Il primo ministro Gabriel Attal ha presentato le dimissioni. Emmanuel Macron le ha respinte «per la stabilità del paese» e permettere al governo di continuare a gestire gli affari correnti, almeno durante il periodo delle imminenti Olimpiadi di Parigi.

Dopo il grande sollievo di domenica sera, il successo del “fronte repubblicano”, dei “castori” che hanno costruito uno sbarramento abbastanza alto per impedire l’arrivo al potere del Rassemblement National, finito in terza posizione, la Francia si conferma divisa in tre blocchi di dimensioni non molto diverse: 182 seggi per la sinistra, 168 per il centro di Ensemble, 143 per l’estrema destra.

Dietro il Nuovo Fronte Popolare, in testa, seguito dai macronisti, il mondo politico non può dimenticare che l’estrema destra cresce enormemente. Il Rn aveva 17 deputati nel 2017 all’inizio della presidenza Macron e oggi lo hanno votato 10 milioni di persone. Si apre un periodo di forte instabilità nel paese.

La V Repubblica non è un regime basato sulle coalizioni, ma il nuovo panorama del paese spinge a un cambiamento di approccio, più simile ai paesi limitrofi della Ue. La verticalità dell’Eliseo perde terreno e il centro del potere passa al Parlamento.

Nel Nuovo Fronte Popolare già domenica notte sono iniziati i negoziati tra i partiti alleati, ripresi ieri sera, per indicare il nome di un primo ministro. Potrebbe essere reso noto «in settimana» precisano Verdi e Ps. Può essere anche una personalità della società civile, già Raphaël Glucksmann (Place Publique-Ps) aveva evocato Laurent Berger, ex segretario della Confédération française démocratique du travail (Cfdt), che non aveva però risposto.

Intanto Macron ha deciso di prendere tempo, «aspetteremo la strutturazione dell’Assemblée Nationale», ha affermato, cioè il 18 luglio, il giorno della prima seduta – e dell’elezione della presidenza di Palais Bourbon – si vedrà più chiaro quanti gruppi si formeranno, con quale peso, con quali possibilità di cooperazione, visto che nessun blocco ha la maggioranza assoluta.

Non è ancora chiaro se ci sarà un grande gruppo Nuovo Fronte Popolare oppure le sue componenti si divideranno in formazioni diverse e con un equilibrio un po’ modificato rispetto all’Assemblea uscente (Lfi ha perso un po’ di egemonia, il Ps raddoppia quasi i seggi, i Verdi crescono).

Ci saranno forse sorprese, perché dei dissidenti di Lfi potrebbero rifugiarsi in altri gruppi: François Ruffin, per esempio, potrebbe andare con il Pcf. Domenica sera, il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon è intervenuto per primo, in tutta fretta ha ingiunto a Macron di «inchinarsi» e di «ammettere la sconfitta», al primo ministro di «andarsene» e ha affermato che «nessun sotterfugio» sarà «accettabile» per la sinistra: ha escluso un’eventuale alleanza con Ensemble e affermato che il Nuovo Fronte Popolare applicherà il suo programma e nient’altro.

Per Mathilde Panot di Lfi, Mélenchon ha tutti i numeri per essere primo ministro. Ma non è un’opinione condivisa tra le altre forze del Nuovo Fronte Popolare. Clémentine Autain, dissidente di Lfi, afferma che il primo ministro designato dal Nfp non sarà «né Mélenchon né Hollande».

I Verdi parlano di ricerca di compromesso. Marine Tondellier, segretaria di Europa Ecologia, vuole superare l’approccio tradizionale e parla della possibilità di una «maggioranza di progetto», a partire da «una domanda semplice: chi nelle forze repubblicane è pronto a sostenere il nostro programma?», o punto per punto alcune parti di esso.

Voci diverse dal campo socialista, il segretario Olivier Faure esclude il nome di Mélenchon «troppo divisivo», per Raphaël Glucksmann «bisognerà comportarsi da adulti», è necessario «un cambio di cultura politica» nella V Repubblica, giunta a un momento di svolta.

A Ensemble cercano contatti con i Républicans (Lr), che sono riusciti a salvare un gruppo di 45 seggi, malgrado la scissione pro-Rn dell’ex presidente Eric Ciotti. Ma Laurent Wauquiez, presidente di Rhône-Alpes che già pensa alle presidenziali del 2027, respinge ogni intesa con Ensemble, per non compromettere la sua prossima corsa per l’Eliseo.

Il presidente del Senato, Gérard Larcher, si inquieta per l’«instabilità politica molto dannosa per la Francia» che il paese ha di fronte. Il Medef, la Confindustria francese, mette in guardia: nessuna politica economica avventuristica, evoca debito e deficit e già rimpiange le scelte pro-business del primo Macron. E prontamente il ministro dell’economia Bruno Le Maire evoca un «rischio finanziario» con il programma del Nfp.

Cattivi perdenti al Rassemblement National: per Jordan Bardella, che ha visto andare in fumo l’ipotesi di diventare primo ministro (ma che si consola a Bruxelles con la presidenza del neo-gruppo pro-russo I Patrioti) ha vinto «l’alleanza del disonore» tra Macron e la sinistra.

Per Marine Le Pen «la vittoria è solo rimandata», perché «la marea cresce», anche se «questa volta non è cresciuta abbastanza». Ma nel RN c’è tensione: Bruno Bilde, vicino a Marine Le Pen, critica le scelte dei candidati fatte da Bardella – molti impresentabili, razzisti, omofobi, antisemiti – che hanno portato alla sconfitta.

ANNA MARIA MERLO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria