thomas Gainsborough che ritrae un settecentesco ragazzo in blu, divenuto negli anni un simbolo della comunità LGBT (Marlene Dietrich si fece fotografare con gli abiti dello sconosciuto ragazzo dipinto), il film oggi è da considerarsi perduto, dei 1560 metri di pellicola (circa 77 minuti) ne rimangono solo pochi fotogrammi conservati nella cineteca nazionale tedesca. Secondo i ricordi dello stesso Murnau, probabilmente non fu nemmeno mai proiettato, ma grazie alla testimonianza di Edda Hofmann, moglie di Ernst, accreditata sotto lo pseudonimo di Edda Ottershausen come autrice della sceneggiatura, è stato possibile ricostruire la trama.
Thomas von Weerth (Ernst Hofmann), ultimo rampollo di una nobile famiglia decaduta, abita in un fatiscente maniero insieme ad un vecchio servitore (Karl Platen, nel 1944 inserito da Goebbels nella Gottbegnadeten, la lista degli attori simbolo del regime nazista) e passa molto tempo ad ammirare il ritratto di un “ragazzo in blu”, suo antenato, del quale crede di essere la reincarnazione. Il ragazzo del dipinto porta al collo uno smeraldo. Thomas, grazie ad un sogno, riesce a trovare la pietra preziosa e, nonostante gli avvertimenti del servitore che gli ricorda come la stessa porti disgrazie a chi la indossa, decide di tenerla. Una sera giunge al castello un gruppo di saltimbanchi, tra loro anche una bella zingara (Blandine Ebinger, che in quell’anno sposò Friedrich Hollaender autore di molte canzoni di Marlene Dietrich) della quale Thomas si innamora, ma lei e il capo della compagnia (Georg John) ne approfittano per rubare tutto al giovane, incluso lo smeraldo, mentre il castello va a fuoco e il dipinto viene distrutto. Thomas affronta anni di malattia e guarisce solo grazie all’amore di una giovane attrice (Margit Barnay).
Nonostante la scarsità di informazioni, si possono intuire già nel primo lungometraggio alcune delle tematiche che saranno ricorrenti nell’opera di Murnau: i tratti cupi e malinconici, la natura spesso ostile, la solitudine e la diversità di un uomo, un vecchio castello, una maledizione, il motivo del doppio.
Ernst Hofmann produsse anche il secondo film diretto dal regista. Nell’agosto del 1919 Murnau girò un film a episodi scritto da Rober Wiene e interpretato da Conrad Veidt che l’anno successivo si ritroveranno per dar vita all’indimenticabile Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari). Il 30 gennaio del 1920 uscì Satanas.
Condannato a vagare nel tempo fino a quando non trovi qualcuno che “dal male compia il bene” Lucifero (Conrad Veidt) si reincarna in tre epoche diverse. Nell’episodio Der Tyrann (Il tiranno) un vecchio eremita (Veidt) convince il pastore Jorab (Ernst Hofmann) a diventare l’amante di Phani (Margit Barnay) la moglie del faraone Amenhotep (Fritz Kortner) che, a causa di Nouri (Sadjah Gezza) compagna gelosa del pastore, fa giustiziare entrambi. Nell’episodio Der Furst (Il principe) un avventuriero spagnolo di nome Gubetta (Veidt) diventa confidente di Lucrezia Borgia (Else Berna) e la conduce a Venezia dove ha una relazione col giovane Gennaro (Kurt Ehrle). Dopo aver saputo che è suo figlio i due si uccidono a vicenda. Nell’episodio finale, Der Eroberer (Il conquistatore o Il dittatore), in Svizzera Ivan Grodsky (Veidt), un agitatore bolscevico noto come Wladimir, trasforma lo studente Hans (Martin Wolfgang) in un fervente rivoluzionario che si mette a capo di un regime sanguinario nel quale muoiono anche i suoi genitori (Elsa Wagner e Max Kronert). Quando la sua amante Irene (Marija Leiko) tenta di ucciderlo la fa giustiziare (triste ironia della sorte, l’attrice, che con l’avvento di Hitler si rifugiò in Unione Sovietica, nel 1938 venne giustiziata come controrivoluzionaria), ma alla fine impazzisce. L’impresa di Satana fallisce.
Forse ispirato all’Intolerance di Griffith anche Satanas è da considerarsi perduto. Del secondo film di Murnau rimangono solo alcuni scritti di Wiene e un frammento di tre minuti, dei 126 totali, in cui il faraone Amenhotep amoreggia con Nouri, oggi conservati nella Cinémathèque Française a Parigi.
Grazie al film iniziò la collaborazione storica tra il regista e Karl Freund operatore e direttore della fotografia, il più importante della neonata Repubblica di Weimar, che con l’avvento del Nazismo emigrò per poi affermarsi anche a Hollywood vincendo due Oscar e dirigendo, tra gli altri, la prima versione cinematografica di The Mummy (La Mummia, 1932) con Boris Karloff come protagonista.
