Già parecchie volte è toccato tornare sull’attacco al diritto per le donne all’interruzione volontaria della gravidanza, comunemente chiamata “aborto“. Se evitassimo spesso una estrema, eppure certamente necessaria, sintesi tanto parlata quanto scritta, ci renderemmo consapevoli del fatto che si tratta di una decisione che spetta soltanto alla donna e che questa deve essere presa in totale autonomia di giudizio, con una assistenza medica e psicologica che non deve però essere ideologica.
Né i sostenitori, né i detrattori dell’interruzione volontaria di gravidanza devono avere parola nel momento in cui una ragazza o una donna adulta decidono che quella sia la scelta più confacente per sé stesse, per scongiurare condizioni di disagio unanimi, che riguardino tanto chi deve mettere al mondo un figlio, quanto quel figlio e l’ambiente in cui verrebbe a crescere.
I motivi per cui una donna decide di abortire sono sindacabili fino a che non vengono permeati da un moralismo bigotto, reazionario e intransigentemente conservatore che, affiancandosi ad un fideismo religioso, essenzialmente cattolico, diviene così una vera e propria politica di aggressione al diritto di scelta stabilito dalla Legge 194. Un diritto che la destra meloniana al governo mette in discussione con una impudenza senza precedenti.
Lo fa dirottando una parte dei fondi destinati alla sanità pubblica dal PNRR alle associazioni cosiddette “pro-vita” che si battono per evitare che le donne abortiscano e, quindi, mettono in scena e in pratica una serie di metodi psicologicamente violenti che vorrebbero indurre ad evitare l’interruzione di gravidanza: tra gli altri, il far ascoltare alla futura madre il battito cardiaco del feto.
Nella scala del cinismo, da uno a dieci, pratiche simili superano esponenzialmente il massimo e si traguardano senza riuscire ad intravedere la fine di tanto accanimento antiterapeutico. E tutto questo perché la considerazione della vita umana (si badi, di quella umana, perché invece degli animali non umani si può tranquillamente fare scempio nei grandi allevamenti, durante le feste comandate – a Natale, a Pasqua…) non può prescindere dal presupposto creazionista.
Quindi, la destra del trittico “dio, patria, famiglia“, siccome mette dio al piano superiore della piramide esistenziale e ne fa un mantra incensurabile (contraddicendo il primo anticlericalismo del Mussolini ateo, ma già lontano dal suo originario fervore socialista) deve edificare su questo principio teleologico l’impianto sociale e civile di un’Italia che dovrebbe essere laica e che, invece, non passa giorno in cui non inciampi in qualche induzione alla tentazione antisecolare.
Nel gennaio del 2023 Fratelli d’Italia propose di riconoscere la soggettività giuridica degli embrioni al momento del concepimento. Fu una delle quattro proposte di legge che la destra di Giorgia Meloni avanzò in meno di tre mesi dall’insediamento a Palazzo Chigi: la prima, portata avanti da Maurizio Gasparri, meno drasticamente di quella testé esposta, proponeva il riconoscimento delle capacità giuridiche del concepito, quindi un passo leggermente più avanti rispetto al momento in cui avviene il concepimento.
La seconda, ad opera della Lega, pretendeva di fare del concepito un componente della famiglia, benché non ancora formato in feto e, dunque, nemmeno nato. Mentre la terza proposta, formulata dalla figlia di Pino Rauti, si muoveva sul piano più celebrativo ma non certo meno insidioso in quanto ad evoluzione di una alternativa al diritto delle donne per l’interruzione volontaria di gravidanza: istituire una “giornata della vita nascente“.
Dai “Family day” alle “Famiglie in potenza“. Un salto mica da poco, tutto a vantaggio di una destrutturazione del vero concetto “laico” di uguaglianza civile, oltre che sociale: permettere a chiunque di decidere del proprio corpo di fare ciò che meglio crede e, quindi, di poter essere in grado di scegliere senza che una morale superiore determini i comportamenti di donne, uomini, adulti, ragazzi, giovani e meno giovani, malati e sani.
