La favola di Amore e Psiche

Vive di vita propria un racconto astratto dall’opera di cui fa parte soltanto se la sua potenza simbolica oltrepassa i secoli, cavalca i millenni, fuoriesce da qualunque schematismo critico...

Vive di vita propria un racconto astratto dall’opera di cui fa parte soltanto se la sua potenza simbolica oltrepassa i secoli, cavalca i millenni, fuoriesce da qualunque schematismo critico e somiglia costantemente ad un archetipo, ad una eccellenza figurativa del e nel linguaggio che si trasforma senza sosta in una produzione di metonimie davvero epiche: amare l’amore, pensare il pensiero, animare l’anima propria e quella altrui con altrettanto amore, con altrettanti pensamenti.

Non c’è epos, mito, fiaba, narrazione alcuna che possa tenere testa alla figurazione del nostro inconscio e dei nostri sentimenti emergenti e galleggianti sul filo d’acqua della realtà percettibile di tutti i giorni, se non quella tradotta dall’antichità fino ad oggi dal mondo olimpico degli dei, degli eroi, dei comuni mortali che, nella Grecia madre di buona parte della cultura occidentale (e non solo) hanno rappresentato l’antica psicologia, l’antica introspezione dell’animo e della mente.

Così, ne “L’Asino d’oro” di Apuleio è possibile leggere “La favola di Amore e Psiche” (edizioni varie, Feltrinelli, Newton Compton) e, al contempo, farne corpo a sé stante, rappresentandola come un gioiello incastonato in una dorata catena di altrettante pietre preziose per l’intelletto e per lo spirito. E’ possibile separarla dal contesto in cui viene pensata e posta per entrare, più di tutto il libro che la contiene, un mito nel mito, un racconto nel racconto, un contesto nel testo.

Non è uno solo il tema attorno a cui si muove vorticosamente la storia dei due amanti, perché la duplicità è, quanto meno, il substrato ambivalente su cui verte il contrasto tra soffio dell’anima e pervasività dell’amore. Eros e Thanatos qui si sfiorano, non si incontrano, almeno non nella congiunzione molto poco astrale ma comunque iperuranicamente affidata al volere degli Dei e di una sorta di sovrintendenza morale superumana che, letteralmente, oltrepassa i canoni della materialità, della fisicità cui siamo imbrigliati noi mortali.

Tuttavia, amore e morte si scrutano, ma senza oltrepassarsi: guardinghi stanno lontani e si fronteggiano nella sfida della vendetta di Venere nei confronti della fanciulla che ha rapito il cuore del suo figliolo alato. La violenza della dea è verbale, fisica, fatta di anatemi e di percosse. Il racconto di Apuleio, a tratti, sembra quasi una cronaca di efferatezze, la descrizione di una cattiveria che non ha limiti in questi dei ellenici che, obiettivamente, altro non sono se non la consapevole rappresentazione elevata di tutti i pregi ma soprattutto di ogni difetto umano.

Amore scorge nella bellezza dell’anima, di Psiche, qualcosa di così straordinario da rimanere liberamente ma irresistibilmente attratto da un soffio, da una brezza dell’essenza interiore della fanciulla che è, alla fine, lei medesima e che si esprime in quella che l’autore descrive come un quasi indescrivibile pregio davvero non comune agli umani. Ha del divino nell’essere una comune mortale, ed è per questo che Cupido se ne innamora; consapevole dei limiti di quel desiderio irrefrenabile, le impone una promessa: di non cercare mai di scoprire chi giace con lei ogni notte.

La curiosità diventa così la linea notturna di un confine non tracciato ma che esiste. Psiche non dovrà farsi trascinare da nessun altro desiderio se non quello per il suo amante. Non dovrà emulare Orfeo, non dovrà sfidare l’ira divina, non dovrà cadere nella esizialità di pensieri negativi. Dovrà affidarsi all’istinto, al primo impulso e non cercare di vedere oltre. Ma chi non sarebbe attraversato dall’ossessivo cortocircuito mentale prodotto dal non poter fare ciò che, in fondo, si può tentare di fare?

Chi non sarebbe tentato dalla tentazione stessa. La massima di Oscar Wilde qui casca a pennello. Si può resistere a tutto ma non a ciò che è la quintessenza del proibito, del vietato, dell’impedito, del non concesso. C’è una sfida nemmeno tanto infingarda nella profilazione del carattere di questa oscurità che cela il forse, che nasconde il probabile, che lascia presagire tutto e il suo contrario. E allora avanza il timore, la paura che quell’amante non sia poi la meraviglia che si crede. E se fosse un terribile mostro?

Non è soltanto una questione di mera estetica. E’ tutto ciò che vi si cela dietro: se chi ci sta accanto e si unisce a noi in anima e sentimento non è poi chi pensiamo che davvero sia, quali altre realtà differenti dall’immaginato ci si può attendere? Che sicurezza rimane da affidare ai propri sensi, al proprio istinto, alla percezione quasi trascendentale del desiderio che si invera nel corpo e nelle fattezze dell’amante che pure possiamo sfiorare e accarezzare per sentirne la partecipazione emotiva?

Si finisce con l’impazzire. Soprattutto se l’incertezza si ingigantisce e diviene abnorme grazie all’istigazione dubbiosa indotta dalle proprie sorelle che è pari alla voglia di vendetta di Venere, invidiosa della rara bellezza dell’animo umano, capace di inviare il suo figlio alato contro di esso per fare in modo che Psiche si innamori della peggiore delle più seducenti canaglie mortali. Ma avviene l’esatto contrario: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona“.

Tocca persino coinvolgere il Padre Dante in questa straordinaria favola apuleica, perché la legge dell’innamoramento è incensurabile, inemendabile e non conosce confini temporali, mentali. Gode di un universalismo che è praticamente più globale del globo stesso e, se proprio non governa ogni cosa, perché la materia obbedisce a leggi che sfuggono all’amore almeno umanamente e animalmente inteso, quanto meno è difficile che possa essere astratto da qualunque contesto, di qualunque giorno su questa Terra.

La colpa di Psiche è, pertanto, il desiderio che va oltre il desiderio dell’amore. Non è una pornomania recondita legata alla sola chiave di volta della curiosità, che le dovrebbe spegnere ogni fiammella di dubbio sull’identità dell’amante. E’ una necessità ancestrale, una proprietà intransitiva dello spirito che pretende di conoscere appieno il suo lato più misterioso: l’affetto senza confini. Quello senza vincoli di parentele. Quello che non è amicizia. Quello che è terzo rispetto a tutto questo.

L’animo umano inizia davvero a provare amore per l’amore nel momento in cui ogni immaturità possessiva si traduce nel dono di sé stessa per il dono dell’altro a sé medesima. La riconoscenza, letteralmente come metodo di reciprocità egualitaria e non di semplice devozione, del sentimento si sostanzia nel riscatto dello stesso attraverso la vendetta contro chi lo voleva annientare: le sorelle anzitutto. Se l’amore è vero, deve saper discernere il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato.

L’espiazione della sua colpa, quella di aver messo la lanterna accanto alle bellissime fattezze del dio dormiente accanto a lei, scottato dall’olio che gli procura una piaga lenita solo dallo sforzo amorevole di Venere, avviene anche con le quattro prove che la dea sottopone alla povera Psiche, ma in particolare si ritrova nella voglia di andare al di là dell’immiserimento cui la condannerebbe la rassegnazione, il pianto, il battersi il petto per quanto accaduto.

La trasformazione dei sentimenti è anche metamorfosi delle incoscienze, mutamento del punto di vista tanto di Psiche quanto di Amore: lei pronta alla vendetta, lei pronta ad un nuovo, più completo sentimento per il dio che desidera non in quanto tale, ma in quanto Eros. In quanto desiderio per eccellenza. La favola, contrariamente a quello che potrebbe pensare chi ancora non l’avesse letta e, invece, si fosse avventurato in queste righe di presentazione, ha un lieto fine. Facciamo finta di non svelarlo, per lasciare un po’ di emozione tra le emozioni.

Ma, ha ragione chi lo ha opportunamente evidenziato, nel corso del tempo si è sempre più che altro messo l’accento sul tradimento della fiducia di Cupido da parte di Psiche, sull’animo umano che non dà retta all’amore e che, ossessionato dal desiderio del controllo, nega il desiderio stesso e lo degrada, subordinandolo al figlio di Ares, a Fobos, al timore incontrollabile istillato dal dubbio che invece di avere accanto la bellezza di Eros potesse esservi l’orripilante fisionomia di un Bes egizio.

