In Italia si pensava da tempo ad una “via al socialismo” che avrebbe dovuto riprendere lo spirito resistenziale all’oppressione, questa volta anche di classe oltre che a quello dittatoriale nazifascista, e coniugarlo con un rispetto delle istituzioni democratiche che le comuniste e i comunisti avevano in larga misura contribuito a far nascere nel lungo e meticoloso lavoro dell’Assemblea Costituente.
Una via che Togliatti aveva inteso proprio in questa chiave duplice, simbiotica, necessaria nel mettere insieme socialismo e democrazia come grimaldelli contro la soverchiante cappa della prepotenza capitalistica attraverso una partecipazione sempre più ampia delle masse popolari alla gestione della cosa pubblica ed alla edificazione di una alternativa concreta in quello che, pasolinianamente, si potrebbe definire un “paese nel paese“.
L’obiettivo non fu mai veramente a portata di mano, vista la presenza imperialista nordamericana in Europa e, nello specifico, in Italia: dagli stretti legami dei governi democristiani e del pentapartito con Washington alla diffusione delle basi della NATO sul nostro territorio, alle tante trame più o meno segrete disseminate in una fitta rete di perverse relazioni con i peggiori ambienti dell’eversione neofascista.
Ma per un attimo parve poterlo essere, quando tra il 1968 e il 1969 la fiammata della rivoluzione sociale e studentesca prese l’Europa e sconvolse le certezze di una imperitura stabilità della normalità borghese, del perdurare di una pace sociale che si sarebbe riproposta in nuove forme e modelli nell’ormai vicino slancio liberista che sarebbe partito dagli Stati Uniti d’America nei primi anni degli anni Settanta.
Ed è proprio in quegli anni che in Cile, ma a dire il vero un po’ in tante parti di quello che veniva, e tutt’ora, forse meno confacentemente rispetto a decenni e decenni fa, viene chiamato il “sud del mondo“, si apre la possibilità di una rimodulazione sociale attraverso il cambio istituzionale con elezioni democratiche. Una via al socialismo che Unidad Popular di Salvador Allende propone con riforme di struttura, con un mutamento radicale.
Uno spostamento delle risorse da impiegare nella gestione del paese andino che non è il sovvertimento totale dei privilegi della classe borghese e imprenditoriale, ma di certo è qualcosa di qualitativamente superiore al peronismo argentino (perché parte da premesse di condivisione delle scelte, di delega del potere da parte del proletariato, senza pretese di nazionalismo, bensì di nazionalizzazione degli apparati produttivi) ed è anche molto differente dal sovietismo, nonché dal castrismo.
Non per forza si devono cercare delle somiglianze tra il governo di Allende e delle sinistre cilene con altri esperimenti anticapitalisti sparsi in quel mondo duale, uguale e contrario a sé stesso.
Ma il raffronto permette di comprendere meglio le preziose peculiarità di una azione politica che, col senno di poi, si può giudicare spericolatamente ingenua nel non avvertire le avvisaglie della contrarietà di mezzo mondo; ma che, se ci si cala nel contesto di allora, era, invece, consapevole del rischio d’essere una sfida a viso aperto proprio a quel nord ricco e opulento, capitalista e imperialista.
Washington guarda infatti con preoccupazione al governo socialista di Allende. A due passi da casa c’è la Cuba di Fidel Castro. La sindrome dell’accerchiamento non è la prima inquietudine che si prende i pensieri degli strateghi americani, del governo come della Central Intelligence Agency. Il timore è propriamente economico e finanziario.
Per smentire in parte il fatto che vi sia stata da parte di Salvador Allende una incurante sottovalutazione del pericolo golpista, è utile leggere “La via cilena al socialismo. Scritti e interventi di un presidente democratico” (PGreco edizioni, 2013). Meglio delle parole dello stesso presidente socialista non vi è in quanto a testimonianza lucida della piena coscienza dei molti anfratti in cui si nascondevano i pericoli per qualunque formazione progressista che avesse tentato anche un primo approccio di riformismo sociale.
Allende non è un giocatore d’azzardo in politica. Pondera, ragiona, si confronta con i suoi alleati e cerca di mantenere sempre uno stretto contatto con la popolazione, col proletariato e con i sindacati, col mondo del lavoro nella sua interezza che è, effettivamente, la sua vera forza, la base su cui poggia la legittimazione del suo governo.
La società cilena è un complicato equilibrio, fragilissimo, tra tenuta democratica e rapporti con quelle forze armate che saranno le protagoniste del colpo di Stato del settembre 1973. Basta una minima agitazione antigovernativa, provocata dalle rimostranze dei proprietari che assistono alla nazionalizzazione dell’industria del rame per cui Allende rivendica un ruolo primario nell’economia nazionale.
Ed è evidente, almeno per un socialista, che ciò che contribuisce al progresso sociale e al bene comune deve essere una proprietà comune nel rispetto di quelli che sono i rapporti internazionali di scambio dei prodotti e delle merci. Non si può parlare quindi di “socialismo cileno” se ci si riferisce al governo del Cile da parte di Allende, perché non vi fu il tempo per costruire una via vera e propria al superamento della maggior parte delle istanze capitaliste nell’intero paese.
Ci si può riferire ad Allende come ad uno dei precursori del riformismo sociale in seno ad un continente trattato con spietata crudezza commerciale e finanziaria dall’imperialismo nordamericano che si era evoluto, involvendosi, dalla dottrina Monroe fino quella di Roosevelt (Theodore), passando dall’esclusione di qualunque intromissione europea negli affari statunitensi all’occuparsi direttamente di quelli di tutto ciò che stava a sud del Texas e della Florida.
Due anni dopo la presa violenta del potere da parte di Augusto Pinochet e della sua giunta militare, l'”Operazione Condor” sarà lanciata dal Cile, dal capo della polizia politica il cui nome diventerà tristemente famoso anche nei radio-telegiornali italiani ogni qual volta si parlerà di America Latina e di scomparsa di centinaia di migliaia di oppositori politici.
Allende aveva o non aveva dunque sottovalutato un insieme di poteri e di relazioni carsicamente ombrose che, a qualunque costo, non avrebbero consentito al “pericolo marxista” di mettere radici tanto nel Cile quanto al di fuori di esso? La risposta è affidata ad una critica storica che non ha il compito di condannare o assolvere il presidente socialista. Semmai ha il dovere di fare sempre più luce sulle tante trame che si sono intrecciate a discapito di quella democrazia che proprio gli Stati Uniti dicono, da sempre, di rappresentare e voler difendere.
Il ruolo della CIA nel golpe di Pinochet è qualcosa di più di un dato acclarato. Nonostante ciò, una presunzione di colpa la si prova comunque sempre ad attribuire ad un Allende che avrebbe troppo accelerato sulle riforme sociali innescando dapprima una serie di pressioni interne ed internazionali che hanno portato il governo di Unidad Popular sulle soglie di una crisi e, successivamente, lo sciopero dei camionisti che paralizzerà la capitale e gran parte del paese.
Nonostante questa critica parta proprio da quella che viene definita una sorta di “sconfitta” di Allende, è opportuno sottolineare come, anche nella più genuina e distaccata bontà del processo di formulazione dei dati storici e, quindi, di ricostruzione attendibile dei fatti mediante l’incrocio delle diverse (spesso diversissime) fonti a disposizione, si tenda a mettere sotto i riflettori non in modo equanime la fine del governo socialista e il golpe militare sostenuto dalla CIA.
Il tentativo di difendere il presidente assediato alla Moneda, di proteggere quel che sarebbe potuto ancora rimanere della democrazia cilena, costerà la vita a migliaia di oppositori: comunisti, socialisti, antifascisti e libertari, antimilitaristi e membri del sindacato. Allende può anche aver fallito nel suo progetto di riforma sociale mediante la via cilena democratica ad un sistema di gestione del paese andino che andasse piano piano oltre la crudezza capitalistica.
Ma di sicuro, se il presidente commette l’errore di sottovalutare la reazione dei poteri forti, dalla politica all’economia, dalle gerarchie militari all’alta finanza, il peggiore fallimento è certamente quello di Washington che scrive la sua ennesima pagina di controstoria, mostrando al mondo la cinica frivolezza di una repubblica democratica che si impone sul mondo con guerre, colpi di Stato. Nel nome della libertà, della stabilità e del progresso.
Questa osservazione, ne siamo consapevoli, appartiene più che alla storicità dei fatti, ad una visione critica naturalmente marxista, comunista, anticapitalista. Ma la premessa invece è storicizzabile, perché se anche Allende può aver sottovalutato un pericolo quasi globale che si sarebbe abbattuto sul Cile del settembre 1973, è ancorché vero che la popolazione era della sua parte e dalla parte di Unidad Popular.
Mentre nelle favelas delle città cilene si guarda con crescente interesse al riformismo del governo socialista, i ricchi, i grandi possidenti terrieri e gli industriali invocano l’intervento esterno senza mezzi termini. La sollevazione delle forze armate a Valparaiso è simile a quella delle truppe di Franco in Marocco. L’incendio divampa, sul fuoco soffia l’America prona al capitalismo mondiale. Il palazzo presidenziale a Santiago è bombardato da cielo e terra. Allende mette l’elmetto, imbraccia un fucile.
Fa appelli al popolo affinché resista, difenda la democrazia e le conquiste sociali. Ma la brutalità militare dei golpisti fascisti si impone sul governo democraticamente eletto. Ha inizio, con il suicidio del presidente, un lungo periodo oscurantista, di negazione dei fondamentali diritti dell’uomo e del cittadino. L’ordine che vogliono i grandi finanzieri, le banche e la borghesia cilena si fonda non sulla sabbia di cui Rosa Luxemburg parlava per la sua Germania, ma su una melma ematica, su rivoli di sangue e sparizioni.
Stadi pieni di dissidenti, una giunta militare al comando e la fine di qualunque apertura economica in favore dei ceti popolari e del proletariato di allora. Se Allende fallisce, come qualcuno asserisce oltre l’oggettività storica, provando a dare un giudizio politico che è, altrettanto oggettivamente difficile da dare, perché sarebbe pieno di se e di ma, non è per una sottovalutazione del pericolo.
Semmai è per la grande coalizione che si forma tra forze diverse tanto della politica quanto della società cilena che, minoranza nella maggioranza popolare e proletaria, temono di essere una per una scalzate nei loro punti di privilegio. L’ago della bilancia è la saldatura tra una sorta di “aristocrazia operaia” e padronato e, di questi settori antisociali con la casta militare e con la politica conservatrice e reazionaria cilena.
Il blocco dei trasporti sarà una delle armi più appuntite nel costringere la popolazione a dimostrazioni di opposizione nei confronti del governo per l’aumento del costo delle derrate alimentari, dei beni di prima necessità, della benzina… Il governo di Allende viene così preso in trappola nella tenaglia che lo stritola e dà l’opportunità ai golpisti di intervenire, ufficialmente, per rimettere la situazione a posto e ristabilire l’ordine.
Non tarderà Pinochet, già poche ore dopo la morte del presidente, a dichiarare i veri intenti: prendersi il potere e allontanare dal governo del paese le sinistre marxiste. Il caso cileno è una eco lontana di una trasformazione violenta degli equilibri di una nazione moderna che stava, passo dopo passo, provando ad uscire dalla minorità economica, dalla subordinazione all’imperialismo nordamericano.
Leggere Allende oggi vuol anzutto dire dotarsi di una serie di anticorpi che permettano di riconoscere anzitempo eventuali nuove minacce frutto di particolari congiunture della Storia che, ce lo insegna tutto il Novecento, si ripresentano, seppure differentemente nei termini e nei modi, ma hanno l’uguale detonante, omicida, tragica conclusione.
LA VIA CILENA AL SOCIALISMO
SCRITTI E INTERVENTI DI UN PRESIDENTE DEMOCRATICO
SALVADOR ALLENDE
PGRECO EDIZIONI, 2013
€ 15,00
MARCO SFERINI
26 giugno 2024
foto: particolare della copertina del libro
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