Gira gira, la questione ritorna sempre come messa in discussione dell’interruzione della gravidanza. Perché, se è pur vero che le leggi proposte dagli esponenti della destra post-fascista e leghista non vanno direttamente a toccare la possibilità per la donna di esercitare la libera scelta sull’aborto, per evitare di essere palesemente incostituzionali, vi si pongono di fianco, accanto, come suggeritrici malevole di un senso di colpa necessario a salvare la sacralità della vita.
Quella vita che loro, partendo dal presupposto metafisico-religioso, attribuiscono all’incosciente esistenza di un embrione che solo dall’ottava settimana di gestazione può dirsi “feto“. Se, per un attimo trasferissimo questa preservazione assoluta della vita, dal concepimento in avanti come le destre ci propongono, all’uovo di gallina, dovremmo dedurne che quando rompiamo un uovo, mettiamo fine di per sé all’esistenza di un pulcino.
E, potenzialmente, è così. Ma il punto in questione deve essere anche la questione della senzietà, del provare sensazioni, quindi gioia, dolore, emozioni… Un essere senziente ha diritto di poter vivere prescindendo dalla specie. Ma la destra, nonostante anche la Chiesa abbia fatto qualche timido passo in avanti nei confronti del riconoscimento dei diritti degli animali non umani, non si perita di garantirne la tutela della vita così come fa con l’essere umano.
Un essere umano che, sovente, nelle proposte di legge a tutela dell’embrione prima ancora quasi che divenga tale, è sempre maschile: si parla di “uomo” e mai di donna quando ci si riferisce al soggetto del diritto che si vuole concretizzare. E’ una forma mentis patriarcale che si riverbera a cascata su tutti gli altri concetti portati a supporto delle tesi antiabortiste o del diritto alla vita senza se e senza ma.
Il discrimine tra senzietà e non senzietà non è da poco. Non sul concepimento si dovrebbe ragionare quando si parla di diritto alla vita, ma sul fatto se un embrione è in grado di “sentire“, di percepire, quindi di soffrire.
Siccome non esistono evidenze scientifiche, quindi certezze, in merito, ne dobbiamo dedurre che un organismo cellulare non ancora entrato nella fase della differenziazione stessa delle cellule (passo da cui non si torna indietro nell’evoluzione complessa del futuro individuo) è un primo stadio della formazione di una vita che non ha coscienza e quindi non ha senzietà.
Torniamo per un attimo ai pulcini. Anche nell’ambito vegano-vegetariano (e viceversa) il punto non è tanto mangiare le uova o non mangiarle (quindi interrompere o meno la catena evolutivo-biologica del dolce esserino giallo che ne nascerebbe), ma la condizione di sofferenza di questi animali che diventano oggetti di una produzione indiscriminata di galline costrette ad una breve esistenza crudele. Assiepate in capannoni, allevate in gabbie strettissime, e non meno sofferenti anche se allevate a terra…, costrette a fare uova giorno e notte, ad ingrassare smisuratamente…
Il punto quindi è la sofferenza degli esseri viventi. I vegani non mangiano uova per una scelta anzitutto etica e poi, comunque evitarne un eccessivo consumo non fa che giovarne al fegato… Ma torniamo alla questione dell’embrione e della vita. Se davvero le destre considerano la sacralità della vita universale, perché non si battono anche per la fine dello sfruttamento di qualunque essere vivente?
Perché non riconoscono nell’antispecismo, nell’uguaglianza del diritto alla vita per tutti gli esseri senzienti, il principio supremo di una società eticamente giusta?
Non sono forse i credenti a ritenere che tutto ciò che esiste è creazione da parte di dio? Invece, il culto della preservazione della vita a tutti i costi, intromettendosi nelle scelte personali, nel diritto a decidere del proprio corpo e della propria salute psico-fisica, riguarda solamente la nostra cosiddetta “specie”: quella che domina le altre e che, internamente a sé, si divide tra umani superiore e umani inferiori.
