Da oltre tre settimane risuonava l’appello disperato delle organizzazioni umanitarie per salvare il sistema sanitario dal collasso totale. Ora ce lo troviamo di fronte nell’immagine dell’ospedale Al Shifa, il più grande della Striscia di Gaza, devastato dalla violenza inaudita della potenza occupante.

Finora la crisi dei servizi di emergenza aveva portato a quelle che in Occidente sarebbero decisioni impensabili: scegliere chi salvare tra pazienti che, in circostanze normali, sarebbero tutti in grado di sopravvivere. Ora non più, ognuno ha la stessa sorte: ormai nella maggior parte dei 30 ospedali di Gaza nessuno può essere curato. Più della metà sono stati chiusi completamente, molti dei centri sanitari sono incapaci di fornire servizi medici vitali. Gli operatori sanitari temono che, anche se le vittime aumentano ogni giorno, il sistema sanitario non sarà più in grado di accogliere nuovi pazienti.

I feriti non sono gli unici colpiti dal crollo del servizio sanitario. Le persone vulnerabili includono pazienti con malattie gravi come il cancro e soprattutto donne incinte e neonati. Per questi ultimi l’assistenza necessita di attrezzature specializzate alimentate dall’elettricità. Lo stesso Al Shifa ne è rimasto privo e da un giorno all’altro, nelle parole del direttore della pediatria, «39 bambini sono diventati 36».

Il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa) indica in circa 50 mila le donne incinte nella Striscia di Gaza escluse dai servizi sanitari di base. Un sistema sanitario collassato costringerà queste donne che continuano a partorire ogni singolo giorno ad affrontare sfide impensabili.

Con gli ospedali sotto tiro la popolazione cerca rifugio nelle scuole gestite dall’Onu, che danno rifugio a 725 mila sfollati. Luoghi tutt’altro che ideali per ospitare malati. La mancanza di elettricità, acqua pulita, cibo, biancheria e servizi igienici inadeguati, li stanno trasformando in terreni di coltura di germi di malattie epidemiche, principalmente infezioni respiratorie, diarrea ed eruzioni cutanee. È stato segnalato un picco di malattie infettive, con 3.150 casi segnalati in un giorno, la maggior parte tra i bambini.

Ferite aperte e fratture causate da armi da fuoco sono altamente suscettibili di infezioni. Con una bassa scorta di medicinali e un accesso estremamente limitato all’acqua pulita, il tasso di resistenza agli antibiotici a Gaza è allarmante. Spesso sono necessarie amputazioni per evitare che l’infezione si diffonda e salvare la vita delle persone.

Forse i malati più derelitti sono i pazienti oncologici. la cui vita è seriamente minacciata a causa della mancanza di cure e di follow-up adeguati. Nel complesso, i 2.000 malati di cancro nella Striscia di Gaza vivono in condizioni di salute catastrofiche. «I trattamenti specializzati per i malati di cancro, come la chemioterapia, non sono disponibili», ha detto il Dr. Subhi Sukeyk. «Se un paziente non riceve il trattamento, la diffusione del cancro nel suo corpo è inevitabile e morirà. La notte in cui i pazienti sono stati trasferiti, quattro di loro sono morti. La notte precedente ne sono morti sei». Ecco il futuro che Gaza riserva a questi malati.

Oltre alla crisi dovuta ai bombardamenti, è importante tenere conto delle condizioni legate alla precarietà pre-conflitto che possono produrre vittime secondarie da malattie trasmesse dall’acqua (come il colera e la dissenteria), malnutrizione e, fondamentalmente, l’incapacità della popolazione di far fronte efficacemente al futuro nel breve e medio termine.

Ed è a questo futuro che dobbiamo cominciare a pensare. Le conseguenze sanitarie dell’attuale crisi vanno oltre le ferite causate dagli attacchi. È necessaria una visione più ampia dei formidabili rischi per la salute che la popolazione della Striscia di Gaza dovrà affrontare. Anche gli ospedali che in qualche modo riuscirebbero a fornire un minimo di servizi essenziali sono sopraffatti dalla densità del carico di pazienti, dai casi complessi, dalla mancanza di rifornimenti costanti e dal personale che muore. Quindi abbiamo un eccesso di mortalità che si verifica in modo completamente separato dalla violenza militare e che si protrarrà nell’immediato futuro, almeno finché un adeguato rafforzamento del sistema non potrà essere garantito.

I civili di Gaza e della Cisgiordania affrontano una «catastrofe per la salute pubblica», ha affermato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

La popolazione della Striscia stava già affrontando una crisi cronica anche prima dell’inizio dell’attuale guerra. Come medico di sanità pubblica sono consapevole di come la salute dei palestinesi sia profondamente influenzata dall’occupazione militare illegale delle loro terre. L’acqua, la sicurezza alimentare, l’accesso agli spazi verdi, il reddito, l’istruzione, la violenza, l’alloggio, la qualità dell’assistenza sanitaria (i cosiddetti determinanti sociali e politici della salute): tutto questo e altro ancora è influenzato dall’occupazione israeliana e contribuisce a significative disparità nei livelli di salute per il popolo palestinese. A Gaza negli ultimi 16 anni di blocco israeliano, ogni singolo determinante socioeconomico e strutturale della salute è stato intenzionalmente minato da Israele.

Come medico di sanità pubblica, so bene che la morte e la distruzione a cui stiamo assistendo oggi a Gaza causeranno ulteriori problemi di salute domani. La mancanza di servizi igienico-sanitari porterà alla rapida diffusione di molte malattie infettive. Molti svilupperanno condizioni respiratorie a causa dell’inquinamento da esplosivi e dei fumi di fosforo bianco. Alcuni di coloro che sopravvivono alla guerra soffriranno di gravi traumi psicologici e di innumerevoli altri problemi medici per molti anni a venire.

Nella Striscia di Gaza in questo momento si sta verificando una catastrofe sanitaria di proporzioni senza precedenti che va al di là dell’emergenza quotidiana e del tragico conteggio di morti e feriti. I professionisti della sanità pubblica conoscono i rischi per la salute della popolazione di Gaza che seguiranno questo orrendo momento di violenza. Ed è su questo che devono lavorare assieme ai decisori politici.

ANGELO STEFANINI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv