Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è stato ucciso a Teheran stanotte, a pochissime ore dal raid israeliano che a Beirut ha colpito, non è ancora chiaro se assassinandolo o meno, uno dei più importanti capi militari di Hezbollah, Fouad Shukr.
Haniyeh, leader del politburo del movimento islamico palestinese, viveva in esilio da tempo, in Qatar. Era in Iran per il giuramento del nuovo presidente iraniano Pezeshkian. Lì, nella capitale della Repubblica islamica, aveva incontrato i leader del movimento yemenita Houthi e quelli del partito sciita libanese, alleati politici e militari.
Un raid ha colpito intorno alle 2 l’appartamento in cui si trovava, a Teheran, nella sede di un’associazione di veterani. Per ora Israele non commenta, come spesso accade, sebbene alcuni ministri del governo Netanyahu abbiano celebrato l’assassinio sui social, considerando Haniyeh il principale responsabile dell’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud del paese, che ha provocato la morte di 1.100 israeliani e il rapimento di circa 250, dalla quale è partita la feroce offensiva contro Gaza, tuttora in corso con il suo bagaglio di 40mila uccisi accertati.
Le reazioni sono immediate.
Hamas parla di “attacco infido” da parte di Israele, il portavoce del ministro degli esteri iraniano Kanaani promette che “il martirio di Haniyeh rafforzerà il profondo e indistruttibile legame tra Teheran e la resistenza palestinese”. Condanna giunge anche dall’Autorità nazionale palestinese con il presidente Abu Mazen che definisce l’omicidio “pericoloso e codardo” e chiede alla popolazione palestinese di restare calma.
Una posizione sposata da diversi analisti: l’omicidio del numero uno di Hamas, impegnato nel negoziato con Israele al Cairo, potrebbe minare alla base il dialogo e provocare ulteriori escalation. Se da una parte si teme una reazione dell’Iran, imbarazzata da un omicidio incapace di prevedere e prevenire (il supremo consiglio della sicurezza nazionale sta tenendo una riunione d’emergenza alla presenza delle unità di élite Al Quds e il leader supremo Khamenei ha già promesso una rappresaglia), a immaginare un’escalation sono diversi paesi della regione, dal Qatar alla Turchia, ma anche la Russia e la Cina, che aveva da poco ospitato un importante incontro di 14 partiti palestinesi, tra cui Hamas, per gettare le basi di un accordo di unità nazionale per un governo post-guerra contro Gaza.
Non è la prima volta che Israele compie omicidi extragiudiziali di leader palestinesi, negli ultimi decenni concentrandosi su quelli di Hamas. È del gennaio 1996 l’omicidio del leader militare Ayyash a Beit Lahiya, a Gaza. Otto anni dopo, nel marzo 2004, l’assassinio più significativo: il fondatore del movimento, Sheikh Ahmed Yasin, di nuovo a Gaza. Sono poi seguiti il co-fondatore al-Rantisi e più di recente, lo scorso gennaio, Saleh al-Arouri, numero due di Hamas, ucciso da un drone a Beirut.
L’orizzontalità del movimento e la rapida sostituzione dei suoi leader non ha mai provocato un collasso del movimento islamico, capace di riorganizzarsi in breve tempo grazie a una leadership spesso sconosciuta e invisibile e una struttura orizzontale.
Per il primo ministro israeliano Netanyahu, potrebbe essere la vittoria simbolica che cercava per salvarsi definitivamente dal post-7 ottobre. Considerato da quasi l’intera società israeliana il responsabile del fallimento dell’intelligence e della sicurezza, capace di rimanere alla guida del paese con la strategia della guerra perpetua, dieci mesi e un genocidio dopo non è ancora riuscito a raggiungere reali obiettivi militari, se non la distruzione dell’intera Striscia di Gaza. Ora, con il trofeo-Haniyeh da mostrare le sue sorti politiche potrebbero trovare nuova linfa vitale. Ma anche scatenare una reazione a catena ingestibile.
CHIARA CRUCIATI
foto: screenshot ed elaborazione propria