Non è, dicono i critici più amorevoli e fedeli di Agatha Christie, il romanzo giallo migliore della grande scrittrice inglese. Ma certamente è uno di quelli che, insiema ad altri omicidi sotto il sole, davanti allo specchio o con dieci piccoli indiani, è stato rappresentato dalla televisione e soprattutto dal cinema.
Hercule Poirot, al pari eppure molto differentemente da Miss Jane Marple, è la quintessenza dell’investigatore di professione: altamente egotico, pieno di considerazione per sé stesso e, nello specifico, per le sue “cellule grigie“, il belga che viene scambiato quasi sempre francese è, più della struttura del libro stesso, un colpo di genio.
“Poirot sul Nilo” (Mondadori, Gialli,
1939 e ben oltre quarantacinque ristampe seguenti) segue uno schema narrativo che troviamo anche in “Corpi al sole” (scritto nel 1941 dalla Christie e portato sul grande schermo sempre con il grande Peter Ustinov nel 1982): senza svelare nulla delle meravigliose trame disseminate di cento trappole, di dubbi e ripensamenti da parte di chi legge, ciò che si può stilisticamente affermare è l’intuizione della scrittrice per il coinvolgimento nell’atto omicidiario non di “tanti” presunti colpevoli, ma praticamente di tutte e tutti coloro che incontriamo pagina dopo pagina.
Per qualche istante, il cameriere non è sempre l’unico ad essere l’incarnazione dell’istinto assassino dell’essere umano messo alle stretta da una irrisolvibile situazione economica o amorosa. La caratteristica straordinaria dei romanzi di Agatha Christie è proprio quella del giallo modernamente inteso come uno spettro larghissimo di possibilità su un finale che rimane solitamente aperto fino alle poche, ultime righe delle pagine finali.
E, a beneficio di una critica cinematografica che spesso non ha brillato per acume nello stabilire un parallelo tra le opere scritte e quelle trasposte sul grande schermo, per quanto riguarda i gialli va detto che ha considerato in eguale misura la potenza narrativa di entrambi i generi artistici.
Per cui di un qualunque libro di colei che inizialmente firmava le sue opere (tra cui l’enorme successo di “Trappola per topi“) con lo pseudonimo di Mary Westmacott, i critici sono abbastanza in linea nel conferire al parallelismo letteratura-cinema una valutazione equipollente sulla fedeltà rimasta tra impostazione complessiva dei romanzi e traduzione per le sale, nonché viceversa.
Ovviamente ciò vale, caso mai, in particolare per romanzi di successo come “Death on the Nile“. Molto affascinante è la ricerca delle similitudini narrative che la Christie ripete nelle sue opere, ma non per mancanza di idee; semmai perché funziona il contrasto tra ricchezza e povertà, tra alta e bassa moralità, tra grande intelligenza (quasi sempre di colui o colei che investiga) e modesta acutezza del resto del parterre di personaggi che affollano le vicende misteriore.
Poirot è certo di non poter non arrivare alla soluzione di qualunque caso e tratta con una certa sufficienza tutti coloro che osano mettere in dubbio la sua abilità pressoché universalmente riconosciuta e per la quale è noto in tutto il mondo. Si sa che è apprezzato da presidenti, regine, re, imperatori, capi di Stato e di governo. Siamo, dunque, in presenza di un fuoriclasse, di una mente davvero potente che finisce con l’avere le sembianze di un deterrente a prescindere.
Se ti ritrovi uno come Poirot su un battello che naviga sul Nilo o in un’isoletta del Mediterraneo dove c’è solo uno sperduto e lussuoso albergo per i vip dell’epoca, dovresti essere automaticamente scoraggiato dal compiere un crimine. Ma, ovviamente, la deterrenza non può essere mai la vera protagonista dei romanzi gialli: altrimenti i romanzi stessi non potrebbero esistere e noi non avremmo il libidinoso piacere di voltare le pagine scoprendo sempre un dettaglio in più sul delitto per avvicinarci alla soluzione.
