I guai sono arrivati tutti insieme e tutti alla fine. Quando la manifestazione convocata da Udap, Giovani Palestinesi e Associazione dei palestinesi in Italia era stata appena sciolta dagli organizzatori, un drappello di poche decine di persone ha cercato di forzare il blocco della polizia tra Piramide e viale Ostiense.
La carica di alleggerimento è durata lo spazio di pochi minuti, poi dalle retrovie è avanzato un altro gruppo di manifestanti (anche qui nell’ordine delle poche decine) che ha dato vita a una sassaiola corredata da petardi e lì la risposta delle forze dell’ordine è stata più veemente: lacrimogeni, idranti sparati non in orizzontale ma dall’alto e infine una carica più dura, arrivata fino alla metà del piazzale.
Il bilancio finale è di tre feriti, quattro fermati, che vanno ad aggiungersi ai 19 che erano stati fermati in mattinata mentre cercavano di raggiungere Roma, con 38 fogli di via firmati al volo. In totale, fanno sapere dalla questura, i controllati sono stati 1.600. Ventiquattro i contusi tra le forze dell’ordine.
In piazza le presenze hanno toccato almeno quota diecimila, malgrado la pioggia e lo sciopero dei mezzi pubblici. La mattina si era aperta con Radio Onda Rossa che ha anticipato persino il notiziario di Radio Rai nel dire che la «manifestazione statica» era stata infine concessa, mentre su Whatsapp giravano numeri di telefono di avvocati da chiamare in caso di bisogno.
C’erano studenti in grandi quantità, famiglie con bambini, vecchie glorie del movimento e tanta gente comune accorsa non soltanto per mostrare la sua vicinanza ai palestinesi che ogni giorno continuano a morire a centinaia, ma anche per il clima che si era venuto a creare nei giorni precedenti al corteo, tra divieti e allarmi, mentre sullo sfondo resta il tema del nuovo durissimo ddl sicurezza che a breve diventerà legge.
Così abbiamo incontrato il settantenne con il fazzoletto dell’Anpi al collo e l’aria di quello che non si perde una manifestazione, la mamma accorsa a controllare il figlio sedicenne, la ragazza alla quale non interessa la piattaforma della convocazione e tiene a ribadire di non voler «rispondere a quello che scrivono gli altri». Tra i volti notevoli si è visto anche quello imbiancato di Roberto Nistri, ex Terza posizione e tra i fondatori dei Nar, macchina fotografica al collo e zaino sulle spalle. Nessuno si è accorto di lui, forse perché nessuno sapeva chi fosse (stato).
In questo contesto i gruppi organizzati si sono fatti notare solo per le loro bandiere, ma non sono stati i protagonisti della piazza. Anzi, nel minuetto che ha tenuto banco per gran parte del pomeriggio – corteo sì, corteo no, corteo forse – non si riusciva a capire chi avesse l’incarico di gestire la pratica, cioè chi materialmente avrebbe dovuto spiegare al megafono il da farsi.
Così, se ogni entrata di piazzale Ostiense era stata blindata (con gli agenti che sono per lo più rimasti dietro ai mezzi quasi tutto il tempo), quando la massa si è mossa non ha potuto fare altro che girare intorno all’aiuola, formando un curioso serpentone che si è mosso in tondo. Sembrava finita lì, e invece all’improvviso quella che aveva tutta l’aria di una manifestazione tranquilla, quasi anonima considerate le premesse, si è trasformata in un episodio di tafferugli (e già si sprecano le solite voci sugli infiltrati).
Non tutti, peraltro, si erano accorti di quanto stava accadendo: i più lontani dall’imbocco di viale Ostiense hanno preso atto della situazione solo quando la carica è arrivata fino a quasi il centro della piazza, dove qualche decina di studenti stava ballando la musica arabtronica sparata dalle casse del furgoncino degli organizzatori.
Prima, sotto un cielo plumbeo e una pioggia battente che ci ha messo un paio d’ore abbondanti a lasciar spazio al sole, la sfilza di interventi non ha deluso le aspettative di chi era venuto solo a cercare lo scandalo. Va detto che lo spettacolino oratorio sembrava proprio costruito ad uso e consumo esclusivo dei giornalisti (pure attaccati perché non racconterebbero la verità su quanto accade in Medio Oriente).
Lo spazio davanti al microfono, infatti, era stato riservato ai soli cronisti, con il servizio d’ordine che si aggirava per chiedere ai manifestanti «semplici» di mettersi dietro ai cordoni. In mezzo alla folla si è venuto a creare uno spiazzo per le telecamere, i microfoni e i taccuini, mentre intorno la stragrande maggioranza dei presenti intonava cori e slogan ormai consueti: Palestina libera, From the river to the sea Palestine will be free, Netanyahu assassino, intifada intifada!
Si diceva degli interventi: mentre all’inizio le voci dei palestinesi erano tutte concentrate a parlare della carneficina di Gaza, quando è venuto il tempo delle sigle, diciamo, locali sono arrivate anche le evitabilissime celebrazioni del 7 ottobre 2023 come data d’inizio di una rivoluzione o, dipende, eccezionale momento di resistenza. Non è sfuggito nemmeno il tizio col fazzoletto di Hezbollah, lietissimo di mostrare cotanto trofeo ai fotografi e ai cameraman.
I tempi sono quel che sono e il famoso quarto d’ora di celebrità che secondo Andy Warhol sarebbero prima o poi spettati a chiunque adesso sono un tempo sin troppo lungo. Basta un gesto o anche meno. Lo stesso vale per le svariate sigle di movimenti residuali consapevoli che l’unico modo possibile per guadagnare una menzione in cronaca è di spararla grossa.
L’impressione che resta è molto meglio delle premesse, comunque: giovani e giovanissimi hanno messo il proprio corpo a disposizione di una causa di giustizia, poco o per nulla spaventati dai divieti di polizia e dalle neanche tanto velate minacce dei giorni scorsi, forti di una lucidità e di uno spirito che altre frange sembrano ormai aver perso del tutto. Se è tanto o se è poco probabilmente non si può ancora dire. Ma per il momento basta così.
MARIO DI VITO
foto: screenshot You Tube