Nella notte prima degli esami, la destra che è al governo approva con procedura d’urgenza e sul filo del numero legale, quindi con le maniere forti, una legge che è il vecchio sogno separatista della Lega quando era Lega Nord, imbellettato in formule meno impresentabili. Poco dopo, quando si fa mattina, studenti e studentesse nei loro banchi per l’esame di maturità ricevono un testo da commentare scritto da una giurista che si oppone alle “riforme” della destra.
È lei che raccoglie le firme dei colleghi costituzionalisti contro il premierato che dell’autonomia è complemento e scambio. Si potrebbe pensare che il ministero di Valditara abbia pensato proprio a lei per generosità e apertura mentale, ma è stata solo sbadataggine e trascuratezza. Tant’è vero che, tra i tanti, è stato scelto un saggio di quattro anni fa, riferito a un articolo della Costituzione che nel frattempo è cambiato.
La Lega avvera il suo sogno, anzi quello di Miglio e di Bossi, che in quarant’anni ha chiamato prima separatismo poi federalismo poi devolution, proprio adesso che è all’apice della crisi, che ha tolto il Nord dal nome e non è più il primo partito sopra il Po. Ma non c’è contraddizione in questo.
Al cuore di quel sogno non c’è mai stata infatti un’idea differente di funzionamento dello stato né un’idea di efficienza amministrativa, c’erano solo egoismi e calcoli di bottega. Che adesso, in questa maggioranza, trionfano. L’esibizione dei vessilli delle piccole patrie con la quale i leghisti hanno celebrato in parlamento la vittoria è una rivendicazione coerente. False sono le rassicurazioni.
L’autonomia differenziata non è un progetto che avrà bisogno di tempi lunghi e che quindi potrà essere preparato e meditato. Anche senza i mitici livelli essenziali delle prestazioni (Lep) partirà subito e in materie con un diretto impatto sulle vite dei cittadini. Come ordinamento delle professioni, sistema tributario, protezione civile: tra qualche mese il livello dei servizi e persino le regole potranno essere diverse a seconda della regione dove si risiede.
Ma anche il mito del Lep va capito bene. Perché il solenne impegno non è altro che quello di concedere ai cittadini delle regioni «povere» un livello almeno «essenziale» di scuola, sanità e tutto il resto. Escluso che possano avere diritto anche loro alle eccellenze. Escluso persino che abbiano diritto a rivendicarne la possibilità. La legge Calderoli sull’autonomia è per questo una legge contro la Costituzione.
Perché la Carta affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che scavano differenze tra i suoi cittadini, mentre l’autonomia opera in senso opposto, aggiungendo altri ostacoli, i confini regionali, e rendendo insuperabili quelli economici che si ereditano per nascita e residenza. È una legge ordinaria che bisognerebbe portare davanti alla Corte costituzionale – che entro fine anno cambierà composizione per quasi un terzo – strada che appare più praticabile del referendum abrogativo, che ha tempi più lunghi ed esito incerto perché dubbia è la sua ammissibilità.
Eppure, a stare alle dichiarazioni, l’opposizione che si è unita (quasi) tutta in piazza martedì sembra riunirsi tutta dietro l’idea del referendum. Ma probabilmente, speriamo, è solo un altro caso di sbadataggine.
ANDREA FABOZZI
foto: screenshot ed elaborazione propria