La letteratura gialla mondiale non potrebbe quasi dirsi tale senza l’opera omnia della scrittrice britannica. Ma faremmo un torto agli altri grandi scrittori se pensassimo di farne una appendice, assegnando loro un posto in seconda fila per importanza: tutti hanno meritato di essere sulla scena novecentesca di questo genere nuovo che affascina e conturba, che coinvolge e avviluppa e ci permette di divertirci riflettendo e pensando profondamente.
Pensiamo all’eccellenza di Sir Arthur Conan Doyle e del suo Holmes! Al Maigret di George Simenon o, ancora, allo stesso Edgar Allan Poe. Ma pure al nostro Umberto Eco che non è un giallista, ma che è finito con l’esserlo per aver scritto quel capolavoro che risponde al titolo de “Il nome della rosa“.
Se scorriamo la classifica dei cento migliori gialli mai scritti, stilata dalla “Crime Writer’s Association” del Regno Unito, scopriamo che il podio lo detengono Josephine Tey con “La figlia del tempo“, Raymond Chandler con “Il grande sonno” e John le Carrè con “La spia che venne dal freddo“. Con grande delusione nostra, Agatha Christie è “solo” (si fa per dire…) quinta con “L’assassinio di Roger Ackroyd” del 1926. La ritroviamo poi diciannovesiva con “Dieci piccoli indiani” e ottantatreesima con “C’era una volta“.
Ma, per fortuna, queste classifiche hanno un valore di carattere particolare e, spesso, vengono considerate da chi fa parte di un determinato circolo di ammiratori. Il cosiddetto “grande pubblico” preferisce l’esperienza diretta della lettura che, tuttavia, proprio nell’acquisto ripetuto nel tempo di piccoli capolavori del giallo contribuisce, in questo senso, certamente anche alla classificazione della “Crime Writer’s Association“. Ma che cosa ci fa Hercule Poirot sul Nilo?
Si direbbe una vacanza. La signora Allerton ne è sicura. Ne convince il figlio che discute con lei del “buffo ometto” che sta poco più lontano e aspetta di imbarcarsi sul Karnak. Placido, il grande fiume specchia il sole cocente, i palmizi danno la parvenza che un po’ di vita vegetale sia lì a proteggere le vecchie acque sacre di quello che un tempo per gli antichi egizi era un vero e proprio dio. Stranamente, questa volta, la scena del delitto si sposta dalla casa o villa di campagna o dall’albergo delle celebrità, su un battello a vapore.
Le piramidi e le enormi costruzioni guardano da tremila anni anche questi visitatori che provengono dagli angoli del mondo: c’è un giovane marxista idealista che si porta sempre appresso “Il Capitale” e detesta ricchi e ricchezze. C’è una signora con un patologico desiderio di possedere sempre le perle e i gioielli più belli. C’è un medico austro-tedesco e ci sono una scrittrice di romanzi rosa con la figlia.
Tutte queste persone sono lì per caso, apparentemente. Eppure tutte hanno qualcosa a che fare con Linnet Ridgeway, giovanissima ereditiera che oggi definiremmo una multimiliardaria. Poirot è l’inatteso, l’inaspettato, colui che non è stato ipotizzato nemmeno lontanamente potesse trovarsi in quel luogo del mondo in quel momento. E, ovviamente, scombinerà i piani dell’assassino o dell’assassina. Se si provasse ad indovinare chi è, si arriverebbe alla fine del libro ammirati e sorpresi per la soluzione data da Agatha Christie. Stupefacente è un eufemismo.
Un così complicatissimo reticolo di intrecci di vecchie ruggini, acredini, amori, tensioni, odi, gelosie e invidie, sta in una scena delimitata dal battello che solca il Nilo e così tutto appare ancora più amplificato dalla strettoia in cui devono passare, ai bordi dell’imbarcazione, quelli che si muovono nell’ombra per colpire, per assassinare, per chiudere le bocche che non devono parlare.
Nelle descrizioni che Agatha Christie fa del viaggio, sembra di sentire persino i passi dei protagonisti che si avvicendano nel salone belvedere, sui ponti e pare anche di sentirsi ogni tanto addosso la polvere, la sabbia di quell’Africa che si stenta a riconoscere come tale, perché tanta è la differenza che passa tra l’Egitto e il resto del continente nero.
Il colpo di scena è la traccia su cui si muove il canovaccio del libro: dall’inizio alla fine non si sfugge alla macchina della formulazione di qualcosa che trasformi la suspence in un immediato cambiamento di direzione della marcia di una trama che ha nell’imprevedibilità il filo conduttore geniale di una scrittura lineare e molto appassionante. Poirot non accetta l’incarico che la ricca Ridgeway gli vorrebbe dare. E bene pagato… Preferisce godersi la sua vacanza, tanto che gli dà noia persino parlare dei suoi casi a chi gliene chiede avidamente conto.
Ma, come tante altre pause di svago dell’investigatore belga, anche questa non sarà etichettabile alla dicitura esclusiva del “seulement en vacances” come si vorrebbero far credere a vicenda Poirot e l’amico colonnello Rice (uno splendido David Niven nella versione cinematografica del 1978). La coppia sarà costretta ad indagare su una serie di morti che appariranno subito legate fra loro.
Quello è l’unico non-dubbio che Agatha Christie concede al lettore. Tutto il resto lo svelerà Hercule Poirot, oppure lo potrà svelare chiunque sappia operare i collegamenti così bene da presupporre in parte e tradurre nel concreto la ricostruzione davvero incredibile di un giallo che ha del fantastico. Le emozioni che vi sono tratteggiate vanno dalla rabbia sociale a quella tipica dell’amore respinto o mai nato. E qualunque sia la tintura data a questi colori dell’animo umano, si intuisce la fragilità dei caratteri anche apparentemente più coriacei.
La debolezza di alcuni personaggi è addirittura patologica e si traduce in ossessioni e compulsività degne del miglior psicoanalista di un Novecento che scopriva i segreti dell’incoscio e li iniziava a mostrare al mondo intero. Poirot sembra ancora sottovalutare le dinamiche del contrasto tra pulsioni evidenti e pulsioni soltanto apparenti. Si abbandona, mentre parla con Simon Doyle, a giudizi anche un po’ troppo banali e liquidatori sul carattere delle donne.
Non vi si deve leggere qualche punta di misoginia; però c’è un certo compiacimento, da parte degli uomini del romanzo, nel considerarsi più scaltri, intelligenti e sagaci rispetto alla cosiddetta “altra metà del cielo“. Alla fine si ribalterà tutto: ciò che era possibile diventerà impossibile e ciò che pareva essere sicuro sarà invece un imponderabile e inafferrabile etereità della sicumera di chi aveva pensato di aver visto bene tutto (o quasi) ed invece aveva solo “guardato“.
Se c’è una specie di morale (ma non è detto che vi sia) in questo capolavoro di Agatha Christie, è un po’ quella che emerge anche da altre sue opere: l’apparenza inganna e lo fa con una abilità inenarrabile, indescrivibile. Il fascino del giallo è il piacere – diciamocelo apertamente – di non riuscire fino in fondo a dirimere la matassa intricata degli eventi e, così, di sbagliare sul conto dell’assassino e di rimanere sorpresi sempre e comunque, ancora dopo aver chiuso il libro e averlo riposto nella propria biblioteca.
POIROT SUL NILO
AGATHA CHRISTIE
MONDADORI, GIALLI
€ 11,00
MARCO SFERINI
24 luglio 2024
foto: particolare della copertina del libro
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