Sciopero auto, la piazza è piena: «Uniti si vince»

In 20mila a Roma sfilano contro Stellantis e bugie di governo: «Tavares si tagli il compenso e Meloni lo faccia investire in Italia»

Partito sotto la pioggia e finito con il sole, il corteo per lo sciopero generale unitario dell’automotive è stato indubbiamente un successo. Ventimila lavoratori sono arrivati a Roma da tutta Italia, sfilando nel classico tracciato da piazza Barberini a una piazza del Popolo delimitata dai modelli di auto prodotte in Italia.

«Sempre meno e senza nuovi modelli», denunciano Fim, Fiom e Uilm che ieri hanno suggellato nazionalmente la ritrovata unità dopo i decenni di profonde spaccature dovute all’era Marchionne. Il nome del manager della rivoluzione Fca è stato volutamente omesso sul palco, tutti fedeli al dettame «uniti e compatti, ognuno nella propria autonomia», sintetizzato da un delegato di Pomigliano.

La piazza ne è stata la plastica dimostrazione: tre tronconi separati con i rossi della Fiom a sinistra, l’azzurro della Uilm al centro e il verde della Fim Cisl a destra. L’effetto cromatico colpiva anche perché se tra i metalmeccanici l’unità è stata ritrovata, fra confederazioni manca dalle manifestazioni della primavera dell’anno scorso, mentre l’ultimo sciopero generale unitario risale al 2013. Nell’auto mancava dal febbraio del 1994, trent’anni esatti nei quali il numero di veicoli prodotti in Italia è drasticamente calato così come la centralità dell’industria.

Il declino e la lotta sono comuni a tutta Europa e perfino agli Stati Uniti: Judit Kirton Darlin della confederazione continentale IndustriAllEurope e Brandon Campbell del sindacato americano Uaw lo spiegano con fervore dal palco (con annessa traduzione) mentre il capo dell’Uaw Shawn Fain aveva in mattinata mandato un video indossando la felpa della Fiom – che l’anno scorso aveva partecipato ai picchetti davanti agli stabilimenti per il rinnovo del contratto – chiamando alla lotta globale contro il «nemico comune» al grido «quando tutti i lavoratori dell’auto si fermano, hanno tutto il potere: senza prodotti non c’è profitto, senza profitto l’azienda non può operare».

A testimoniare la gravità della situazione, ad aprire il corteo sono stati i gonfaloni dei comuni che ospitano stabilimenti Stellantis, tutti presenti con i propri sindaci. Lo sfilare degli striscioni dei vari stabilimenti è una sorta di via crucis fra le crisi industriali. Se l’epicentro è la storica Mirafiori, scendendo lo stivale c’è il dramma della Maserati con in primis Modena, per passare a Cassino e Atessa (dove si producono i veicoli commerciali, storicamente mai in difficoltà) e per finire con Pomigliano e Melfi e con Termoli.

Proprio i lavoratori della fabbrica molisana solo due anni fa sembravano essere i più fortunati: «Produciamo motori ed eravamo in crisi – racconta Carmelo – l’annuncio della gigafactory per produrre batterie ci aveva dato speranza nel futuro, ma dopo mesi di attesa per la partenza dei lavori è arrivata la doccia fredda dello stop all’investimento e oggi siamo in pieno dramma».

A stare ancora peggio sono i lavoratori della componentistica, filiera gioiello che lavorava in gran parte anche per i grandi produttori tedeschi: qui gli ammortizzatori sono finiti e i licenziamenti e le chiusure sono realtà.

I dati li snocciola dal palco Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl: «La situazione sta precipitando: 13 mila lavoratori in meno in pochi anni, nel 2024 chiuderemo con meno di 500 mila veicoli prodotte, Mirafiori è a meno 70% sul 2023, Modena al 76%, Cassino al 44%, Melfi al 62%». E allora se i «vertici di Stellantis hanno delle responsabilità sul crollo del mercato tanto che ben cinque manager globali sono stati fatti fuori pochi giorni fa», le parole di John Elkann del nonno sullo «spirito Fiat» porta il leader Fim alla citazione al contrario: «Ascolta e impara, John, ascolta e impara da questa piazza».

I segretari si alternano con lavoratori e delegati che raccontano le loro vite colpite dalla crisi: «Se va bene si lavora due giorni al mese», «siamo in cassa integrazione da dieci anni», «ci sentiamo più dipendenti dell’Inps che di Stellantis».

«Siamo davanti a un paradosso inaccettabile: l’azienda va malissimo ma pochi mesi fa sono stati distribuiti 6 miliardi di dividendi agli azionisti e 40 milioni di dollari a Tavares», urla il leader Uilm Rocco Palombella. Che al capo di Stellantis rinfaccia quanto dichiarato in audizione parlamentare: «Tavares non ci provare, a noi non hai mai dato un piano industriale, solo annunci che puntualmente non hai rispettato».

A chiudere la «storica, memorabile giornata» è stato il comizio del segretario Fiom Michele De Palma. «Pensavano di averci divisi, frantumati – ha esordito – quando i riflettori erano tutti per i manager e la politica faceva la fila a stringere mani o fare selfie. Hanno citato anche la “marcia dei 40mila” del 1980 ma avevamo ragione anche lì perché i dipendenti Stellantis oramai sono meno di 40mila».

Per Tavares il messaggio è molto chiaro: «Siamo rancorosi? No, siamo proprio incazzati e vogliamo cancellare la parola cassa integrazione dalle nostre vite. Tavares parla solo di tagli, ma l’unico taglio di cui Stellantis ha bisogno è quello al suo stipendio per usare quei soldi per ricerca e sviluppo», continua De Palma. L’attacco al governo è frontale: «L’amministrazione Usa ha chiesto a Tavares di rispettare gli impegni, perché Meloni non manda anche lei una lettera? È ora che a palazzo Chigi si negozi realmente su come gestire la transizione all’elettrico», chiude il segretario Fiom.

MASSIMO FRANCHI

da il manifesto.it

foto tratta dalla pagina Facebook della CGIL nazionale

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