Dopo Satanas Murnau iniziò a lavorare a Der Bucklige und die Tänzerin (Il gobbo e la ballerina) tratto dallo scritto “Der grüne Kuss” di Carl Mayer, fresco autore de Il gabinetto del dottor Caligari, film che aveva aperto la stagione dell’Espressionismo tedesco. L’8 luglio del 1920 la pellicola uscì nelle sale.
La giovane ballerina Gina (Sascha Gura) è corteggiata da Smith (Paul Biensfeldt) un commerciante più anziano di lei. La ragazza non ricambia, ma accetta di buon grado regali e doni. Un giorno nel cabaret dove si esibisce incontra James Wilton (John Gottowt) un gobbo deforme che tratta gentilmente solo per pietà, andandolo a trovare perfino a casa. Scopre così che Wilton, sempre disprezzato per il suo aspetto, ha fatto una fortuna in Oriente imparando raffinate tecniche per realizzare di strani cosmetici e veleni. Gina ottiene così un elisir per mantenere la sua bellezza, ma quando Wilton la bacia scappa inorridita. Decide così di fidanzarsi per interessi con Smith, ma ad un ballo si innamora del giovane barone Percy (Henri Peters-Arnolds). I due uomini finiscono quasi a duello, mentre Wilton, disperato, medita vendetta. L’occasione si presenta quando la ragazza torna a trovarlo per chiedergli un nuovo elisir di bellezza che il gobbo ha mischiato con un veleno, contro il quale la ballerina è immunizzata, ma che uccide chi la bacia. Prima muore Smith, nonostante il tentativo di soccorso dell’anziana madre (Anna von Palen), poi mostra gli stessi sintomi Percy. Per salvarlo Gina corre da Wilton in cerca di un antidoto. Il gobbo bacia la ballerina e solo dopo capisce che è destinato a morire. La ragazza riesce a trovare l’antidoto per l’amato, mentre Wilton muore tra gli spasimi stringendo tra le mani una foto di Gina.
Anche questo film purtroppo è da considerarsi perduto, pare distrutto negli anni del Nazismo probabilmente perché interpretato dall’ebreo Gottowt, le poche testimonianze si devono ai frammenti rimasti, ai ricordi di Lotte H. Eisner autrice della biografia del regista “F. W. Murnau” (edita in Italia col titolo “Murnau. Vita e opere di un genio del cinema tedesco” da Alet Edizioni) e alle critiche dell’epoca che elogiarono la storia di Mayer, l’interpretazione di John Gottowt (“ha offerto una prestazione assolutamente sorprendente nel ruolo del gobbo” scrisse il “Berliner Borsen-Zeitung”), nonché la fotografia e gli interni di Robert Neppach che, per il “B.Z. am Mittag”, “meritano un elogio senza riserve, in particolare l’arredamento dello spettacolo di varietà con i suoi effetti di luci e ombre”.
Robert Neppach lavorò anche in altri film di Murnau. Nato a Vienna il 2 marzo 1890 fu un architetto molto attivo nel mondo del cinema, capace di definire il “gusto espressionista” grazie all’uso dei fondali dipinti. Fondò anche una sua casa di produzione e di distribuzione cinematografica, la R.N.-Filmproduktion GmbH, ma era ebreo e Goebbels gliela fece chiudere appena salito al potere. Neppach ebbe due matrimoni. Il primo con la tennista Nelly Bamberger, campionessa tedesca che dopo la guerra aveva giocato, tra le critiche dei nazionalisti, contro Suzanne Lenglen in Francia. Estromessa con l’avvento del Nazismo, si tolse la vita il 7 maggio del 1933. Il secondo matrimonio fu, invece, con Marguerite “Grete” Walter, figlia del celebre direttore d’orchestra Bruno Walter. La loro vita non fu semplice, perseguitati in Germania prima, separati in Svizzera dopo. Neppach il 18 agosto 1939 uccise Grete, geloso della sua relazione col baritono italiano Ezio Pinza, e si tolse la vita. La situazione è tutt’ora non chiara e a ricordare Robert Neppach, Nelly Bamberger e Grete Walter oggi rimangono solo le Stolperstein, le “Pietre d’inciampo”.
Tornando al cinema Murnau, passato alla casa di produzione Decla-Bioscop, diresse nuovamente Conrad Veidt nel film Der Januskopf (La testa di Giano), noto anche col titolo Schrecken (Spavento) e sottotitolato Am Rande der Wirklichkeit (Ai margini della realtà), ispirato liberamente a “Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde” (“Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”) di Robert Louis Stevenson. La sceneggiatura venne scritta da Hans Janowitz, altro autore di Caligari, la fotografia curata da Karl Freund. Il 26 agosto 1920 nella Marmorhaus di Berlino si tenne la prima di Der Januskopf.
Il dottor Warren (Conrad Veidt) acquista nel negozio di un antiquario un busto bifronte raffigurante Giano che da una parte mostra il volto di un dio e dall’altro quello di un demone. La contemplazione, però, fa cadere Warren in uno stato di profonda inquietudine. Decide così di regalarlo alla sua fidanzata, Grace (Margarete Sclegel), la quale terrorizzata glielo restituisce. Sotto l’influenza del busto Warren si interessa a strani esperimenti che gli provocano uno sdoppiamento della personalità: di notte si trasforma in Mr. O’Connor, perseguita Grace e la conduce nella sua casa. Quando si accorge che la personalità malvagia sta prendendo gradualmente il sopravvento, Warren si toglie la vita con un potente veleno.
Composto in sei atti anche questo film di Murnau è da considerarsi perduto. Ne rimangono pochi frammenti e qualche foto. Nel cast da segnalare la presenza di Bela Lugosi in fuga dall’Ungheria dove era in atto la campagna di persecuzioni e violenze contro comunisti ed ebrei nota come il “Terrore bianco”.
Perduto anche il successivo film di Murnau Abend – Nacht – Morgen (Sera… notte… mattino) uscito il 24 settembre del 1920.
Maud (Gertrude Welcker), una donna che frequenta gli ambienti mondani, è spinta dal fratello Brilbrun (Conrad Veidt), a farsi regalare una collana dal ricco Cheston (Bruno Ziener), suo amante. Questi promette alla donna una collana di perle che custodisce in una cassaforte. Brilbrun si introduce nella casa dell’uomo per rubarla, ma trova Cheston impiccato. Tutti gli indizi sono contro di lui, ma il detective Ward (Otto Gebühr) riesce ad identificare il vero colpevole in Prince (Carl von Balla), amico della vittima e grande giocatore.
IL CAMMINO DELLA NOTTE
Il successivo film di Murnau ad uscire nelle sale fu Der Gang in die Nacht (Il cammino della notte) tratto da un soggetto della sceneggiatrice danese Harriet Bloch intitolato “Der Sieger”, adattato dal “solito” Carl Mayer e interpretato dal “solito” Conrad Veidt. Il film venne proiettato per la prima volta il 13 dicembre 1920 per poi essere distribuito dal 21 gennaio dell’anno successivo.
Il dottor Eigil Börne (Olaf Fønss) è fidanzato da sempre con la giovane Helene (Erna Morena), ma durante una festa conosce e si innamora della ballerina Lily (Gudrun Bruun-Steffensen). Rompe così il fidanzamento e va a vivere con la nuova compagna in un piccolo villaggio sul mare. Un giorno giunge un pittore cieco (Conrad Veidt) cui Börne riesce a ridare la vista. Il pittore passa la convalescenza in casa della coppia, mentre Helene, disperata, si è ammalata nella mente e nel fisico. Eigil va a trovarla, ma al suo ritorno nel villaggio trova il pittore e Lily insieme su una scogliera. Decide così di tornare in città. Anni dopo, divenuto un importante e stimato oculista, riceve una visita di Lily disperata, che lo implora di operare nuovamente il pittore ritornato cieco. Börne, carico di rancore, acconsente a patto che la ballerina si tolga la vita. La donna si suicida per amore mentre il pittore, che non vuole più ritornare a vedere senza la sua amata, va nello studio di Börne che, pentito, si è ucciso.
Un melodramma con cui il regista “sembra esaurire il periodo del tirocinio ed aprire la strada verso le soluzioni stilistiche che diventeranno l’asse motodologico-formativo dell’attività di Murnau” (Tone). Nel film si fonde la recitazione espressionista di Veidt, il cui personaggio ricorda nelle movenze il Cesare di Caligari, e quella più teatrale di Olaf Fønss, attore danese poi attivo nel Socialdemokratiske Parti (Partito socialdemocratico).
Louis Delluc, regista e critico francese, scrisse riguardo a Der Gang in die Nacht: “Questo lungo film è sempre intelligente. La lezione americana è utilizzata e assimilata. Fa piacere vedere un film in cui si è preoccupati più dell’aspetto generale e del ritmo che del particolare inutile anche se bello”.
La pellicola, contrariamente alle precedenti, non è andata perduta ed è conservata al museo del cinema di Berlino. Venne recuperata nel dopo guerra da Henri Langlois, pioniere del restauro cinematografico, a Berlino Est, per poi essere integrata negli anni ’80 grazie ad un negativo originale conservato a Mosca. Le didascalie furono aggiunte successivamente, grazie ad un lavoro certosino sulla sceneggiatura. La versione di Der Gang in die Nacht che possiamo vedere oggi è la più fedele possibile all’opera originale di Murnau.
Nel 1919 il regista aveva iniziato a lavorare ad un soggetto tratto dal manoscritto “Der nie geküsste Mund” di Carl Heinz Jarosy. La sceneggiatura inizialmente intitolata Bajazzo riguardava, molto probabilmente, l’amore tragico di un artista, ma nel corso dei mesi successivi il film subì molte modifiche ed uscì solo nel febbraio del 1921 col titolo Sehnsucht (Nostalgia).
