A Buenos Aires, l’atmosfera è mutata drammaticamente dopo la conferma della presenza di Javier Milei, candidato eccentrico dell’estrema destra, al ballottaggio di questa domenica. Ai semafori, oltre ai lavavetri e mendicanti sempre più numerosi nel bel mezzo della catastrofe economica in cui è piombato il paese, sono comparsi vicini di condominio che espongono cartelli a favore della salute e dell’istruzione pubblica.
Nelle metropolitane può capitare che un passeggero si alzi per raccontare a viva voce la propria storia: figli di desaparecidos, reduci della Guerra delle Malvinas del 1982, docenti e ricercatori universitari, vittime della dittatura militare (1976-1983). Senza simboli di partito, né candidati da difendere, questa micro-militanza cittadina, estesissima anche sui social, si è articolata intorno a un unico slogan: «Milei no». Unendo persone che in altre circostanze non avrebbero preso parte a proteste pubbliche.
Il progetto che Javier Milei e il suo movimento La Libertad Avanza rappresentano, pone in scacco buona parte degli assiomi su cui è stata costruita la giovane democrazia argentina degli ultimi 40 anni. Il “libertario” parla di privatizzare salute ed educazione – l’Argentina è uno dei pochi paesi al mondo che mantiene entrambi i servizi totalmente gratuiti per chiunque – e consegnare la ricerca scientifica ai privati, si considera discepolo di Margaret Thatcher – la prima ministra inglese che tra l’altro dichiarò guerra all’Argentina per riprendersi le Malvinas – e nega il cambiamento climatico, il tetto di cristallo e le disuguaglianze di genere. Inoltre mette in dubbio le atrocità commesse dai gerarchi militari, riproponendo la tesi degli «eccessi» nella «guerra contro il comunismo» degli anni ’70.
Quel che al suo esordio politico, due anni fa, poteva sembrare quasi folkloristico, oggi è una realtà che preoccupa molti. Sebbene tutti i sondaggi parlino di un pareggio tra i due candidati, Milei è leggermente favorito, e a decidere sarà l’esercito di indecisi stimato intorno al 10% degli elettori.
Ed è proprio in cerca di quei voti che negli ultimi giorni si è mobilitata spontaneamente una parte della società. Lo stesso Milei ha cercato di moderare il proprio discorso. Eliminata la motosega ai comizi, simbolo dei tagli alle spese «della casta», ha ridotto le urla e le eccentricità. Messi in sordina anche i suoi slogan più popolari: il rogo della Banca Centrale per fermare l’inflazione, la liberalizzazione del commercio di armi e organi, o l’adozione del dollaro come moneta nazionale.
A moderare la retorica della destra estrema ci hanno pensato anche i nuovi alleati di Milei, l’ex presidente Mauricio Macri (2015-2019) e la sua candidata alle elezioni generali di ottobre, Patricia Bullrich, che da odiati membri della «casta» si sono trasformati in «alleati del cambiamento». Ed è forse questo il punto forza del discorso messo in moto dalla destra argentina: salvo la breve parentesi di Macri, il peronismo governa il paese da più di vent’anni, e negli ultimi dieci le condizioni economiche e sociali non hanno fatto altro che peggiorare.
L’Argentina è uno dei paesi col tasso di inflazione più alto del mondo, 143% su base annua; la povertà attanaglia il 40% della popolazione, e cresce malgrado la disoccupazione sia sempre più bassa. Questa l’unica realtà che molti giovanissimi conoscono, la base principale del voto di Milei, in cui un lavoro in bianco, a tempo indeterminato e full-time non è più una porta di uscita dalla povertà.
Sergio Massa sa di dovere la sua presenza al ballottaggio alla paura suscitata dal suo avversario. Ministro dell’Economia da più di un anno di un paese più vicino alla bancarotta che alla ripresa, ha condotto le finanze argentine a colpi di programmi di aiuto a poveri e classe media, senza poter vantare praticamente nessun successo macroeconomico.
Nato politicamente nell’estrema destra liberale dell’Argentina degli anni ’80, e convertitosi al peronismo durante l’era ultra-liberista dell’ex presidente Carlos Menem, Massa è probabilmente il politico argentino più vicino all’ambasciata Usa, e sicuramente il candidato più gradito al Fondo monetario internazionale. La micro-militanza quotidiana attinge spesso a perifrasi ed eufemismi per evitare di cadere nel sostegno diretto a colui che si erge ora a nuovo leader del peronismo, invitando a «battere Milei». Poi si vedrà.
Ma il futuro della politica argentina prevede ormai un chiaro spostamento verso destra. L’irruzione di Milei, al di là del risultato di oggi, sta permettendo lo sdoganamento di discorsi reazionari rimasti sopiti negli ultimi anni in Argentina, contro l’aborto, contro l’educazione sessuale nelle scuole, contro i processi ai criminali della dittatura militare, e che vedono nel riconoscimento dei diritti delle minoranze la concessione di presunti privilegi. Una realtà che dopo le generali di ottobre ha già fatto irruzione in parlamento, e con cui la società argentina dovrà fare i conti nei prossimi anni.
FEDERICO LARSEN
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