Il modo di produzione eterosessuale e i suoi effetti collaterali

«Un materialismo queer è possibile», il nuovo libro di Federico Zappino edito da Mimesis

La prospettiva filosofica e politica di Un materialismo queer è possibile (Mimesis, pp. 394, euro 22) è esplicitata da Federico Zappino sin dalle prime righe: non confondere il «metodo di analisi» di Marx con il suo «oggetto di analisi», ossia le dinamiche conflittuali tra capitale e lavoro.

Con precisione e lucidità e facendo leva sul pensiero di Butler, Foucault, Gramsci, Mieli e Wittig, Zappino mostra come il modo di produzione capitalistico si affianchi a, e si avvalga del, «modo di produzione eterosessuale» e che la discriminazione sessuale e di genere con tutta la sua violenza, lungi dall’essere frutto di un pregiudizio «irrazionale, anacronistico o residuale del dominio capitalista contemporaneo», è «parte della sua stessa ontologia produttiva primaria», il risultato di una ben precisa «condizione strutturale di produzione delle società moderne».

«Lottare per un comunismo queer» corrisponde allora al rifiuto dell’idea liberale secondo cui, prima o poi, «lo sfruttatore deponga i propri pregiudizi, e trovi un modo “inclusivo” di essere un buon sfruttatore» a favore di una lotta di classe (sessuale e di genere) volta a sovvertire la norma che incessantemente lavora alla produzione di due generi eterosessuali.

Pertanto, esattamente come è il caso della lotta tra forza lavoro e detentori dei mezzi di produzione, il materialismo queer dovrebbe smantellare i dispositivi tesi a naturalizzare/normalizzare le disuguaglianze in differenze: «Nessuna inclusione può darsi in assenza di una critica dei differenziali di potere che strutturano quel dato campo come escludente».

«Ma c’è di più: ogni soggetto prende parte alle relazioni sociali recando già da sempre, in sé e con sé, un genere. E se questo genere è venuto producendosi per mezzo di una relazionalità gerarchica, ciò significa che esso costituisce il perno per mezzo del quale si produce – e si riproduce – ogni diseguaglianza sociale».

E Zappino va ancora più in là, indicando la necessità di estendere lo stesso metodo di analisi ad altri modi di produzione dell’«uomo», tra i quali, non certo da ultimo, figura il modo di produzione specista strettamente legato a quello eterosessuale se, come afferma Benveniste, «una distinzione immediata e necessaria, in una società di allevatori, è quella tra animali maschi e femmine».

È sempre più urgente non solo riflettere sui modi in cui il Capitale mette a lavoro le differenze, ma anche e soprattutto su come quelle differenze vengano prodotte, abbandonando la dicotomia struttura/sovrastruttura al fine di «riconcettualizzare la “struttura” marxianamente intesa».

Motivo per cui le lotte di liberazione dovrebbero concepire l’ideologia non come la copertura di una qualche «realtà “autentica”», ma come «una “concezione del mondo, che può ben essere “alternativa” alla concezione del mondo dominante». In breve, l’intreccio tra marxismo e queer rende possibile «desiderare l’impossibile»: «Rifondare un mondo in cui sia possibile elaborare forme di protezione dell’impossibilità senza sradicarla, ma anzi trasformandola nell’unica maniera di essere possibili».

MASSIMO FILIPPI

da il manifesto.it

Foto di Pixabay

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