Ivan (Conrad Veidt), uno studente russo che vive povero in Svizzera, ha l’occasione di tornare in patria grazie all’invito di una lontana parente, la Granduchessa Wirsky (Gussy Holl). Per finanziarsi lavora come messaggero dei rivoluzionari che vogliono rovesciare proprio il Granduca Wirsky (Eugene Klöpfer) e si innamora di Marja (Margarete Schleger) figlia di un rivoluzionario. La Granduchessa, che è innamorata di lui, fa arrestare la ragazza e la manda in Siberia. Ivan strangola la donna e viene incarcerato. Trascorre il resto della sua vita pensando a Marja, che non ha mai baciato. Riesce ad evadere, ma quando scopre che la ragazza è morta durante la sua prigionia, si suicida.
Dei 1765 metri di pellicola non ne è rimasto uno. La scenografia venne nuovamente curata da Robert Neppach. Il film vide il debutto sul grande schermo di Hubert von Meyerinck, uno dei più prolifici attori tedeschi che terminò la carriera solo cinquanta anni dopo.
Nello stesso periodo uscì anche Marizza, genannt die Schmugglermadonna (Marizza, detta la signora dei contrabbandieri), girato tra l’ottobre e il novembre del 1920.
Marizza (Tzwetta Tzatschewa) è una prostituta che lavora in un campo di patate con la vecchia madre Yelina (Maria Forescu, attrice che nel 1942 sopravvisse miracolosamente ad una deportazione) legata ai contrabbandieri dei Balcani, ma sogna una vita diversa. Lasciata la casa materna trova ospitalità presso un nobile decaduto, Christo Avricolos (Leone nella versione italiana, Harry Frank), col quale stabilisce una relazione sentimentale. Ma la madre di Avricolos (Adele Sandrock), che è in affari col contrabbandiere Pietro Scarzella (Leonhard Haskel), convince Christo a sposare Sadja (Greta Schröder), la figlia di quest’ultimo, e ad allontanare Marizza. La ragazza, rimasta incinta, scappa via con Antonino (Hans Heinrich von Twardowski), il giovane fratello di Christo. I due finiscono a fare i cantastorie nelle osterie. Raggiunto il confine, i due giovani incontrano i contrabbandieri, i quali vorrebbero costringere Marizza a compiacere i doganieri per agire indisturbati. Ma la ragazza rifiuta e uccide uno dei contrabbandieri. Antonino prende su di se la colpa dell’omicidio. I soldati ben presto tendono una trappola alla banda che viene così sgominata.
Una tragedia in cinque atti, purtroppo perduta, tratta dal romanzo “Die Grune Auge Freund” scritto da Wolfgang Geiger che firmò la sceneggiatura insieme a Hans Janowitz. Un frammento del film, che era in possesso di un collezionista italiano, venne ritrovato e restaurato nel 2010 per poi essere proiettato per la prima volta nell’ottobre dello stesso anno alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone.
IL CASTELLO DI VOGELOD
Murnau, precoce e vorace lettore, fu influenzato anche dal cinema americano, quello di David W. Griffith in particolare, e dal cinema nordico, dal danese Urban Gad allo svedese Mauritz Stiller. Quest’ultime influenze, oltre che nei film precedenti (non semplici da ordinare e ricostruire), emersero con forza nel successivo Schloß Vogelöd (Il castello di Vogelod, conosciuto anche col titolo The Haunted Castle) dal romanzo d’appendice di Rudolf Stratz, pubblicato per la prima volta sul “Berliner Illustrirte Zeitung”. Il film uscì il 7 aprile 1921.
Nel castello di Vogelöd, alcuni uomini dell’alta società, sono riuniti per una battuta di caccia ospiti del barone von Vogelschrey (Arnold Korff). Il maltempo li costringe a pernottare e al gruppo si aggiunge, non invitato, anche il lugubre conte Johann Oetsch (Lothar Mehnert) accusato di essere responsabile della morte del fratello. Nella magione giunge anche la baronessa Safferstätt (Olga Tschechowa o Chekhova, grande attrice del cinema muto che aderì al Nazismo), vedova del conte ucciso, ora risposata col barone Safferstätt (Paul Bildt, poi di fede nazista) anch’egli nel castello. La donna, nonostante la difficoltà e l’imbarazzo, decide di restare per attendere padre Faramund, consigliere spirituale dell’ex marito, con quale desidera confessarsi. Giunto a Vogelöd il frate, dopo un primo colloquio, sparisce misteriosamente per ripresentarsi la mattina seguente e confessare finalmente la donna. La baronessa Safferstätt ricorda così il matrimonio col conte Peter Paul Oetsch (Paul Hartmann, altro attore inserito da Goebbels nella Gottbegnadeten) passato in poco tempo dall’amore all’indifferenza, con l’uomo sempre più interessato ad argomenti spirituali. Una sera, in presenza di Safferstätt amico di lunga data del marito, espresse il bisogno di qualcosa di trasgressivo. Questo suo desiderio, tra sguardi e ammiccamenti, era stato interpretato dal barone come una volontà di liberarsi del marito. Fu, pertanto, Safferstätt ad uccidere Oetsch. Alla fine della confessione padre Faramund si toglie la finta barba e la parrucca rivelando di essere il conte Johann Oetsch da sempre accusato ingiustamente, e che può ora ribadire la sua innocenza. Si confronta così col barone Safferstätt che, angosciato dal suo tremendo delitto, si toglie la vita. La baronessa si getta nel lago della tenuta, mentre giunge al castello il vero padre Faramund (Victor Bluetner).
