A una famiglia non basta uno stipendio aggiuntivo per mandare i figli all’università. Servono in media 1460 euro al mese, 17.498 euro (che arrivano a 19 mila per gli atenei del nord) all’anno, per le spese minime degli studenti fuori sede.

Sono i dati preoccupanti contenuti nel rapporto “Università al verde” presentato ieri alla Camera da Unione degli Studenti (Udu) e Federconsumatori, alla presenza di numerosi parlamentari del centro sinistra ed esponenti della Cgil. Il rapporto conferma una tendenza già in atto da anni che la crisi economica e le politiche del governo di destra sembrano aver cristallizzato: i costi di una laurea nelle università pubbliche non sono più sostenibili per le famiglie.

Questo, come evidenziano Udu e Federconsumatori, comporta l’aumento del tasso di abbandono degli studi che ha raggiunto il 14,5% al primo anno, il 20,4% dopo 3 anni dall’immatricolazione e il 24,2% dopo 6 anni. In Italia solo il 28,3% della popolazione tra i 25 e i 34 anni riesce a conseguire un titolo universitario, molto al di sotto della media Ocse che si attesta al 47,1%. Del resto solo i libri, escluso il corredo necessario (pc, collegamento ad internet, etc), possono costare fino a 1930 euro l’anno per facoltà come Medicina, 829 euro a Biologia, 431 a Lettere, 411 a Giurisprudenza.

“Abbiamo aggiornato – ha spiegato Alessia Polisini dell’esecutivo nazionale Udu – l’ultimo il nostro report sui costi dell’università in Italia ed è allarmante vedere come i costi medi abbiano avuto un incremento di circa 5mila euro. La voce che pesa di più per gli studenti fuori sede è l’affitto, con una media di 435 euro al mese, seguono i pasti con 412 euro”. E poi ci sono i trasporti, con differenze “stratosferiche e ingiustificabili” sul territorio, “ci sono Regioni virtuose – continua Polisini – come l’Emilia-Romagna, l’Umbria, il Lazio, la Campania e la Provincia di Trento, dove l’abbonamento annuale è molto conveniente e vede integrato anche il trasporto pubblico urbano, le peggiori sono invece Piemonte, Lombardia e Sicilia con una differenza annuale di oltre mille euro”.

Senza contare che ai fuorisede servono poi circa 600 euro per tornare a casa nelle vacanze. “Questi costi proibitivi alimentano le disparità, rendendo gli studi universitari un’opportunità sempre più riservata alle classi medio-alte”, ha denunciato Roberto Giordano, vicepresidente di Federconsumatori. In questo quadro drammatico il diritto allo studio è assente: sia dalle intenzioni dei ministri competenti che dalla manovra finanziaria.

Le borse di studio stanziate finora, nonostante l’adeguamento Istat, non sono sufficienti a garantire l’accesso allo studio anche perché con la recessione degli ultimi anni è aumentata la platea degli aventi diritto. Gli idonei non beneficiari (la bizzarra figura del tutto italiana dello studente meritevole a cui non viene erogata la borsa perché non ci sono fondi) nel 2022/23 ancora ammontano a 4.974. Per non parlare della costruzione di nuove case dello studente che il Pnrr ha affidato ai privati con il paradosso che le stanze che dovrebbero essere destinate agli studenti a basso reddito possono arrivare a costare anche mille euro al mese.

“È ormai chiaro – ha commentato il deputato del Pd Nicola Zingaretti, – che in Italia sempre più famiglie non potranno sostenere queste spese e, se non si aumentano in maniera consistente le risorse dedicate al diritto allo studio, sempre più persone verranno espulse dal ciclo formativo e in particolare dai gradi più alti dell’istruzione”.

“Porteremo questa denuncia nelle sedi Parlamentari e combatteremo contro una destra che sta scegliendo di ignorare questa drammatica emergenza”, ha concluso. Anche per Cecilia D’Elia, capogruppo dem nella commissione scuola, cultura, istruzione del Senato, il report è “una denuncia puntuale e inequivocabile che fa emergere con chiarezza l’inadeguatezza delle misure che il governo ha preso nella manovra economica”.

“E’ un sistema d’istruzione strutturato per censo”, ha commentato anche Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi Sinistra. “Se sei ricco potrai studiare dove vuoi, laurearti in ciò che vuoi, avere in futuro un lavoro più pagato e più gratificante. Se sei povero tutto ti porta ad accontentarti delle briciole e vedere come un miraggio lontano le opportunità altrui”, ha proseguito. Per la deputata Avs “la legge di bilancio in discussione in questi giorni non modifica di una virgola questa visione classista dell’Università, per questo saremo al fianco delle lotte degli studenti, in Parlamento e per le strade”.

La mobilitazione nazionale sul diritto allo studio è prevista per il 17 novembre con una piattaforma che vede, tra gli altri anche le adesioni di Link, Rete Della Conoscenza, Flc – Cgil, Libera, Non Una Di Meno. Come ha ricordato Camilla Piredda, coordinatrice nazionale Udu, “da maggio dormiamo in tenda nelle università di tutta Italia e abbiamo ricevuto come risposta una legge di bilancio inutile, il 17 saremo nelle piazze di tutta Italia per chiedere un modello di istruzione diverso, per rimettere al centro i giovani di questo Paese”.

“Vogliamo ribadire che i diritti non si meritano”, ha detto anche Bianca Chiesa, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Studenti, durante un presidio sotto il Ministero dell’Istruzione (e del merito).

LUCIANA CIMINO

da il manifesto.it

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