Il bandito della Casbah. L’elogio degli sconfitti

Julien Dvivier, Jean Gabin e Pépé le Moko
Il bandito della Casbah (Pépé le Moko)

Secondo lo scrittore provenzale Victor Gelu, come richiamato nelle sue note “Chansons Provençales”, i marinai bretoni per indicare gli abitanti di Tolone e più in generale gli abitanti del sud, inclusi i loro colleghi della Provenza, mutarono un intercalare usato proprio dai cittadini del sud della Francia, “Et avec ça” (E con quello) che, più o meno dispregiativamente, divenne “em’acò”, per poi essere pronunciato, grazie all’influenza linguistica occitana, semplicemente “m’oco”. Moko.

1. Henri Labarthe, l’autore del romanzo poliziesco Pépé le Moko

E proprio partendo da questo appellativo, nel 1931 il detective e scrittore parigino Henri Labarthe firmò, sotto lo pseudonimo di Detective Ashelbé, il suo secondo romanzo poliziesco che incentrò sulla figura di un criminale rifugiatosi a sud, nell’inestricabile Casbah di Algeri. Il libro, tuttavia, ebbe successo solo dopo la trasposizione cinematografica avvenuta nel 1937 grazie a Julien Duvivier e grazie all’interpretazione di Jean Gabin. Era Pépé le Moko, uscito in Italia col titolo Il bandito della Casbah.

Julien Duvivier, nato a Lille l’8 ottobre 1896, dopo aver debuttato in teatro, iniziò a lavorare alla Gaumont come sceneggiatore e aiuto regista di Louis Feuillade, André Antoine e Marcel L’Herbier. Debuttò alla regia nel 1919 nel film Haceldama ou le Prix du sang, per poi affermarsi con L’Abbé Constantin (1925), Poil de Carotte (1925), L’Homme à l’Hispano (1926), Au bonheur des dames (Il tempio delle tentazioni, 1930) ispirato all’omonimo romanzo di Émile Zola con Dita Parlo come protagonista. Ma fu con l’avvento del sonoro che riuscì, grazie a indubbie doti tecniche, a rappresentare una visione amara e pessimistica della vita che diverrà uno dei pilastri del Realismo francese di cui Duvivier divenne uno dei massimi rappresentanti insieme a Jean Vigo, Jean Renoir e Marcel Carné.

2. Julien Duvivier

Il suo primo film sonoro fu David Golder (La beffa della vita, 1930) tratto dal romanzo di Irène Nemirowsky, seguirono Poil de carotte (Pel di carota, 1932), dall’opera omonima di Jules Renard, rifacimento del suo stesso film uscito anni prima, quindi Maria Chapleandine (Il giglio insanguinato, 1934) film drammatico nel quale diresse per la prima volta Jean Gabin. La collaborazione con l’attore, che aveva debuttato pochi anni prima, continuò anche in Golgotha (Golgota, 1935), che raccontata l’ultima settimana di vita di Gesù (Robert Le Vigan) tradito ad Erode (Harry Baur) e condannato da Ponzio Pilato (Jean Gabin).

Proprio su iniziativa di Gabin, Duvivier venne chiamato a dirigere per la Pathé La Bandera, adattamento del romanzo omonimo di Pierre Mac Orlan curato da Charles Spaak (futuro padre di Catherine), che si inserì nel filone dei film “esotici” dell’epoca inaugurati da Marocco di Josef von Sternberg con Marlene Dietrich. Nella pellicola il parigino Pierre Gilieth (Jean Gabin), accusato di omicidio, fugge in Spagna e si arruola nella Legione straniera di stanza nel Marocco spagnolo, si innamora della sensuale danzatrice Aïscha (Annabella), ma è inseguito dal perfido Lucas (Robert Le Vigan) che si finge suo amico, ma punta solo alla taglia. Gilieth morirà in difesa di un fortino.

3. La Bandera (1935)

Il film, tutt’ora un cult movie in Francia, tratteggiò, grazie alle intuizioni di Duvivier (il realismo convulso di alcune sequenze) e all’interpretazione di Gabin, il profilo di un eroe sconfitto, vittima di fato e circostanza. La Bandera venne dedicato all’allora Colonnello Franco che guidava le truppe spagnole in Marocco, all’epoca nessuno poteva sospettare sulla sua fedeltà alla Repubblica spagnola, ma un anno dopo scoppiò la guerra civile che portò il Colonnello a diventare “Generalissimo”.