Girato in sedici giorni, Schloß Vogelöd, ha un’impostazione teatrale e un’ambientazione affascinante, grazie alle riprese esterne del castello, a quelle della natura circostante e agli interni curati da Hermann Warm (autore di quelle de Il gabinetto del dottor Caligari prima e de La passione di Giovanna d’Arco dopo) ed esaltati dalla fotografia seguita da László Schäffer e Fritz Arno Wagner. Notevole l’uso insolito del flashback e diverse scene: il sogno tormentato del barone, il confronto “simmetrico” tra i coniugi Safferstätt, il colpo di scena finale. Un film che mostrò la capacità di Murnau di creare un’atmosfera di paura e orrore.
A contrario dei primi film di Murnau, Schloß Vogelöd è giunto intatto ai giorni nostri ed è stato restaurato nel 2002 dalla fondazione Friedrich Wilhelm Murnau che ha realizzato una ricostruzione del film partendo da un negativo originale conservato nella Deutsche Kinemathek e da una copia virata con le didascalie in portoghese conservata dalla Cinemateca Brasileira. Il film di Murnau vanta un debole remake girato tra il 1935 e il 1936 da Max Obal.
Quello che seguì fece la storia, non solo quella del cinema.
NOSFERATU
Il 26 maggio del 1897 lo scrittore irlandese Bram Stoker aveva dato alle stampe un romanzo su un vampiro ispirato alla figura di Vlad III di Valacchia, militare e governante rumeno che amava impalare i nemici, conosciuto anche col nome di Vlad Țepeș o, più semplicemente, Drăculea, figlio del drago. Il titolo del romanzo era, ovviamente, “Dracula”.
Il cinema non poteva rimanere indifferente al tema, soprattutto alla visione romantica ed elegante di un vampiro. Nel 1921 Enrico Dieckmann e Albin Grau, che avevano appena fondato una piccola casa di produzione, la Prana-Film, progettando diversi pellicole dedicate all’occulto e al soprannaturale, incaricarono Henrik Galeen, col quale Grau aveva in comune la passione per l’esoterismo, di scrivere una sceneggiatura ispirata liberamente al romanzo di Stoker.
Henrik Galeen, nato a Lemberg (oggi Leopoli) il 7 gennaio 1881, rimane una delle figure più misteriose dell’intera storia del cinema. Nato da una famiglia ebrea, nel 1906 iniziò a lavorare con Max Reinhardt divenendone suo assistente. Nel 1911 era già il direttore del Volksbühne, il “palco del popolo”, e lì conobbe Hanns Heinz Ewers occultista, seguace, come Albin Grau, del discusso esoterista Aleister Crowley, e, soprattutto, autore di romanzi dell’orrore. I due iniziarono a collaborare scrivendo, a due o quattro mani, film che anticiparono e definirono l’Espressionismo tedesco. Nel 1913 Ewers firmò Der Student von Prag (Lo studente di Praga) diretto da Stellan Rye, regista morto l’anno successivo al fronte; nel 1915 uscì Der Golem (Il Golem) diretto da Galeen insieme al protagonista Paul Wegener, film perduto meno noto del successivo Der Golem, wie er in die Welt kam (Il Golem – Come venne al mondo, 1920) scritto ancora da Galeen.
Per il nuovo film il regista e sceneggiatore trasferì la storia di Dracula nel borgo immaginario di Wisborg e nei Carpazi, al posto della Transilvania, introdusse nuovi elementi, tra questi il vampiro che porta un’epidemia in città, eliminò il personaggio chiave del cacciatore di vampiri Van Helsing, in qualche modo rintracciabile poi nella parte interpretata da John Gottowt (amico di Galeen che gli aveva presentato la prima moglie, l’attrice svedese Elvira Adler) e cambiò il nome dei personaggi. Jonathan Harker divenne Thomas Hutter, Mina venne sostituita da Ellen, Renfield lasciò il posto a Knock, ma soprattutto il conte Dracula divenne il conte Orlok. Un “non morto”, Nosferatu che divenne il titolo del film, più precisamente Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, uscito in Italia col titolo Nosferatu il vampiro, ma letteralmente Una sinfonia dell’orrore.
Enrico Dieckmann e Albin Grau terminata la sceneggiatura di Galeen, scelsero anche il regista che ovviamente fu Friedrich Wilhelm Murnau.
