La doppia morale fa parte di un sistema di relazioni politiche, istituzionali e sociali che obbedisce alle leggi dei movimenti del mercato, dei capitali, dei grandi e grandissimi interessi di multinazionali che sono, nel regime della concorrenza tra poli entro la globalizzazione mondiale, i punti da cui partono gli indirizzi di governo dei singoli paesi.
Cinicamente si potrebbe fare spallucce e proferire che “così vanno le cose” e, quindi, non si può sperare di cambiare ciò che è da secoli radicato e strutturato dal vertice alla base, in una linea di comando in cui l’economia condiziona la politica, la cultura, le arti, le scienze e qualunque altro ambito di espressione delle particolarità umane e delle nostre più nobili caratteristiche.
Funziona così e il mondo non lo cambiamo certo noi. Una remissione che è la quintessenza della rassegnazione e della traduzione anonima delle passioni che invece possono agitare i nostri animi e dare un significato se non proprio alla vita in quanto tale, almeno alle nostre singole esistenze. La lotta contro le ingiustizie e, quindi, anche contro la doppia morale che ci viene spacciata per esemplare coerenza tra il dire e il fare, è uno di questi significati.
Fatti salvi i casi i cuoi c’è della oggettiva malversazione nelle parole e nelle dichiarazioni, per cui un giornalista picchiato dai fascisti se l’è praticamente cercata perché non si è qualificato davanti agli energumeni che lo hanno pestato a sangue soltanto perché riprendeva una esibizione dei camerati del XXI secolo, in tutti gli altri si può provare a rintracciare un qualche frammento di dialettica politica.
Politica nel senso etimologico del termine: che riguarda l’ambiente in cui viviamo, la città, la nazione, il paese e, quindi, in una chiave più lata, comprende praticamente le nostre esistenze e quelle di tutti gli altri esseri viventi. I grandi eventi sono quasi sempre un motivo per fare sfoggia del doppiomoralismo e, così, anche di un doppiopesismo che ha come scopo quello di mostrare tutta la benevolenza del potere e l’attenzione che dimostra verso i grandi problemi dei tempi.
Le XXXIII Olimpiadi che si aprono oggi a Parigi sono uno di questi eventi storici. La “svolta ecologista” che Emmanuel Macron ha detto di voler dare a questo importantissimo appuntamento sportivo non lega molto con le scelte di politica economico-ambientale che i suoi governi hanno messo in essere nel corso delle sue presidenze.
La macronie è abbastanza nota per la spregiudicatezza con cui ha messo insieme rivoluzione e innovazione ecologica con devozione pressoché totale al liberismo modernissimo di provenienza nordamericana. I letti di cartone riservati alle atlete ed agli atleti, così come gli impianti di condizionamento dell’area sottopavimentati sono, ugualmente alle dimostrazioni di plateali di ritorno alla balneabilità della Senna (da parte della sindaca di Parigi), nonostante tutto elementi non trascurabili.
Perché se un grande vento come quello dei giochi olimpici può dare adito ad una qualche forma di vasta sensibilità sui temi dell’ambiente e dell’ecosostenibilità tra noi e il resto del pianeta, allora ben venga anche il doppiomoralismo del potere che si fa vanto di ciò che ha realizzato nei villaggi delle squadre nazionali mentre, al governo della Francia e, in parte, alla guida dell’Europa, punta su tutta una serie di misure che vanno in netta controtendenza.
Prima fra tutte la questione bellica: c’è qualcosa di più antiecologico, disumano, omicidiario e orrorifico della guerra? L’inquinamento prodotto dai conflitti è quasi incalcolabile: per non parlare poi di un indotto di strutture ed infrastrutture che supportano la produzione di armamenti altamente tossici nei loro componenti e devastanti una volta che hanno assolto il loro ruolo di portatori di morte.
Se dall’Ucraina il pensiero si sposta per un attimo a Gaza ed al Medio Oriente, basterà ricordare i proiettili al fosforo bianco lanciati sulla Striscia nelle molte operazioni contro Hamas e contro il popolo palestinese. E come non rivivere le atrocità subite dagli iracheni durante le operazioni nel deserto, portatrici di democrazia e libertà? Le foto dei bambini scorticati dai gas chimici e quelli che parevano giocattoli e somigliavano a “pappagalli verdi” sono reperibili su molti siti in rete…
Le Olimpiadi, come ha ricordato papa Francesco, dovrebbero essere un momento di tregua. Così era nell’antica Grecia: tutte le guerre si fermavano in occasione dei giochi. Oggi, invece, Macron plaude alla svolta ecologista all’ombra dei cinque cerchi intrecciati e parimenti si prepara ad inviare ancora più finanziamenti ed armi all’Ucraina, senza prendere minimamente in considerazione un cessate il fuoco, anche temporaneo.
La doppiezza della morale non però appannaggio esclusivo della Francia. Benjamin Netanyahu e i democratici americani non sono da meno. L’uno nel promettere un risoluzione del conflitto con il solo obiettivo dell’eliminazione di Hamas (ricordiamo che i palestinesi morti fino ad oggi sono quasi quarantamila e che i feriti sono più del doppio e che, per oltre il 70%, si tratta di bambini, donne e uomini anziani, quindi civili che più civili non si può…), gli altri nel garantire pieno appoggio allo sforzo di Tel Aviv contro il terrorismo.
Mentre Kamala Harris nei suoi primi interventi pubblici da futura candidata alla presidenza della Repubblica stellata promette di non distogliere lo sguardo da Gaza, nei quattro anni appena trascorsi l’amministrazione democratica ha rinnovato impegni di collaborazione con Israele tanto sul terreno prettamente economico quanto su quello militare.
