Francesco Russo. È questo il nome del personaggio decisivo per gli sviluppi del caso Bari, con l’iter avviato dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi per valutare lo scioglimento del consiglio comunale per l’inchiesta sul voto di scambio (137 arrestati, tra cui due consigliere comunali). Russo è il prefetto di Bari, nominato lo scorso autunno, in precedenza in servizio a Salerno e, quando era vice a Milano 15 anni fa, noto per il suo attivismo nelle «emergenze» nomadi e migranti, campagne politiche parecchio intense dell’ultimo governo Berlusconi.
Legalmente è lui che ha in mano le sorti del percorso che potrebbe portare alla fine anticipata del mandato di Antonio Decaro e al commissariamento: a lui infatti spetta la valutazione sull’eventualità di scioglimento per infiltrazioni mafiose, previo confronto con il Comitato per l’ordine e la sicurezza allargato al procuratore locale, il cui parere è certamente importante ma non decisivo. Quello che a Roma può fare il ministro Piantedosi è invece di chiedere di verificare se ci siano le condizioni per uno scioglimento e, al limite, proporlo.
L’istruttoria comunque è in carico al prefetto, che poi deve farla avere al Viminale, che a sua volta la fa arrivare al presidente della Repubblica, che infine può firmare un decreto che pone fine alla consiliatura. Più nello specifico, il prefetto Russo dovrà valutare l’entità della faccenda per poi chiedere agli Interni l’istituzione di una commissione con ampi poteri di controllo nei confronti della macchina amministrativa, tra acquisizione degli atti e audizioni che poi vanno obbligatoriamente trasmesse proprio al prefetto. E da lì decidere se sciogliere o no.
L’eventualità, allo stato delle cose, è remota e la vicenda barese dunque ha sin qui soprattutto tinte politiche. Non sfugge che i cittadini di Bari saranno chiamati a votare il nuovo sindaco a giugno e che questa tempesta non potrà non avere conseguenze. Anche perché, nel pur improbabile caso di commissariamento, le elezioni non si terrebbero e ci sarebbe un anno e mezzo di tempo almeno per mandare la città alle urne.
Da qui, cioè dalla tempistica quantomeno clamorosa della faccenda, arriva l’allarme lanciato dal sindaco Decaro e, soprattutto, la tonnellata di solidarietà ricevuta da altri colleghi sindaci, oltre che dai leader del centrosinistra. In ordine di vicinanza geografica, i primi ad alzare gli scudi sono stati il governatore pugliese Michele Emiliano, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il presidente della Campania Vicenzo De Luca e i sindaci di Roma e Bologna Roberto Gualtieri e Matteo Lepore.
«Molto grave quello che sta accadendo a Bari – dice Gualtieri -. Inaccettabile un uso politico e strumentale dei poteri che la legge assegna al governo, che costituisce un pericoloso precedente». Lepore gli fa eco: «Come sindaci italiani siamo molto scioccati da questa notizia. Siamo tutti certi che Decaro sia una persona specchiata e che questo intervento da parte del governo a gamba tesa a pochi mesi dalle elezioni a Bari sia molto sospetto».
Dalle parti della destra, va da sé, i pareri sono diametralmente opposti. Il governo, del resto, ha una componente pugliese di non secondaria importanza, tra il ministro Raffaele Fitto e i sottosegretari Alfredo Mantovano (l’uomo dei dossier a cui la premier tiene) e Marcello Gemmato, ministro ombra della Sanità. Del resto Meloni ha investito sulla regione, pronta a lanciare il suo partito alla conquista di un territorio in mano al centrosinistra da vent’anni.
Fitto, che in passato della Puglia è stato governatore e poi è stato sconfitto svariate altre volte quando ha provato a tornare in carica, «per molto meno si sono avviate verifiche che hanno portato allo scioglimento degli organi interessati». Poi l’attacco a Decaro, che aveva accusato il governo di star muovendo una vera e propria guerra nei suoi confronti: «Il quadro è serio, capisco che ci sono le Europee, ma parlare di golpe, di attacco politico, davanti a una legittima attività amministrativa, mi sembra davvero esagerato».
Non è da meno il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, che ha definito «sconcertanti» le lamentele di Decaro, negando che sia in atto una qualche campagna politica. Per il governo è insomma il sindaco di Bari che sta politicizzando il tutto. Decisivi, in questa storia, sono i tempi: la mina è stata sganciata dal Viminale a meno di cento giorni dalle elezioni e non è ancora chiaro quando l’iter di verifica vedrà una conclusione: si potrebbe tranquillamente arrivare a ridosso dell’apertura delle urne, se non addirittura nel bel mezzo del periodo di tempo che passa tra il primo turno e il ballottaggio.
Quel che è certo è che il clima, a Bari, ormai è già inquinato e che le comunali di giugno saranno un inferno.
MARIO DI VITO
foto: screenshot tv