Sono tre i motivi per cui la giudice del tribunale di Brindisi Roberta Marra ha deciso di mandare il cosiddetto decreto Piantedosi sulle Ong davanti alla Corte costituzionale: la sanzione fissa del fermo amministrativo delle navi (20 giorni per tutti), il fatto che a stabilire il contenuto di merito delle sanzioni sia un’autorità non italiana (in questo caso la guardia costiera libica) e il fatto che con questi divieti imposti dal governo l’Italia sia sostanzialmente venuta meno ad alcuni dei suoi obblighi internazionali.
Il caso, sollevato grazie a un ricorso di Sos Méditerranée contro l’ennesimo fermo amministrativo a una delle sue navi, rischia di smontare il famigerato decreto con cui il governo Meloni pensava di aver inferto un colpo mortale alle Ong e che, in effetti, a guardare i numeri, qualche problema (ai migranti e a chi vuole salvarli) l’ha creato: dal 2023, quando è entrata in vigore la legge, sono state comminati 25 fermi, per un totale di 557 giorni di inattività nel Mediterraneo. Quasi due anni, cioè, in cui i migranti hanno continuato a partire dalle coste africane nel tentativo di raggiungere l’Europa senza che nessuno avesse la possibilità di salvarli in caso di naufragio.
«Il governo italiano in questi due anni ha prodotto numerosi interventi legislativi illegittimi – ha detto il responsabile Immigrazione di Arci Filippo Miraglia ieri durante il festival Sabir a Roma – sapendo già che sarebbero andati a scontrarsi con qualche tribunale. Adesso per fortuna il decreto Piantedosi contro le ong andrà alla Corte costituzionale. Questa irrefrenabile pulsione a produrre leggi che non rispettano la Costituzione e le convenzioni internazionali serve alla loro propaganda, ma questo va denunciato e contrastato».
Sotto accusa, hanno poi spiegato gli avvocati Francesca Cancellato e Dario Belluccio c’è l’intero impianto del decreto: «Parliamo di una legge ingiusta e discriminatoria che adesso finalmente viene messa in discussione. Questo è importante per molte ragioni. Innanzitutto, vengono legittimati anche dal punto di vista legale i rilievi e le critiche che le organizzazioni civili del soccorso in mare hanno mosso verso questa legge inutile e dannosa».
La questione per il governo è particolarmente insidiosa. Il fatto che il fermo amministrativo per le ong sia automaticamente di 20 giorni appare del tutto incompatibile con i principi costituzionali di gradualità e proporzionalità della sanzione. Parliamo di diritto amministrativo, ma il principio è più o meno lo stesso che, con il caso Cospito, ha portato a un sensibile cambiamento del codice penale, con la dichiarazione di incostituzionalità della pena fissa.
Non meno importante la parte dedicata al principio di determinatezza, «corollario del principio di legalità, nella misura in cui, nel descrivere la condotta suscettibile di sanzione amministrativa, richiama per relationem l’ordine impartito dall’autorità incaricata di coordinare le operazioni di soccorso».
Questo perché, per arrivare a comminare una sanzione, bisogna necessariamente descrivere tutti gli aspetti della «condotta criminosa» con il giudice che poi «volta per volta» è chiamato a chiarire se il provvedimento dell’autorità sia stato redatto «con sufficiente specificazione». In altre parole, se a descrivere «la condotta criminosa» di una ong è la guardia costiera libica, autorità da più parti messa in discussione e sulla cui legittimità esistono pareri anche molto severi espressi negli anni da un buon numero di giudici di merito, come si può valutare la bontà del provvedimento?
Infine la questione più delicata: l’Italia è tra i paesi sottoscrittori della Convenzione di Amburgo del 1979, quella che impone di «garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata». Ostacolare chi fa ricerca e salvataggio in mare è in evidente contrasto con questo principio.
MARIO DI VITO
Foto di Leena