E’ probabile che l’istintivo bisogno di eviscerare di più le nostre debolezze rispetto alle nostre forze abbia aiutato questa narrazione plurisecolare, anzi millenaria, a radicarsi come eponimo delle vie di un animo sempre più inaridito nella sterilità della rassegnazione davanti alle tante, troppe contraddizioni tra la capacità umana di creare bellezza e la corrispettiva propensione a distruggerla in un istante. Tutta quanta.

Ma è anche possibile che a fare più notizia sia sempre il dramma, piuttosto della felicità, della gioia, della straordinarietà dell’esistenza che, rimanendo oggettivamente (e quindi anche soggettivamente) incomprensibile, veleggia come l’Olandese volante nelle nebbie dell’inconoscibile, dell’inestricabile, solcata da una vena malinconica che non vuole e non può, del resto, scrollarsi completamente da addosso.

Psiche, alla fine, riesce a scoprire il segreto del suo rapporto: sa con chi sta, chi ama e, nonostante la sua colpa, viene premiata alla fine del suo cammino espiatorio. Noi non arriveremo mai alla comprensione vera dell’amore in quanto tale. Ed è forse per questo motivo che siamo sedotti di più dalla tragedia momentanea della fanciulla e coloriamo di grigio una favola che, invece, termina con un arcobaleno, con un locus amoenus degno di Virgilio.

Ci maceriamo nel ventre delle nostre tribolazioni, trascuriamo l’esistenza e ne facciamo un presente dimenticato nel momento stesso in cui lo viviamo. I problemi ci sembrano inestricabili: quelli dell’intero mondo li sentiamo fin dentro le viscere, perché, effettivamente, si ripercuotono materialmente su di noi, ci schiaffeggiano, ci violentano quotidianamente nel non permetterci di immaginare anche soltanto di poter assaporare una serenità a tutto spiano.

Difficile poter fare dei raffronti tra il mondo di Apuleio e il nostro. Anche quasi duemila anni fa, essere accusato di stregoneria dai parenti della moglie, sposata su insistenze del proprio amico fraterno per mettere al riparo il patrimonio dall’avidità altrui, non doveva essere piacevole e non doveva rappresentare soprattutto quell’amore che, invece, l’avvocato africano, cittadino romano, chissà, magari aveva sognato per sé e che aveva inteso tradurre nel raffronto contraddittorio tra le tensioni emotive di Amore e il desiderio irrefrenabile di Psiche.

L’immortalità non esiste se non nell’evoluzione costante della trasformazione di qualunque cosa prenda forma inanimata o animata nel cosmo. Si tende così a ritenere che ciò che era impalpabile, spirituale, etero ed apparentemente evanescente finisca col disperdersi nel nulla. Probabilmente è così, se diamo retta ai soli nostri sensi. Ma è anche possibile che quella coscienza che noi siamo, che si tramanda di generazione in generazione, sia quella parte più complessa della materia che riesce a preservare oltre alla tangibilità dell’essere, anche la sua introspezione.

E non solo quella legata a costrutti e ragionamenti che si affidano quasi esclusivamente alla Ragione. Ma anche quella che si dibatte in una continua lotta tra odio e amore, lontananza e vicinanza, antipatia e simpatia, scostamento o empatia.

La favola di Apuleio è, dopo duemila anni, ancora sotto i nostri occhi e ci regala un assaggio di quell’eternità dell’amore di cui abbiamo bisogno e che, troppe volte, sottovalutiamo chiamandolo solo sesso, molte altre lo sopravvalutiamo definendolo unico, insuperabile, quasi indescrivibile. L’amore non è mai unico. Se ne può provare una vasta gamma che, non per il fatto di essere tale, deve per forza diventare una classifica dal più al meno intenso. Ogni desiderio è speciale e singolare.

Ogni amore è, per questo, unico nel suo genere. Quello che importa è che, alla fine, non restino rimpianti e che, nel suo nome, si possa amare tanto la ragione quanto il proprio cuore.

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE
APULEIO
FELTRINELLI
€ 8,50

MARCO SFERINI

13 dicembre 2023

foto: particolare della copertina del libro, “Amore e Psiche”, Antonio Canova (1788-1793)

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