Il voto a schiacciante maggioranza dell’Assemblea dell’Onu che riconosce il pieno titolo dello Stato di Palestina ad essere ammesso alle Nazioni unite è atto formale e simbolico, decide il Consiglio di sicurezza. Ma esistono momenti nella storia non solo dei popoli, anche individuali e di classe, in cui eventi “simbolici” acquistano una valenza ben superiore al loro effettivo contenuto.

È questo il caso della risoluzione approvata venerdì sera. Che 143 paesi, con una rilevanza del Sud del mondo e con una Europa a dir poco divisa – Francia, Spagna e Germania hanno approvato – abbiano votato a favore mentre 25 si sono astenuti e 9 hanno votato contro, non è cosa da poco mentre è in discussione l’intera esistenza del popolo palestinese.

Non si capirebbe altrimenti la rabbiosa reazione del rappresentante israeliano che accusando l’Assemblea «di avere aperto la porta ai nuovi nazisti» e «di avere fatto a pezzi la Carta dell’Onu», ha platealmente strappato nella macchina trinciacarta la Carta medesima – come se i governi israeliani non l’avessero fatta a pezzi da tempo, misconoscendo tutte le Risoluzioni dell’Onu che dal 1967 impongono ad Israele di ritirarsi dall’occupazione militare dei Territori palestinesi.

Così come non è inutile scoprire che tra gli astenuti c’è l’Ucraina che combatte contro l’aggressione russa e vuole armi per i territori occupati (del Donbass) ma si volta dall’altra parte rispetto a territori occupati palestinesi; e c’è l’Italia, ai margini della storia, a chiacchiere meloniane impegnata sul Sud del mondo con il suo neocoloniale Piano Mattei, per poi scoprire che vota all’opposto del Sud del Mondo e sui diritti della Palestina tace e acconsente; ecco poi tra i contrari le “perle democratiche” di Argentina, Ungheria e della neoatlantica Repubblica ceca.

E gli Stati uniti, che solo ad aprile hanno posto il veto su questo tema al Consiglio di sicurezza, con motivazioni balbettanti che rasentano il comico se non fossero tragiche: «L’adozione di questa risoluzione non porterà cambiamenti tangibili ai palestinesi, non metterà fine ai combattimenti a Gaza né fornirà cibo, medicinali e riparo ai civili. È qui che si concentrano gli sforzi degli Stati uniti…» ha dichiarato il portavoce della missione all’Onu Usa Nate Evans.

Siamo alla farsa, nell’imbarazzo di capire che faranno adesso gli Stati uniti dopo il voto dell’Assemblea Onu. Perché ora il re è “nudo”, Biden e Blinken sono “nudi”. Il racconto corrente, mainstream, è che la Casa bianca si sarebbe opposta strenuamente alla strategia criminale di Netanyahu; eppure nelle Università Usa non la pensano così.

Anche perché in realtà in questi lunghi e sanguinosi sette mesi la Casa bianca ha lasciato fare, ha consentito, con miliardi di forniture di armi, che fosse portato a termine il massacro che abbiamo sotto gli occhi; anche attraverso tre veti al Consiglio di sicurezza contro la proposta di cessate il fuoco e di un altro veto ad aprile proprio sull’ingresso a pieno titolo della Palestina nell’Onu; e dopo avere deciso la sospensione dei fondi all’Unrwa perché «infiltrata» – accusa mai provata -, una decisione criminale alla quale Meloni, la «cocca di Biden» secondo i media Usa, si è subito accodata.

Qual è il punto? Biden “tentenna”, tira il sasso e nasconde la mano, al punto da “scoprire” in queste ore, rivela la Cnn, che le armi fornite dagli Usa a Israele – in particolare una superbomba sperimentata già in Vietnam – «potrebbero» essere state usate contro i civili, «contro il diritto internazionale». Perché c’è un modo di bombardare i civili salvando il diritto internazionale? No, come dimostrano Iraq e Afghanistan? E poi, la carneficina è durata sette mesi e se ne accorge ora? Ben prima se n’è accorta la Corte di giustizia internazionale dove ora Israele è imputata per «plausibile genocidio».

Ma l’operazione di fondo, degli Stati uniti e dell’Occidente, è vedere i palestinesi non come soggetti aventi diritti, alla vita e alla terra, alla dignità e a uno Stato, ma come ombre elemosinanti, affamati in lamento, feriti e mutilati alla fine da supportare, insomma gli ultimissimi della terra ridotti ad una condizione di subalternità così profonda che l’indigenza cancelli le aspirazioni umane e politiche.

Per altro c’è in ballo la gestione «politica» dei cosiddetti aiuti e l’affare della «ricostruzione». E tra le responsabilità della coppia Biden-Blink – gli daremo il Nobel della pace? – c’è quella di essersi spostata strategicamente a destra sul campo di Trump, continuando a mantenere in vita lo scellerato Patto di Abramo che vede Netanyahu e Arabia saudita protagonisti, firmato sulla pelle dei palestinesi esclusi.

Certo il voto dell’Assemblea generale dell’Onu non riporterà in vita i 15mila bambini uccisi nell’offensiva impari di Netanyahu scatenata a Gaza come vendetta dell’eccidio del 7 ottobre, né torneranno in vita e abili i corpi di migliaia di donne, uomini, anziani feriti e mutilati. Siamo a 35 mila morti e Il massacro non è finito. L’immagine più bella che abbiamo visto in questo periodo sono stati gli striscioni dei bambini di Gaza che ringraziano gli studenti in rivolta dei campus statunitensi.

In questo momento, mentre Rafah è sotto i bombardamenti e si contano decine di vittime, il risultato del voto all’Onu arriva a chi fugge sotto le bombe, dà futuro ai bambini che scampano la morte, coraggio a chi garantisce la sopravvivenza civile, speranza a chi combatte contro la violenza dei coloni in Cisgiordania.

Sventolare oggi la bandiera palestinese è sempre più parte della difesa del diritto internazionale, è contro la guerra, è per una vera pace. Che lo dica l’assemblea dell’Onu, che non lo dica il Consiglio di sicurezza, c’è una Palestina-Mondo, secondo le parole e il pensiero di Nelson Mandela, che è misura della nostra libertà.

TOMMASO DI FRANCESCO

da il manifesto.it

foto: screenshot You Tube ed elaborazione propria