Salpa il terzo governo presieduto da Pedro Sánchez. Con la maggioranza assoluta di 179 sì e 171 no, il leader socialista è riuscito ieri nella storica impresa di mettere d’accordo tutte le forze politiche spagnole per fermare il pericolo del fascismo.

Non è stata un’impresa da poco: il Psoe ha dovuto rimangiarsi molti dei suoi proclami e delle sue promesse apodittiche degli scorsi anni in cui non aveva avuto il coraggio di difendere una soluzione politica per la Catalogna. Ma ha anche ottenuto il più alto numero di voti favorevoli alla fiducia da quando è presidente. I partiti che lo hanno votato rappresentano 12 milioni e seicentomila voti, più di un milione e 300mila in più di quelli di Vox e Partito popolare.

Durante i due giorni di dibattito di investitura il presidente del governo ha difeso l’amnistia per tutte le persone coinvolte nel procés indipendentista, non solo come istituto costituzionale, ma anche come soluzione necessaria per la convivenza.

Certo, ha anche elencato alcune blande misure sociali (per esempio, aiuti per i trasporti e gli alimenti) e un paio di novità interessanti (già anticipate nelle settimane scorse): una (piccola) diminuzione della giornata lavorativa a 37,5 ore settimanali e l’aumento da 16 a 20 settimane per i permessi di maternità e paternità; ma il cuore del dibattito è stata l’amnistia, totalmente inaccettabile per la destra che si è detta disposta a tutto pur di impedirla.

Proprio come nella scorsa legislatura era stato Podemos a costringere il partito socialista a mantenere la barra sociale a sinistra, in questa che inizia ora la necessità di giungere ad accordi con i partiti indipendentisti per ottenere la fiducia ha costretto i socialisti ad abbracciare la virtù del pragmatismo politico: la strategia del Pp di combattere l’indipendentismo con la violenza e con il codice penale ha portato a una situazione di instabilità inaccettabile, e solo una politica del perdono, con gli indulti e ora con l’amnistia, ricondurrà la questione sui binari che non avrebbe mai dovuto abbandonare, quelli della politica.

Senza la necessità di ottenere i voti di Junts e di Esquerra probabilmente il Psoe non sarebbe arrivato a questo passaggio, ma ora la sfida di riappacificare la situazione catalana è iniziata. Non sarà facile perché la destra è più belligerante che mai.

Il tono del dibattito è stato infatti particolarmente aspro: il clima che si respira è molto pesante, e il leader dei popolari Alberto Núñez Feijóo ha promesso guerra, mentre il gruppo di Vox ha abbandonato l’aula senza neppure ascoltare le repliche di Sánchez al discorso incendiario del loro leader, Santiago Abascal, e senza neppure salutare il nuovo presidente spagnolo dopo il voto. Neanche il Pp ormai rispetta le forme: è diventato virale il «figlio di puttana» pronunciato dalla presidente popolare della comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso a Sánchez durante il dibattito di investitura.

Il messaggio è arrivato forte e chiaro alle piazze: il governo è illegittimo, Sánchez è Hitler – lo ha detto Abascal – e ogni arma è legittima per combatterlo. «Risponderemo colpo su colpo», ha detto Ayuso un paio di giorni fa. Quattro deputati socialisti ieri sono stati aggrediti in un bar fuori dal Congresso al grido di «traditori, vi dovrebbero uccidere», con successivo lancio di uova.

La legislatura non sarà semplice anche perché per far passare qualsiasi legge Sánchez dovrà mettere d’accordo 8 partiti, tutti senza eccezione, mentre la destra ne deve mettere d’accordo solo due per avere 171 voti. Ma è anche vero che Sánchez è riuscito a sopravvivere molto più a lungo di quanto i suoi detrattori si sarebbero mai immaginati e potrebbe riservare sorprese.

Il problema è che alla sua sinistra i malumori non sono pochi, e ora che si gioca il totoministri si capirà meglio come verranno ripartiti i 4 o 5 posti che spettano all’area di Sumar. Quello che sembra chiaro è che, dopo aver praticamente cancellato la rappresentazione parlamentare di Podemos, spariranno anche le sue ministre, quella dell’Uguaglianza, Irene Montero (che il suo partito continua a volere per quel posto) e Ione Belarra, leader del partito viola e già ministra per i Diritti sociali.

Se ne andrà anche il leader di Izquierda Unida Alberto Garzón, ed è improbabile che i due partiti, spina dorsale la sinistra spagnola, avranno qualche rappresentante in consiglio dei ministri.

LUCA TANCREDI BARONE

da il manifesto.it

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