Finita la proliferazione delle bozze, figlia della corsa di tutti i partiti di maggioranza a piazzare le proprie bandierine in vista delle elezioni europee, quella che arriva in parlamento è una legge di bilancio che anche per la durata dei principali provvedimenti guarda alla campagna elettorale per le europee.
Pur con le modifiche apportate la manovra resta condizionata fortemente dall’adesione ai vincoli europei, dal ritorno all’austerità e dalla tutela degli interessi delle classi privilegiate a scapito dei lavoratori, dei ceti popolari, del pubblico penalizzato ancora da tagli e privatizzazioni.
Con essa vengono salvaguardati i ricchi e si lascia che i costi della guerra, dell’inflazione prodotta da speculazione e superprofitti, degli aumenti dei tassi d’interesse continuino a scaricarsi sui redditi bassi dovuti a pensioni sempre più magre e a salari reali, già tra i più bassi d’Europa.
Considerando che la misura arriva in parlamento blindata e che non potrà subire modifiche di sostanza è possibili vederne gli aspetti principali.
Lavoro. le due misure bandiera, il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, che da sole assorbono circa 15 miliardi, propagandate come importanti sostegni al lavoro, in realtà non cambiano sostanzialmente la situazione esistente.
Il taglio del cuneo fino ai 35 mila euro, oltre che valere per il solo 2024, il tempo delle europee appunto, non fa che confermare i salari attuali mentre l’accorpamento delle aliquote porta 20 euro (lordi) al mese al lavoratore o lavoratrice che supera il reddito di 28 mila euro e solo 10 (lordi) a chi ha un salario di 14 mila euro.
Cifre irrisorie rispetto a salari che solo negli ultimi due anni hanno perso il 20% del potere d’acquisto e per i milioni di lavoratori poveri cui viene anche negata l’introduzione di un salario minimo legale secondo Costituzione. Non va meglio per il sostegno bollette alle famiglie il cui fondo viene dimezzato, da 400 a 200 milioni, la soglia Isee per beneficiarne scenderà da 15 mila a 9530 euro con una consistente riduzione della platea dei beneficiari.
Pensioni. Non solo non c’è il promesso smantellamento della Fornero, ma continua l’inasprimento delle condizioni necessarie per andare in pensione, con penalizzazioni economiche per chi vi accede e premi per chi continua a lavorare.
Quota 103, 62 anni di età e 41 di contributi resta, ma col ricalcolo contributivo di tutti i contributi versati che determina una riduzione dell’assegno fino al 15%; col trucco dell’allungamento delle finestre d’uscita da tre a sei mesi per il privato e da 6 a 9 mesi, quasi un anno, per il pubblico; col tetto a 4 volte il minimo, circa 1700 euro netti, per l’importo dell’assegno.
Viene innalzato da 2,5 a 3 volte il minimo l’ammontare dei contributi versati per accedere alla pensione a 63 anni con 20 di contributi. Il requisito per l’accesso all’ape sociale viene innalzato di 5 mesi; viene ugualmente innalzata, questa volta di un anno, da 60 a 61 anni, ma resta la finestra d’uscita di 12 mesi, la soglia d’accesso all’opzione donna, anche se c’è lo sconto di 12 mesi per lavoratrice con un figlio, di 24 con due.
L’obiettivo di tutti gli interventi, già centrato nel 2023, è sempre quello alla base della legge Fornero di cui era stata promessa l’abolizione: scoraggiare i pensionamenti e allungare sempre più la vita lavorativa.
Un colpo durissimo subisce la pensione di alcune categorie di dipendenti pubblici, tra cui medici e dipendenti di enti locali con riduzioni dell’assegno che possono arrivare fino al 33% a causa della revisione al ribasso dei coefficienti utilizzati per il calcolo delle quote retributive dei contributi versati.
Una scelta scellerata che rischia di provocare dimissioni di massa di medici proprio in un momento di gravissima carenza di personale sanitario. L’uso delle pensioni come bancomat per far cassa prosegue anche quest’anno con la non completa rivalutazione degli assegni all’inflazione.
Anche le promesse elettorali di forza Italia vengono sbugiardate visto che nella bozza della legge non si trova nessun cenno alla supervalutazione delle minime per chi ha più di 75 anni né ci sono miglioramenti per chi ne ha più di 65.
Fisco. Continua lo scandalo di un fisco sempre meno progressivo con l’Irpef che grava quasi totalmente sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati; le flat tax a vantaggio di rendite finanziarie, immobiliari e lavoratori autonomi che sottraggono decine di miliardi di entrate all’erario; l’evasione fiscale che continua a essere incentivata dalla proliferazione di condoni; i superprofitti che hanno generato inflazione e aumenti dei mutui continuano a non essere tassati come la tassa sulle banche che finita l’attenzione suscitata dal clamore sui media è stata eliminata.
Welfare e aziende pubbliche. Proseguono con i tagli alla Pubblica Amministrazione centrale e territoriale le politiche liberiste perseguite da decenni; la riduzione di spesa è di ben 4 miliardi, la conseguenza certa sarà una spinta a un ulteriore innalzamento delle tasse locali.
Per quanto riguarda la sanità la propaganda non può nascondere che c’è una riduzione della spesa in rapporto al Pil, il 6,3% rispetto al 6,6 del 2023 e la previsione di ridurla ancora al 6,1 nel 26, né che i soldi stanziati non coprono nemmeno gli aumenti generati dall’inflazione.
Risorse rese ancor più esigue dal fatto che di questi ben 600 milioni verranno indirizzati ai privati, chiamati a ridurre le liste d’attesa, invece che all’assunzione del personale mancante mentre non vengono rimossi i tetti di spesa regionali sul personale che di fatto bloccano le assunzioni.
La gravità della situazione è ben rappresentata dal fatto che solo per raggiungere la spesa media europea al Servizio Sanitario Nazionale occorrerebbero 27 miliardi di euro in più all’anno.
Particolarmente inique e significative della cultura delle destre sono la misura che riduce da 581 a 231 mila euro annui il fondo per la disabilità destinato tra l’altro a finanziare iniziative per gli alunni con disabilità; e quella che prevede il pagamento di 2 mila euro per l’iscrizione al servizio sanitario dei cittadini extra-Ue.
La mannaia non risparmia la proprietà pubblica nelle società per le quali la manovra prevede cessioni per 20 miliardi nel triennio 2024-26, la cui realizzazione sarà possibile solo con l’ennesima svendita di patrimonio pubblico.
Una manovra da bocciare dunque perché del tutto inadeguata per i bisogni del paese e tesa soprattutto a rassicurare Bruxelles e i mercati; per questo arriva blindata in Parlamento sancendo ancora una volta, in attesa della sua totale subordinazione al premier prevista dalla contro riforma delle destre, l’esproprio delle sue prerogative costituzionali;
Da bocciare ancor di più per quello che non c’è. Si continua a non fare niente per l’occupazione, il lavoro e i salari da fame percepiti da milioni di lavoratori e lavoratrici; niente contro la povertà che continua ad aumentare, quella assoluta secondo l’Istat colpisce ormai 5,6 milioni di persone, il 9,7% della popolazione, il 13,3% nel sud, a causa del lavoro povero, della mancanza di tutele dall’inflazione, dell’assenza di un reddito di cittadinanza; niente per la ricostruzione del pubblico e del welfare depauperati da decenni di politiche liberiste e indispensabili per arrestare la crescita delle disuguaglianze sociali e territoriali che al contrario aumenteranno con l’autonomia differenziata; niente, nemmeno uno straccio di politiche industriali, per difendere le produzioni strategiche, riconvertire le produzioni, arrestare il degrado economico e produttivo salvaguardando l’occupazione e l’ambiente.
Questa legge di bilancio inadeguata nelle cifre e antipopolare, motivata con la mancanza di risorse, è in realtà il risultato di una precisa scelta di classe: colpire il lavoro e i ceti popolari garantendo i ceti abbienti.
Per questo non si prendono dove ci sono i soldi con cui si potrebbero dare le risposte necessarie alle gravi emergenze del paese. Si potrebbe con una lotta vera all’evasione fiscale che ha raggiunto dimensioni mostruose, una tassa sulle grandi ricchezze, l’eliminazione delle tante flat tax che sottraggono al fisco cifre enormi; con la riduzione delle spese militari e anche con un diverso utilizzo dei 12 miliardi stanziati in tre anni per la bandierina di Salvini, il ponte sullo stretto, ennesima grande opera inutile e dannosa.
Occorre un deciso cambiamento di rotta che potrebbe realizzarsi solo con una nuova grande stagione di lotte ; sosteniamo con forza le mobilitazioni e gli scioperi indetti da Cgil e Uil e quelle dei sindacati di base auspicando che segnino l’inizio di un percorso che sappia unificare intorno al mondo del lavoro tutti i soggetti colpiti nel reddito e nei diritti dalle politiche neoliberiste e da impieghi che negano la dignità delle persone.
ANTONELLO PATTA
Responsabile nazionale lavoro di Rifondazione Comunista
Foto di Karolina Grabowska