Le riprese iniziarono nel luglio del 1921. Gli esterni furono girati prevalentemente a Wismar, cittadina della Germania che si affaccia sul Baltico, a Lubecca e nella Slovacchia settentrionale incluso il castello di Orava che divenne quello del conte Orlok. Gli interni, invece, vennero girati presso gli studi JOFA a Berlino, noti anche come studi Johannisthal, fondati l’anno prima nell’area di un aeroporto dismesso e divenuti il principale centro della Repubblica di Weimar.
Le musiche di accompagnamento furono composte da Hans Erdmann, l’operatore, che ebbe sono una cinepresa con cui lavorare, fu Fritz Arno Wagner, mentre le scenografie vennero curate dallo stesso Albin Grau. Anticipato da una sontuosa e terrificante campagna pubblicitaria, il 4 marzo del 1922 si tenne a Berlino la prima di Nosferatu.
Wisborg 1838 (in alcune vecchie edizioni è indicata Brema). Il giovane e solare Thomas Hutter (Gustav von Wangenheim) lavora presso l’agenzia immobiliare del sinistro Knock (Alexander Granach) che lo invia nei Carpazi per chiudere la vendita di un immobile abbandonato al conte Orlok. Thomas, prima di partire, affida la giovane moglie Ellen (Greta Schröder), istintivamente preoccupata, alle cure amorevoli della sorella Annie (Ruth Landshoff) e del marito Harding (Georg H. Schnell). Il lungo viaggio non è semplice, ma Hutter, nonostante le superstizioni della gente locale e la lettura del “Libro dei vampiri”, giunge all’isolato castello del conte Orlok (Max Schreck) che, rimasto affascinato da un medaglione col ritratto di Ellen, firma il contratto di acquisto della casa. La ragazza “sente” da lontano questi momenti, mentre Hutter la mattina seguente si trova due strane punture sul collo. Inizialmente, scrivendo anche alla moglie, pensa possano essere delle zanzare, ma poi capisce, trovandolo in una bara, che il conte è un Nosferatu, un non morto, come descritto nel libro letto giorni prima. Orlok una notte parte, con un carico di bare piene di terra, alla volta di Wisborg. Sul veliero che lo trasporta un’epidemia colpisce i marinai, l’ultimo a morire è, per mano del vampiro, il capitano (Max Nemetz). Anche Hutter, dopo essere stato imprigionato nel castello riesce, rocambolescamente, a rientrare a Wisborg e a riabbracciare Ellen sempre più turbata da visioni notturne. E mentre anche la scienza, grazie al professor Bulwer (John Gottowt), inizia ad interessarsi del vampirismo, la città è invasa dai topi e in preda della peste. La popolazione accusa Knock, recluso e sotto l’influenza di Orlok, e lo lincia, ma Ellen, che nonostante la contrarietà del marito, ha letto il “Libro dei vampiri”, capisce che solo il sacrificio di una donna pura possa sconfiggere il Male. Così, chiedendo a Thomas di andare dal professor Bulwer, chiama a se Nosferatu che da giorni la guarda, quasi innamorato, dalla sua finestra. Orlok giunge in camera posa i suoi denti sul collo della ragazza e non si accorge che il sole sta sorgendo. Si dissolve così alla luce del giorno.
Un’autentica “sinfonia dell’orrore”, figurarsi per il pubblico dell’epoca, con cui Murnau riuscì ad inventare un genere. Il regista seguì la sceneggiatura di Galeen modificando, tuttavia, alcune parti. Soprattutto nel finale: inventò la morte del vampiro alla luce del sole. Elemento ormai nell’immaginario collettivo, ma non presente ne nel romanzo di Stoker, ne nell’adattamento di Galeen. Non solo. Nel romanzo il vampiro viene sconfitto dalla scienza, nel film dall’amore.
Non meno importanti furono altre scelte del regista. Le sovrimpressioni, le dissolvenze, l’uso di esterni naturali, ancora una volta ispirati dal cinema svedese e dal coevo Körkarlen (Il carretto fantasma) diretto da Victor Sjöström, l’uso delle ombre, nella storia del cinema quella di Nosferatu proiettata sul muro mentre sale le scale per raggiungere Ellen. Notevoli anche gli effetti speciali: dallo sviluppo in negativo del passaggio della carrozza nella foresta, con gli alberi bianchi, che rese la scena ancora più spettrale, alla tecnica di girare “fotogramma per fotogramma” i movimenti di Nosferatu per renderlo più forte e inquietante, fino ad arrivare ai procedimenti di stampa che fecero risultare le acque sui cui viaggia la nave del vampiro quasi fosforescenti.
Già alla sua uscita Nosferatu ottenne critiche positive. Pochi giorni dopo la proiezione del film il poeta Béla Balázs scrisse: “Nosferatu è il primo film, dall’uscita di Caligari, che non ci fa venire i brividi con ridicoli e complicati strumenti di morte e di tortura, dove la paura non viene da pericolosi ritrovati della tecnica, ma da impenetrabili misteri della natura. […] L’eccellente regista di questo film ci dimostra ancora che il soprannaturale è da ricercarsi proprio nella natura”. Aggiungendo che dallo schermo giungevano agli spettatori “I gelidi soffi dell’aldilà”.
Uno dei capisaldi dell’Espressionismo tedesco che superò le convenzioni per diventare “una delle più alte rappresentazioni dell’istinto di morte che si nasconde dietro l’uomo civilizzato”. E se il mondo dei morti è rappresentato dall’inquietante Nosferatu, figura rigidamente contorta e scheletrica, le unghie artigliate, le occhiaie incavate, la collocazione sociale del mondo dei vivi è precisa, è la “borghesia commerciale tedesca nel secolo scorso” (Mora).
Uno dei grandi capolavori della storia del cinema che, come spesso capita, non ottenne un grande successo di pubblico. In Svezia venne proibito per venti anni. In Italia giunse solo il 24 settembre 1962 in televisione, all’interno della rubrica “Quando il cinema non sapeva parlare”, per poi uscire al cinema nel 2016 grazie alla Cineteca di Bologna all’interno della rassegna “Il cinema ritrovato”.
Per il regista tedesco Werner Herzog “Il Nosferatu di Murnau è il più grande e importante dei film che sia mai stato fatto in Germania […] Ha dato al cinema tedesco una legittimità che poi Hitler avrebbe distrutto. Per questo è per me un film così importante. La nostra è una generazione orfana di grandi cineasti, non ha potuto appoggiarsi a nessuna tradizione. Non è andata come in Francia, in Italia o in Unione Sovietica, dove la continuità è stata assicurata. In Germania s’è prodotto un vuoto che niente potrà mai riempire. Prima della guerra avevamo grandi filosofi, compositori, matematici… Tutto spazzato via. Sono anelli d’una catena che non si riallaccerà mai”.
Con ammirazione e rispetto Herzog nel 1979 realizzò il non meno celebre Nosferatu: Phantom der Nacht (Nosferatu, il principe della notte), film più visionario e dalla componente più erotica e sensuale, con Klaus Kinski, Isabelle Adjani e Bruno Ganz. Un altro remake, molto più horror, uscirà, invece, nel 2025, Nosferatu diretto da Robert Eggers con Bill Skarsgård e Willem Dafoe.
L’avvento di Hitler, richiamato da Herzog, segnò non solo la fine di quella stagione del cinema tedesco, ma anche il destino dei protagonisti di Nosferatu. Lo sceneggiatore Henrik Galeen continuò a scrivere e dirigere film espressionisti, tra questi, Das Wachsfigurenkabinett (Il gabinetto delle figure di cera, 1924) per la regia di Paul Leni, Der Student von Prag (Lo studente di Praga, 1926) con Conrad Veidt e Werner Krauss e Alraune (La mandragola, 1928) con Brigitte Helm e Paul Wegener. Con l’avvento del Nazismo emigrò negli Stati Uniti e di fatto la sua carriera finì. Nel 1943 provò a scrivere, senza successo, una nuova sceneggiatura del Golem in chiave antinazista. Dopo aver gestito col figlio Ivar Galeen una panetteria a New York, si sposò una seconda volta con la baronessa Ilse von Schenk. Morì il 30 luglio 1949 a Randolph, nel Vermont, dopo una lunga battaglia contro il cancro.
Andò negli Stati Uniti anche Alexander Granach (Werbowitz, 18 aprile 1890), pseudonimo di Jessaja Gronach, l’inquietante Knock nel film di Murnau. Nella Repubblica di Weimar continuò a recitare con successo, da Schatten (Ombre ammonitrici, 1923) di Arthur Robison a Kameradschaft (La tragedia della miniera, 1931), per poi emigrare prima in URSS, poi, appunto, negli USA. A Hollywood divenne Kopalski uno dei commissari sovietici mandati a Parigi per vendere i gioielli sequestrati durante la Rivoluzione nel film Ninotchka, straordinaria commedia di Ernst Lubitsch, al fianco della Divina Greta Garbo. Granach recitò, inoltre, in film antinazisti quali Hangmen also die (Anche i boia muoiono, 1943) di Fritz Lang e The Hitler Gang (1944) diretto da John Farrow, prima di spegnersi a New York il 14 marzo 1945.
Antinazista anche Gustav von Wangenheim (Wiesbaden, 18 febbraio 1895 – Berlino, 5 agosto 1975), Hutter nel Nosferatu di Murnau. Iscritto al Kommunistische Partei Deutschlands (Partito Comunista di Germania, KPD) dal 1921, fondò una compagnia teatrale comunista, la Die Truppe ’31, che portò sul palco opere anticapitaliste e antinaziste, prima di trovare rifugio in Unione Sovietica (una delle sue prime opere fu “Der Mann Fjodor” sulla Rivoluzione d’Ottobre). A Mosca continuò a scrivere e recitare, su tutti il film Borzy (Combattente, 1936) da lui diretto che parla della resistenza operaia al fascismo e al nazismo. Diresse anche il cabaret “Kolonne Links” dove si esibirono, tra gli altri, Carola Neher e il marito Anatol Becker fuggiti anche loro dalla Germania nazista (il fratello dell’attrice era stato deportato a Dachau). Gustav von Wangenheim, stalinista convinto, nell’ambito della “Grande Purga” li denunciò come controrivoluzionari trotskisti. Becker fu giustiziato, Neher morì dopo 5 anni di gulag. Terminata la guerra Gustav von Wangenheim tornò a Berlino, rigorosamente nella Germania Est, dove morì nel 1975.