Oltre ventisei miliardi di dollari sono partiti da Washington in direzione dello Stato ebraico, mentre i supporti logistici e le navi americane pattugliano le coste israeliane (e palestinesi) in difesa di Israele da attacchi iraniani o degli Houthi. Se quello macroniano è un doppiomoralismo che punta ad un ridimensionamento del disastro anche elettorale degli ultimi tempi, quello democratico americano è ben lungi dallo smentire in qualche modo il totale sostegno di Washington a Netanyahu.
Per recuperare il voto delle comunità islamiche e vicine alla causa palestinese, Kamala Harris ora ammicca a Gaza, alla tragedia della popolazione, non partecipa alla sessione del Congresso in cui parla Netanyahu. Ma, una volta eletta, la politica estera degli Stati Uniti non si differenzierà di un millimetro da quanto è stato fatto fino ad oggi in perfetta continuità con la precedente presidenza trumpiana.
Paradossalmente il magnate dell’ultradestra conservatrice e reazionaria è molto più sincero e diretto: riconosce Gerusalemme come capitale eterna dello Stato ebraico, approva le colonizzazioni del Territorio occupato palestinese, santifica la politica di Netanyahu e, a riguardo, non c’è nessunissimo dubbio sul fatto che il primo ministro israeliano preferisca una vittoria di Trump rispetto ad una di Harris. Ma in entrambi i casi sa che può contare sempre sul pieno appoggio americano alle sue azioni genocidiarie.
Ed ecco che la doppia morale qui si connatura direttamente con la programmazione politica, con l’attività di governo e non è soltanto più una estemporaneità del momento, qualcosa che viene dettato dalle circostanze e dalle contingenze. La prassi e il galateo istituzionale potranno, ad esempio, fare anche sembrare l’abboccamento tra il presidente israeliano Herzog e Meloni un cordiale e rispettoso incontro meramente ascrivibile alle buone relazioni in politica estera, ma rimane il fatto che la nostra presidente del Consiglio non ha speso una parola che sia una per la questione palestinese.
Non che ci si attendesse chissà quale rimbrotto e protesta, ma rientra fin troppo nelle cortesi esclusivamente di prammatica affermare che ci si aspetta che il conflitto in atto in Medio Oriente non si estenda e quindi non si aprano nuovi fronti (peraltro non inattesi…, purtroppo). Non si tratta di timidezza politica, ma di un formalismo che obbedisce a linee di condotta economica cui la politica di governo deve sottostare: gli affari dell’Italia con Israele sono, prima e dopo il 7 ottobre 2023, rimasti praticamente inalterati.
Abbiamo continuato a produrre e vendere armamenti allo Stato ebraico e siamo in prima fila nella missione militare di contenimento delle incursioni Houthi nel Mare di Aden. La doppia morale imperversa e non lascia tregua alcuna. Tratto distintivo di una politica che non riesce a raggiungere, se non proprio una totale indipendenza dal mercato, dal capitalismo e dal liberismo, quanto meno un buon livello di autonomia e di dimostrazione di forza nei confronti degli eccessi dell’affarismo sulla pelle dei popoli.
Tornando alle Olimpiadi parigine, pare che Emmanuel Macron ne abbia seguito la preparazione con una postura a dir poco maniacale, per essere certo che la sfilata di imbarcazioni sulla Senna desse anzitutto l’impressione di un evento capace di fermare le polemiche tanto interne quanto esterne e i sommovimenti politici. Così, la questione ecologica è divenuta una delle leve ipocrite su cui provare a mettere d’accordo un po’ tutte e tutti.
I giochi, come simbolo di condivisione delle problematiche comuni, possono essere un viatico, al di là delle pretese macroniane, per mandare messaggi urbi et orbi su problematiche e temi che si sono appannati nella comunicazione ad una opinione pubblica spinta dai media ad osservare solo ciò che in quel preciso istante è più foriero di ascolti ed è l’argomento di giornata. La tendenza all’obliare è tipica di una disinformazione che scientemente fa la scaletta di ciò che deve essere importante per noi.
Le Olimpiadi posso, al pari di altri grandi eventi sportivi, essere un diritto di tribuna per la voce tanto delle genti del Donbass e dell’Ucraina quanto per i palestinesi sterminati a Gaza o per quelli assassinati dai fanatici coloni ultrareligiosi israeliani in Cisgiordania. O per i prigionieri nelle carceri di Israele, così come per tutti coloro che sono in uno stato di detenzione arbitraria: dall’Iran alla Russia, dall’America fintamente democratica ai regimi africani e sudamericani.
Ciò detto, il doppiomoralismo non avrà fine: ma se controbilanciato da gesti ed azioni eclatanti delle atlete e degli atleti, almeno un senso esistenziale le Olimpiadi se lo saranno dato. Come espressione di una umanità che può mettere insieme qualità e quantità dei problemi. Un cessate il fuoco era reclamabile pur sapendo che sarebbe stata una richiesta inascoltata da parte tanto di Putin quanto della NATO, tanto del gabinetto di guerra di Netanyahu quando di Hamas e Houthi.
Ma ricordare l’antichissimo significato dei giochi olimpici, come momento di tregua, come intercapedine tra conflitti e condivisione di momenti in cui la competizione non è scontro ma, invece, incontro e confronto, non è stato un intento e un gesto vano. Davanti a tanta coscienza della sopraffazione e a tanto criminale cinismo, una voce che reclama una coscienza civile e sociale, ambientale e pacifica, oltre le guerre, anche se per pochi istanti, era, è e continuerà ad essere necessaria.
MARCO SFERINI
26 luglio 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria