Scansato dal risorgimentalismo centralista repubblicano e mazziniano, nonché dall’annessionismo monarchico sabaudo e cavouriano e, non di meno, dal neoguelfismo e dai sogni di restaurazione pontificia postumi alla presa di Roma, al federalismo di Carlo Cattaneo rimase ben poco spazio nell’Italia ottocentesca per affermarsi come idea di confratellanza universale dei popoli e, al contempo, di ricomposizione delle autonomie territoriali, tanto locali quanto più propriamente nazionali. Per questo la sorte di questa parte importante della cultura politica del Bel Paese fu quella di essere considerato un modello del tutto inapplicabile sia al Vecchio continente sia all’Italia che si faceva Stato.
Benché personalmente abbia sempre preferito il giacobinismo prima e poi il mazzinianesimo centralisti (pur nel rispetto pieno delle autonomie locali), devo confessare una certa fascinazione per il sogno di Cattaneo: non gli Stati Uniti d’Europa in chiave moderna, sviliti dalla proposta elettorale renziana e radicale, ma invece la confederazione delle nazioni in quanto popoli riconoscibili per cultura, per costruzione comunitaria di interessi che non prevalgono su quelli di altri paesi, ma che si compenetrano e formano un equilibrio che trae la sua forza proprio dalle marcate differenze reciproche.
Riscoprire oggi Carlo Cattaneo e la teorizzazione della “federazione del popolo italiano” non è solamente un omaggio ad un pensatore surclassato dalla mitizzazione degli eroi risorgimentali su cui è stata costruita una narrazione del processo unitario alterata per certi versi, edulcorata per altri e, quindi, fortemente revisionistizzata. Prima di tutto vuol dire riscoprire una parte importante di un filone di pensiero e di cultura sociale e politica che guardava molto oltre gli stretti confini di un nazionalismo a tratti romantico (Mazzini) e a tratti invece conservatore, pur nelle sue spinte innovative (Cavour e la monarchia).
In un agile librettino di appena quarantotto pagine, “Federalismo“, edito da Mimesis nel 2011 e facilmente reperibile, si trova sintetizzata, nelle parole di colui che fu uno degli animatori delle Cinque giornate di Milano, la quintessenza di una radice tutt’altro che ideologica della concezione federativa tanto degli Stati quanto dei popoli. La poliedricità culturale di Cattaneo vi si esprime pienamente e vi si mostra in tutta la sua generosa osservazione pratica degli esempi statuali e comunitari di allora: dalla Svizzera agli Stati Uniti d’America.
Meticoloso studioso delle società europee e d’Oltreoceano, Carlo Cattaneo non si limita ad essere quell’esponente federalista del Risorgimento che lo vede, nella pratica, isolato tra i grandi che giganteggiano sulla scena delle epopee belliche, sulle barricate delle repubbliche che aspirano alla democratizzazione della nascente nazione peninsulare. La sua analisi del periodo storico è, proprio perché estremamente interessante, legata ad una serie di vivide contraddizioni che lo fanno sembrare, a prima vista, piuttosto incoerente tra la giovinezza del suo pensiero e la maturità.
Ma, ripercorrendo le biografie di Garibaldi, Mazzini, Cavour, Pisacane e persino di Vittorio Emanuele II, ci si renderà conto che siamo di fronte ad un tratto comune evidenziato dagli avvicendamenti a volte lunghi, altre volte piuttosto repentini della trasformazione sociale di un popolo che non si percepisce ancora in quanto tale, diviso in tanti staterelli e, soprattutto, prodotto di un millenario retaggio di preconcetti che i poteri costituiti hanno mantenuto insieme alle costruzioni istituzionali prevalentemente monarchiche. Cattaneo è un repubblicano, ma la sua idea di repubblica è anzitutto quella di una confederatività che si antepone a questa forma dello Stato.
La funzionalità e l’efficienza amministrativa sono, data la sua esperienza di soggiorno e di cittadinanza elvetici, strettamente connaturati al rispetto reciproco di forti autonomie: per cui i cantoni svizzeri hanno pieni poteri sulla politica interna, mentre lo Stato confederale ha rappresentanza estera, sovranità monetaria e dispone della forza militare per la difesa di tutte e tutti. Motto della Svizzera, del resto è quello dumasiano: «Uno per tutti, tutti per uno («Unus pro omnibus, omnes pro uno»). Da convinto liberale, Cattaneo ritiene la sovrastruttura statale capace di determinare il corso degli eventi molto più dell’economia. Tuttavia, con l’andare del tempo, le sue simpatie verso il socialismo cresceranno.
La sua pressoché completa fiducia nella scienza come metodo di sintesi dell’osservazione razionale degli eventi, della natura e dei rapporti sociali, ne fa un positivista ante litteram. Proprio la collettività è per il Nostro il punto fulcrale su cui costruire una serie di elementi necessariamente vitali per lo sviluppo individuale e, al tempo stesso, dare seguito ad un circolo virtuoso di scambi vicendevoli che non fanno altro se non moltiplicare gli sforzi per una sempre migliore convivenza tra diversi. Il tema della nazionalità, problema connaturato allo slancio nazionale del Risorgimento come epopea molto romantica e molto poco, così, storicizzabile, è per lui collaterale rispetto a quello dell’unione.
Senza voler sminuire le grandi avventure garibaldine e il “sogno dell’Italia onesta” di Mazzini, anche un molto amico del federalismo quanto chi qui scrive deve riconoscere che quello Stato che sarebbe nato avrebbe avuto una sorte migliore se si fosse trattato di una repubblica e, magari, almeno nella sua prima fase di conglobazione delle molte italianità di allora, da nord a sud, avesse preso avvio da quella “costituente” che molti speravano poter realizzare per disincentivare il ruolo egemone del Regno di Sardegna e le politiche cavouriane di plebiscitarismo annessionistico.
La storia è andata differentemente: la monarchia sabauda prevale perché nell’Europa di allora, nonostante le rivoluzioni del 1848 e i tanti stravolgimenti popolari imposti da una crescente acquisizione della coscienza di classe da parte degli sfruttati, ciò che garantisce la stabilità è il potere che conserva tutti i privilegi di casta e che riconosce, dunque, ad una parte dei cittadini diritti maggiori rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione. È l’esatto contrario di ciò che Cattaneo intende come nazione ed anche, quindi, come federazione dei popoli. Da quelli italiani che si avviano ad essere costretti ad essere uno solo da una colonizzazione nordista forzata, ad altri popoli europei che vivono in grandi imperi, ma privi di qualunque riconoscimento autonomista.
Negli anni della sua giovinezza, Carlo Cattaneo immagina che anche questi agglomerati di nazionalità represse possano evolvere in confederazioni, pure rette da principi, re e imperatori, tali da permettere una convivenza che dia alle comunità locali il potere anche di distaccarsi dal governo centrale e diventare indipendenti, scegliendo quindi la propria sorte. Sarà una illusione, questa sì, molto romantica. La fine della Prima guerra di indipendenza spegnerà in lui qualunque anche residua, timida speranza di affidarsi al mutamento indolore delle sorti dei popoli e delle nazioni oppresse. La constatazione sul campo, durante le Cinque giornate, lo farà ricredere e gli aprirà nuovi campi inesplorati di intuizioni e studi.
La scienza, del resto, rimarrà, al pari della giustizia, l’epicentro dell’edificazione complessiva di una idea di società che, lontana da precostruzioni metafisiche, miti ed esperienze religiose che scivolano nell’astrazione dal concreto, potrà trovare la sua reale dimensione collettiva e singolare proprio tramite il connubio tra osservazione, verifica e commistione con il diritto alla libera espressione di tutte e di tutti. Il federalismo di Cattaneo è, quindi, indubbiamente teorizzazione istituzionale e politica, ma non prescinde un pragmatismo che non sminuisce, tuttavia, lo slancio anche ideale che deve avere una passione che intende realizzare quello che in molti definirebbero “un sogno“.
Se c’è qualcosa di particolarmente estraneo al modus vivendi di Cattaneo è l’affidarsi all’utopismo, esattamente alla non localizzazione dei problemi, rimandandoli ad un domani indefinito, ad una etereità di soluzioni affidate al mero campo teorico slegato dal riscontro nei rapporti di forza esistenti: tanto economico-sociali quanto culturali, politici ed etici. La grande esperienza de “Il Politecnico” reca già nel suo sottotitolo quella necessità di conoscere per ampliare la “prosperità e la coltura sociale“. Il federalismo, quindi, è parte di una interpretazione molto più complessa della società che non si riduce – ne è ben consapevole Cattaneo – al rapporto tra amministratori e amministrati, tra governi e cittadini, tra sovrani e sudditi.
Purtroppo, il dibattito miserevole avviato sul federalismo sul finire del secolo scorso, intriso di luoghi comuni e di antiteticità stabilite per mere convenienze politiche, ha costretto questo filone culturale antico a diventare uno stereotipo di autonomismo premessa di un secessionismo anti-italiano. Federare vuol dire unire nel rispettare le differenze e non scindere per egoistici presupposti più localisti che autonomisti quell’Italia che era il punto di arrivo di un processo di convergenza di secolari disparità, di conflittualità che avrebbero dovuto trovare così una soluzione senza discapito per nessuno.
Recuperare al pensiero di Cattaneo e al federalismo in quanto tale la sua giusta collocazione nella storia d’Italia e nel più vasto contesto continentale dovrebbe essere un presupposto necessario per chiunque volesse addentrarsi nella conoscenza a tutto tondo del periodo risorgimentale; senza precondizioni che preferiscano una soluzione all’altra, utilizzando il metodo storico per quello che è: il mezzo con cui arrivare vicinissimi, ma pur sempre un passo indietro, costretti alla coltivazione irrinunciabile del dubbio, alla verità di quei tempi. Sapendo che tutto ciò che è venuto dopo ha condizionato l’essenza medesima dei pensieri e ha cercato magari pure di interpretare i fatti dandone un resoconto alterato.
Alla fine, dopo aver letto qualcosa anche di più del libretto che qui consigliamo, di Cattaneo si avrà qualcosa di più della percezione scolastica del rappresentante della corrente federalista del Risorgimento. E questo è già un ottimo punto di partenza per rivalutarne l’opera multiculturale, anche il patriottismo ma, soprattutto, la incessante ricerca di un modo per far sì che i popoli potessero evitare guerre, sopraffazioni e dispotismi. C’è un Carlo Cattaneo tutto da riscoprire, così come una nuova idea di federalismo: moderna ma con radici ben piantate nella sua storia più che bicentenaria.
FEDERALISMO
CARLO CATTANEO
MIMESIS EDIZIONI
€ 3,00
MARCO SFERINI
25 settembre 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria
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