Ben più tragica la sorte di John Gottowt il professor Bulwer in Nosferatu. Nato a Lemberg il 15 giugno 1881 aveva debuttato su un palcoscenico con Max Reinhardt, per poi alternare con successo l’attività cinematografica a quella teatrale. Recitò, tra gli altri, in Der Student von Prag (Lo studente di Praga, 1913), Der Bucklige und die Tänzerin (Il gobbo e la ballerina, 1920) di Murnau, Genuine (1920) di Robert Wiene, Das Wachsfigurenkabinett (Il gabinetto delle figura di cera, 1924) di Paul Leni. Diresse, inoltre, con l’amico fraterno Henrik Galeen, il teatro Kommendantenstraße a Berlino, riscuotendo grande successo. Nel 1933, con la salita al potere di Hitler, venne segnalato come ebreo alle autorità. Lasciò la Germania per rifugiarsi prima in Danimarca poi a Cracovia dove si nascose travestito da prete cattolico. Venne ucciso a sangue freddo da un ufficiale delle SS a Wieliczka, cittadina a sud della Polonia.
E il conte Orlok? Per decenni si è fantasticato su chi fosse veramente. Alcuni scrissero che era Murnau sotto un pesante trucco, altri teorizzarono che fosse davvero un vampiro scoperto dal regista, fantasia alla base del film di Shadow of the Vampire (L’ombra del vampiro, 2000) film diretto da E. Elias Merhige, con Willem Dafoe, candidato all’Oscar, nei panni del vampiro, e John Malkovich in quelli di Murnau. Più semplicemente Nosferatu venne interpretato dall’attore Max Schreck (Berlino-Friedenau, 6 settembre 1879 – Monaco di Baviera, 20 febbraio 1936). Lavorò sia a teatro, tra l’altro con Bertolt Brecht, sia al cinema diretto da Max Ophüls, Wilhelm Dieterle, Karl Grune e perfino dall’italiano Augusto Genina in Scampolo (1928) nel primo e unico film muto interpretato da Anna Magnani. Max Schreck recitò fino alla morte in decine di film, ma fu solo Murnau a dargli l’immortalità.
Tornando alla pellicola nell’aprile del 1922 Florence Balcombe, vedova di Bram Stoker, intentò causa, su suggerimento della British Incorporated Society of Authors alla quale si era appena iscritta, contro gli autori di Nosferatu. All’epoca le leggi sul diritto d’autore erano labili e non esistevano precedenti, ma nel luglio del 1925, dopo tre anni di dibattimenti, ottenne un risarcimento e la distruzione di tutte le copie esistenti del film. La Prana-Film, non essendo in grado di pagare, chiuse i battenti. Nosferatu rimarrà la sua unica straordinaria produzione e Albin Grau tornerà al mondo dell’occulto prima di diventare, nel dopoguerra, un pubblicitario.
Le copie del film, come stabilito, vennero invece sequestrate e distrutte. Non tutte, fortunatamente, visto che la pellicola era già stato distribuita in mezzo mondo. Da quelle copie nel corso degli anni, oltre ad una non brillante versione sonorizzata del 1930, Nosferatu è stato ricostruito e restaurato. La versione più completa è quella curata dalla fondazione Friedrich Wilhelm Murnau nel 2006 in cui ogni fotogramma è stato pulito dall’usura del tempo partendo da una versione virata (ad esempio con le scene notturne in blu, anche se si intuisce dalle ombre che il film fu girato in pieno giorno) conservata nella cineteca nazionale francese e da due copie dell’archivio federale tedesco. Questa versione è quella distribuita nei cinema dalla Cineteca di Bologna.
Nonostante la causa di Florence Balcombe, che riuscì a vendere i diritti del romanzo del marito alla Universal che ne trasse il film Dracula con Bela Lugosi, Friedrich Wilhelm Murnau continuò a fare grande cinema.
redazionale
LA SECONDA PARTE USCIRà il 27 novembre
Bibliografia
“Friedrich Wilhelm Murnau” di Pier Giorgio Tole – Castoro
“Friedrich Wilhelm Murnau” a cura di Bruno Di Marino e Giovanni Spagnoletti – Dino Audino editore
“Da Caligari a Hitler. Storia psicologica del cinema tedesco” di Siegfried Kracauer – Lindau
“Da Caligari a M. Cinema espressionista e d’avanguardia tedesco” – Museo del cinema
“Werner Herzog” di Fabrizio Grosoli – Castoro
“Storia del cinema e dei film” di David Bordwell e Kristin Thompson – Lindau
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2012” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
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