Il clima politicamente in Europa era sempre più cupo. Jean Renoir nella sua autobiografia si chiedeva come delle brave persone che non avrebbero fatto male ad una mosca potessero seguire Hitler per essere liberati “da insetti che riteneva nocivi, come i treni in ritardo, gli scioperi del gas, dell’elettricità, della posta e degli spazzini, senza contare gli addetti dei telefoni e i minatori”. In reazione al clima internazionale e a preoccupanti episodi nazionalisti, in Francia nel 1934 si era formato un Front populaire che univa le forze antifasciste (per questo in occasione delle ultime elezioni politiche si è parlato di Nouveau Front populaire). Il Fronte popolare vinse le elezioni della primavera del 1936.

I registi del Realismo aderenti al “Fronte”, cercarono di portare sul grande schermo quella visione della Francia. Dopo le elezioni Renoir girò il documentario La vie est à nous (La vita è nostra, 1936), Julien Duvivier scrisse una nuova sceneggiatura con Charles Spaak ancora con Gabin protagonista. Si intitolava La belle équipe (La bella brigata, 1936).

4. La belle équipe (1935)

Cinque amici, i disoccupati Jean (Jean Gabin), Charles (Charles Vanel), Tintin (Raymond Aimos), Jacques (Charles Dorat) e l’esule spagnolo Mario (Rafael Medina), vincono 100000 franchi alla lotteria, ma anziché dividerli, decidono di costruire qualcosa insieme trasformando una baracca in una balera, ma i lavori sono funestati da problemi, tragedie e da uno scontro tra Jean e Charles per l’amore di Gina (Viviane Romance).

Una comunità che affronta insieme le difficoltà, uno dei pilastri del Front populaire, con il solito grande tormentato Gabin, ma il finale tragico di Duvivier e Spaak non piacque al pubblico, al punto che il produttore Arys Nissotti li costrinse a girare un lieto fine in cui trionfava l’amicizia. La versione originale è rimasta per anni conservata nella Cineteca Nazionale di Roma e ha consentito il restauro della pellicola.

Desiderosi di riscattarsi dopo l’insuccesso de La belle équipe, Duvivier e Gabin si misero alla ricerca di un nuovo soggetto da fare, ovviamente, insieme. Renoir, perché in ogni storia del cinema francese c’è sempre Renoir, suggerì loro un romanzo poliziesco del misterioso Detective Ashelbé. Un racconto che il figlio del maestro impressionista non sentiva nelle sue corde, ma che secondo lui Duvivier avrebbe dovuto fare suo. Si intitolava Pépé le Moko.

5. Mireille Balin

La sceneggiatura venne scritta da Jacques Constant insieme al regista che affidò i dialoghi a Henri Jeanson, autore e critico spesso non tenero nei confronti di Gabin. Si dovette ricredere. Il ruolo del protagonista, infatti, era fuori discussione, cui si aggiunsero la giovane Mireille Balin (Monte Carlo, 20 luglio 1909), nel ruolo della femme fatale, Gabriel Gabrio, Marcel Dalio, Fernand Charpin, Gaston Modot, Paul Escoffier e Fréhel, apprezzata cantante negli anni 10 che, dopo un tentato suicidio e con una vita distrutta dall’alcol, benché provata nel fisico, stava ritagliandosi un piccolo spazio nel mondo del cinema (una sua canzone è stata inserita nel Il favoloso mondo di Amélie).

Il film era ambientato nella Casbah di Algeri, ma portare le pesanti attrezzature che il cinema dell’epoca richiedeva era impossibile, quindi, salvo alcune scene iniziali, le riprese si svolsero a Sète, a Marsiglia e negli studi della Pathé Cinema di Joinville-le-Pont, in una Casbah ricostruita dallo scenografo Jacques Krauss, cosa che non piacque a Mireille Balin. Il 28 gennaio 1937 uscì Pépé le Moko.

6. Pépé le Moko (1937), noto in Italia anche col titolo Il bandito della Basbah

La Casbah di Algeri accoglie e protegge disperati e reietti, prostitute e criminali. Tra loro anche un gangster parigino conosciuto come Pépé le Moko (Jean Gabin), in fuga dalla Francia e a capo di una banda di malviventi che tiene sotto scacco la polizia locale guidata dall’ispettore Slimane (Lucas Gridoux). Su sollecitazione dei francesi, che governano il Paese, viene organizzata una nuova retata in quel dedalo di strade e viuzze. Régis (Fernand Charpin) avverte Pépé, intento a rivendere dei gioielli rubati, ma allo stesso tempo informa la polizia. Ne segue una sparatoria, durante la quale Pépé incontra Gaby Gould (Mireille Balin), una sofisticata parigina in vacanza col vecchio e ricco Maxime (Charles Granval). L’azione della polizia fallisce, ma l’ispettore Slimane, che ha colto l’attrazione tra i due, assicura a Pépé che un giorno sarà costretto ad uscire dalla Casbah e che lui sarà pronto ad arrestarlo. Della banda di Pépé fanno parte anche il taciturno Jimmy (Gaston Modot), il violento Carlos (Carlo nella versione italiana, Gabriel Gabrio) e il giovane Pierrot (Pietro nella versione italiana, Gilbert Gil) che Pépé vede quasi come un figlio. Ma l’attenzione del gangster è sempre più rivolta a Gaby, per lui la donna, oltre alla bellezza, rappresenta Parigi e quella libertà che non trova più nella Casbah e nella sua relazione con Inès (Line Noro) la cui gelosia è aizzata dall’ispettore Slimane. Nel frattempo Pierrot cade in una trappola di Régis che lo attira in città. Il ragazzo riesce a tornare nella Casbah ferito mortalmente. Pépé, che viene informato mentre è con Gaby, lascia la ragazza e con la sua banda cattura Régis. Vorrebbero aiutare Pierrot a vendicarsi, ma il giovane muore tra le loro braccia, il viscido traditore è così ucciso da un colpo di Jimmy avvolto dalla musica assordante di una pianola meccanica. Pépé sempre più disperato, anche per non essere potuto andare in città al funerale dell’amico, trova conforto solo nell’amore per Gaby e per quello che rappresenta. Slimane, ormai colto il punto debole del gangster, continua così il suo piano. Dice a Pépé che Gaby non tornerà più nella Casbah, avverte il suo “protettore” di non farla uscire e fa sapere alla ragazza che Pépé è rimasto ucciso in uno scontro con la polizia. La giovane americana, che era pronta a lasciare la ricchezza per amore, accetta di ritornare in Francia. Pépé, dopo un primo tentativo di uscire dalla Casbah fermato da Ines, sprofonda sempre più e affida a Carlos una lettera per Gaby. Nell’attesa si ubriaca accudito da Tania (Fréhel), la moglie di Carlos, che gli fa ascoltare una sua vecchia canzone, fino a quando sopraggiunge un informatore, Arbi (Marcel Dalio), che comunica l’arresto di Carlos e invita Pépé a raggiungere Gaby fuori dalla Casbah. Ma nulla è vero. L’uomo è stato mandato da Slimane e Gaby sta per partire su un piroscafo. Rischiando l’arresto Pépé esce per la prima volta dalla Casbah e raggiunge il porto. Si imbarca, ma, denunciato da Ines, viene catturato dalla polizia. Ormai ammanettato, chiede di poter vedere partire l’imbarcazione e, dopo un ultimo sguardo a Gaby, si suicida.

7. il ritorno di Pierrot

Uno dei più importanti film francesi, un caposaldo del Realismo poetico che parla di sconfitti, di vinti, di pessimismo, dell’impossibilità di qualunque forma di riscatto sociale. Parla di vita. Una “tragedia moderna ricercata nella forma e sanguigna nel contenuto” (Mereghetti) che parte da Scarface per poi unire romanticismo ed esotismo esaltati dai movimenti di macchina cari a Duvivier. Jean Gabin entrò semplicemente nella leggenda, col suo antieroe dal cuore grande che diventerà il suo marchio di fabbrica.

Indimenticabili diverse scene. La fascinazione, chiaramente omosessuale, dell’ispettore Slimane per Pépé, l’incotro con Gaby, l’esecuzione dell’informatore Régis vicino alla pianola meccanica, Pépé che canta e balla felice (cantò direttamente Gabin), Tania che mostra sul muro una sua vecchia foto (una vera dell’interprete da giovane), mette nel grammofono una sua vecchia canzone e si commuove con Pépé, la corsa del protagonista lungo le stradine e le viuzze della Casbah.

8. Tania, interpretata da Fréhel

Grande successo anche negli Stati Uniti dove Pépé le Moko si aggiudicò il National Board of Review Awards nel 1941 come Miglior film straniero (per dire la qualità il miglior film venne dato a Quarto potere) e in Italia benché la censura fascista fece tagliare la scena del suicidio reinserita solo nel 1946.

Già la guerra che divise anche i protagonisti del film. Julien Duvivier, che era già stato negli USA poco dopo la realizzazione del film, vi tornò a seguito dell’occupazione nazista. Nel dopoguerra rientrò in Francia, ma ritrovò il successo un po’ casualmente in Italia quando venne chiamato a dirigere Don Camillo, tratto da Guareschi, col suo amico Fernandel e Gino Cervi. Firmò i primi due episodi della serie. I migliori.

9. Giovannino Guareschi e Julien Duvivier sul set di Don Camillo

Anche Jean Gabin, dopo aver recitato in capolavori quali La grande illusione di Renoir e ne Il porto delle nebbie e Alba tragica diretto da Carné, quest’ultimo al fianco di Arletty, rifiutandosi di lavorare per i nazisti, lasciò la Francia, ma la sua avventura a Hollywood fu piuttosto disastrosa se si esclude la relazione con Marlene Dietrich. Tornato in Europa si arruolò volontario e combatté contro nazisti e fascisti prima nel nord Africa, poi in Germania. Finita la guerra continuò a recitare diventando uno dei più grandi attori di sempre.

Sorte diversa per Mireille Balin. Grazie a Pépé le Moko era diventata una femme fatale, recitò al fianco di Gabin, col quale ebbe una relazione anche in Gueule d’amour (1937), ma negli anni dell’occupazione appoggiò esplicitamente i nazisti. Ebbe una ostentata relazione con un ufficiale austriaco, Birl Desbok, partecipò ad incontri e film di propaganda, tra questi spiccò in negativo L’assedio dell’Alcazar (1940) di Augusto Genina che lesse la Guerra civile spagnola in ottica franchista. L’attrice venne arrestata nel settembre del 1944, subì tutte le umiliazioni di una guerra e morì dimenticata e povera il 9 novembre 1968.

Tornando al cinema, il film di Duvivier vanta due remake. Il primo fu Algiers (Un’americana nella Casbah, 1938) con Charles Boyer, la cui figura ispirò la simpatica moffetta Pepé Le Pew della serie Looney Tunes. Dieci anni dopo uscì, invece, Casbah un musical col cantante Tony Martin nei panni del protagonista. Ma è una parodia italiana l’unica pellicola a poter, paradossalmente, reggere il confronto con l’originale. Ma se siamo in Italia, e si parla di uomini del sud, il protagonista poteva essere uno solo e, infatti, nel 1949 uscì Totò le Moko diretto da Carlo Ludovico Bragaglia.

10. Totò le Moko (1949) di Carlo Ludovico Bragaglia

Dopo la morte di Pépé le Moko, la guida della banda viene affidata ad un suo cugino Antonio Lumaconi (Totò), musicista ambulante autore di una simpatica mazurka, che lascia Napoli e si trasferisce ad Algeri convinto di poter “dirigere” finalmente una banda. Dopo una serie di equivoci diventa Totò le Moko, nome nato come abbreviazione di Lumaconi, grazie ad una lozione per capelli che lo rende invincibile. Conquista così la fiducia della banda, l’amore di Viviane (Gianna Maria Canale) e quello della turista Nancy (Elena Altieri), ma Pépé (Carlo Ninchi) è vivo e si presenta per riprendersi ciò che è suo. Nonostante tutto e senza lozione Totò riesce a sconfiggere la banda. Acclamato come eroe torna in Italia e dirige finalmente un’orchestra che esegue l’amata mazurka.

Totò in stato di grazie che unisce arabo e napoletano. Imperdibile. Così come lo sono la celebre “Mazurka di Totò” (“Mia bella signorina, che ascolti lassù… socchiudi gli occhi e sogna, socchiudi gli occhi e sogna”) e le battute fulminanti come “Lei è un cretino, si specchi, si convinca” o “Qui si tollerano troppe cose: questa è una Casbah di tolleranza e, coi tempi che corrono, c’è pericolo che la chiudano”.

11. Pépé le Moko

Remake e parodia a parte, Pépé le Moko rimarrà nella storia del cinema per la sua capacità di raccontare i dannati dell’esilio (dopo la guerra d’indipendenza algerina arriveranno anche “I dannati della terra” di Frantz Fannon e, cinematograficamente parlando, La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo) e per aver tratteggiato la figura di un eroe dal passato incerto, braccato, in una terra ostile e alla fine sconfitto. Perché in un mondo di “vincenti” abbiamo bisogno anche degli “sconfitti”.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Julien Duvivier” di Pierre Billard e Hubert Niogret – Castoro
“La mia vita, i miei film” di Jean Renoir – Marsilio
“Storia del cinema e dei film” di David Bordwell e Kristin Thompson – Lindau
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2023” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

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Corso Cinema

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