Andrea Costa è presidente di Baobab Experience, onlus che da anni si occupa di fornire assistenza ai migranti che transitano per Roma.
Dopo lo sgombero di Castro Pretorio avete fatto un comunicato parlando di «violenza» sui senza casa, perché?
Di sicuro nessuno può difendere le tendopoli dove le persone sono abbandonate a loro stesse ma questi interventi avvengono sempre in nome del decoro urbano più che nella necessità di trovare una soluzione ai troppi senzatetto che ci sono in città. Soprattutto in una zona come quella, tra le due stazioni principali della Capitale, doveva essere fatto tutto diversamente.
Cosa contesta dell’operazione?
Si doveva programmare. Abbiamo subito innumerevoli sgomberi, almeno un paio eravamo riusciti a concordarli con le autorità. Questo vuol dire avvisare le persone, parlare con loro per capire chi sono, distinguere la persona che pur lavorando deve dormire in tenda, quella che ha problemi di dipendenza, la madre con bambini. Ognuno comporta un tipo di approccio diverso e una risposta assistenziale diversa. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, arrivare con i mezzi e distruggere le poche cose delle persone.
Quest’ultimo sgombero sembra avere creato molte polemiche a sinistra.
Ci sono stati comunicati e contro comunicati. Sembra che le istituzioni, tutte, non riescano neanche più a dialogare con la città, la politica è sempre in modalità emergenza. Ma queste cose sono il frutto di un effetto domino
Che parte da dove?
Dalla mancanza di politiche della casa. Si poteva prevedere che il Giubileo avrebbe esasperato la questione abitativa: vengono sfrattati anche cittadini romani con regolare contratto perché ai proprietari conviene affittarlo a settimane o al giorno. È una questione che riguarda tutte le città d’arte ma mentre altrove, in Spagna per esempio, i movimenti hanno sferzato la politica a dare risposte, da noi non succede niente. Riconosco che per Roma il turismo è una ricchezza, però così la città è condannata a morire.
Alcuni comitati non vogliono strutture di accoglienza nei loro quartieri per questioni di sicurezza.
Io abito all’Esquilino, un quartiere ad alta presenza di migranti, e ho due figlie. Mi rendo conto del senso di insicurezza che può dare una persona ubriaca per strada, che tira bottiglie o urina sulle aiuole, ma bisogna capire che la nostra sicurezza passa innanzitutto da quella di queste persone, abbandonate a loro stesse. Ci vuole un esercito di psicologi, non di poliziotti. E non è neanche un problema di decoro. Per noi di Baobab costruire un rapporto con il quartiere non è stata una cosa semplice: quando abbiamo avuto 800 persone accampate tra via Tiburtina e via Cupa, lo sforzo grande era quello di tenere pulita l’area. Dopodiché Roma è una città sporca di suo e non per i migranti.
Le tensostrutture sono uno strumento efficace?
Non per tutti, per i migranti transitanti sì. Ma i posti possono non bastare, sono migliaia i senza tetto nella nostra città. Mi rendo conto che con il Giubileo sono finalmente arrivati soldi per costruire le tensostrutture o le mense, però è assurdo che ci si riduca sempre ad azioni spot dovute ai grandi eventi e non si fanno interventi strutturali. Questa amministrazione ha fatto più delle precedenti però è l’impianto generale che è sbagliato: percepire sempre migranti e poveri come un fastidio e rendere tutto punitivo. Ribaltare questa logica è la prima cosa da fare.
LUCIANA CIMINO
Foto di Ahmet Polat