Per questioni di colore della pelle, per cultura e religione, perché alcuni figli dell’Occidente colonialista, mentre altri dei continenti mai del tutto de-colonizzati. Quando si fa di tutto per impedire che una donna possa abortire, qualora lo abbia liberalmente scelto, si fa qualcosa di molto più complesso e perverso rispetto ad una violazione del diritto di ricorrere alla Legge 194 che, diversamente da quello che ormai si pensa, tutela anzitutto la salute della madre e cerca di prevenire il ricorso all’interruzione di gravidanza.
Prova ne è il fatto che gli aborti nel corso dei decenni sono diminuiti e che sono state messe da parte pratiche pericolose che mettevano seriamente in forse la sopravvivenza di giovani donne che ricorrevano alla clandestinità per poter esercitare quello che sarebbe divenuto un diritto nel 1978.
Da allora la Chiesa Cattolica, non ultimo con la dichiarazione “Dignitas infinita” della Congregazione per la dottrina della fede, che riassume anche tutte le esternazioni di papa Francesco nel merito della questione, non ha fatto un passo indietro per rispettare la laicità della Repubblica Italiana, ma è intervenuta costantemente a gamba tesa per inquinare la politica nazionale sui temi etici e per sfruttare la propria capillare presenza e le tante organizzazioni sociali e solidali al fine di condizionare i processi decisionali popolari e istituzionali.
Con la fine del monolitismo democristiano e del monopolismo dei valori cattolici da parte della Balena bianca, è stato prima il campo largo berlusconiano ad ereditarne variegatamente la rappresentanza. Ed oggi la peggiore destra mai stata al governo della Repubblica.
La sacralità della vita sarebbe veramente tale se, a molte donne che rimangono volontariamente o involontariamente incinta (e questo sarebbe un capitolo a parte da trattare lungamente…), fosse data la possibilità di avere nella loro prossimità esistenziale una assistenza vera: sanitaria, psicologica, sociale. Consentendo loro di evitare almeno quella parte di senso di colpa, quello di una società che le addita come colpevoli della loro condizione prima e colpevoli per l’interruzione di gravidanza poi.
La mitologia biblica sulla condanna divina del gesto di Eva si ripercuote da migliaia di anni a questa parte contro le donne, simbolo non della bellezza del principio della vita, ma del peccato originale. Per cui all’uomo, generoso procreatore delle stesse, spetta anche il giudizio ultimo sull’opportunità o meno della preservazione della specie. A scapito delle altre, visto l’antropocentrismo globalmente dominante grazie ai grandi affari delle multinazionali della carne.
Siamo tanto indietro ancora… Prima che si possa arrivare al pieno riconoscimento dell’intangibilità della vita senziente, bisogna scongiurare i pregiudizi conservatori sull’apriorismo delle sensazioni e del dolore. Intanto quello che già c’è lo si rende accettabile con la consuetudinarietà del principio tradizionalista.
Sottomissione della donna all’uomo, patriarcalismo, maschilismo, vanno contrastati. Lo dicono anche a destra. Ma non del tutto. Perché certe scelte non può farle la donna prescindendo da tutto e tutti. Deve rispondere quanto meno a dio… E vorrete mica far crollare uno dei pilastri su cui regge il potere da millenni, far venire meno il timor di dio?
Da quello dipende, in parte, un po’ della tenuta sociale che si gestisce con la sovrastruttura religiosa. Utile per ammansire le frenesie razionaliste e le rivendicazioni di libertà singole e collettive; ed utile per mettere le genti le une contro le altre e far loro credere che, per sopravvivere, si debba uccidere su vasta scala. Davanti a tutto questo, il moralismo delle destre antiabortiste, pro-vita e antifemministe delle destre casca come il cacio sui maccheroni. Calza a pennello. Purtroppo…
MARCO SFERINI
18 aprile 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria