«Io non so cos’è un uomo, so solo il suo prezzo».
Algidamente icastico, questo lamento brechtiano, messo ad incipit del capitolo quarto dell'”Antologia” delle opere (e della vita stessa) di Karl Marx, edita da Feltrinelli (2007) col sottotitolo “Capitalismo, istruzioni per l’uso” e a cura di due studiosi di filosofia e di sociologia come Enrico Donaggio e Peter Kammerer, fa un po’ da estrema sintesi di quella intricatissima rete di relazioni che ieri, come oggi, abbiamo davanti a noi e che, lo si voglia o no, ricalca molto più che grossomodo le dinamiche degli ultimi due secoli di storia umana.
Il primo pregio di questa raccolta ragionata, cronologica e commentata con grande pazienza e dovizia di analisi dei testi, è l’essere al contempo una antologia e una biografia del Moro. La stranezza, se vogliamo chiamarla così, è assolutamente positivamente sorprendente.
Di solito, quando si ha per le mani un insieme del meglio (almeno così gli autori ritengono sempre di aver operato nelle scelte) di ciò che un autore ha vergato nella propria esistenza, ci si aspetta di leggere dei brani e niente di più. Il ruolo delle antologie è più che altro scolastico, molto poco rivolto ad un serio approfondimento di singole tematiche.
Si compilano le antologie con il dettato, quasi moral-letterario, che queste debbano rappresentare un compendio utile ad una conoscenza sommaria dei temi trattati dall’autore in oggetto, con una nota di superficialismo (che non per questo deve corrispondere ad un atteggiamento di superficialità e, quindi, di palese incorenza col metodo storico di indagine del testo nel contesto sociale, politico, economico, antropologico… ecc…) che fa del lavoro di ricerca e di condivisione dei testi un pot-pourri anche suggestivo ma privo di quel mordente di curiosità che invece dovrebbe suscitare nel lettore.
Non è il caso di questa antologia.
Qui, chiunque vi si accosti e vi si immerga, troverà (o ritroverà) il gusto piacevole della scoperta o della riscoperta di un gigante del pensiero filosofico, economico e politico di un Ottocento in cui le rivoluzioni sono state la leva di scoperchiamento di un disagio del proletariato, e dei popoli in senso lato, che covava sotto le ceneri di una Europa reazionaria, eredità di un ristabilimento dei troni e degli altari come ultimo retaggio di un ancienne régime scaravantato abbasso dalla furia delle coscienze individuali e collettive.
Se una attualità dell’enorme massa di studi operata da Marx esiste, questa sta tutta quanta nella sua multifunzionalità, nella negazione di ogni riduttivismo dei problemi, bensì nella disarticolazione meticolosa, quasi esasperante di ogni fattore naturale, sociale, politico e, ovviamente, prima di tutto economico.
Donaggio e Kammerer ci guidano, davvero passo dopo passo, nella comprensione di un contesto in cui prendono forma le analisi scientifiche di un materialismo dialettico che si propone di togliere la velatura dell’ipocrisia dagli occhi di un criticismo umano mai veramente emerso nelle proporzioni otto-novecentesche dai tempi di Kant.
Quando si fa tanto parlare delle “ideologie” e della loro morte in una strettissima, moderna attualità del solo presente, quindi si fa riferimento ad una sorta di pragmatismo imperante che deve sovraordinarsi a qualunque pensamento del futuro attraverso delle categorie predefinite in chiave anche valoriale, si tenta di negare la prospettiva umana del cambiamento che, proprio qui ed oggi nella veloce evoluzione del domani, si può e si deve costruire mediante un superamento dei preconcetti.
Primo fra tutti proprio quello dell’imperturbabilità delle convenzioni morali o dell’immarcescibilità delle fondamenta strutturali dell’esistente.
Invece, in Marx, la questione ideologica è messa a confronto sempre e comunque col potenziale che i popoli hanno di farne uno strumento di emancipazione condivisa, collettiva, coscientemente rivolta ad una dinamica critica costante.
L’idea del futuro non è utopismo, rappresentazione statica di un immaginario allucinogeno e dai contorni del dogmatismo totalizzante, tipico dei regimi del socialismo irreale, venuti alla compromissione con i peggiori aspetti del capitalismo che li circondava e tentava di minarne quel potenziale di alternativa che avevano rappresentato col nascere.
L’idea per Marx è studio, oppure non è. E se è studio è anche critica, è l’alterità rispetto al pensiero imposto dalla classe dominante. Non c’è idealismo nel marxismo, perché non c’è nessun motivo per raffigurarsi un futuro saturniano senza riuscire ad incidere nei mutamenti dei rapporti di forza dello “stato di cose presente“. Ecco cos’è il comunismo in estremisssima sintesi: è ciò che di più pragmatico può esservi.
E’ fare proprie le contraddizioni dell’oggi per superarle con un lavoro di costruzione dell’unità di classe, per la lotta di classe, nella formulazione di nuovi presupposti che siano le basi anche ideali, ma prima di ogni altra cosa reali, tangibili di un mutamento continuo della altrettanto centrifuga (e centripeta) trasformazione della globalità esistenziale su questo pianeta.
Nell’antologia curata da Donaggio e Kammerer si presta molta attenzione a distinguere tra idee e fatti, tra idee e dati, tra una sorta di metafisica moderna e una fisica altrettanto tale. Da qui vengono fuori le armi di una critica che è “il cervello della passione” e non viceversa.
Perché lottare per un miglioramento delle condizioni di vita di tutti gli esseri viventi (e a questa estensione antispecista né Marx e nemmeno Engels erano arrivati, considerando come fattore di pieno sviluppo armonico tra le specie la sola liberazione umana da una parte dell’umanità stessa che opprimeva – e opprime – la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne) significa anzitutto superare il vecchio concetto di critica.
Un criticismo più che altro filosofico, per molti versi astratto e separato dalle problematiche contingenti dei popoli ridotti alla fame dall’avanzata impetuosa del sistema capitalistico, dello sfruttamento, della formazione del feticcio merceologico, dell’economia moderna come canalizzazione di interessi costituenti una nuova, vera e propria ideologia della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Marx dubita di quei tribuni che denunciano la povertà, la miseria endemica e la disperazione giornaliera del proletariato incitando lavoratrici e lavoratori a prendere in considerazione la fratellanza universale.
Il concetto è bello, appariscente, appagante sul piano evangelico della condivisione di tutto tra tutti, per una vita senza più problemi economici, senza più pensieri sullo sbarcare il lunario; ma è l’errore della “Lega dei giusti“: non prendere nella dovuta considerazione la divisione in classi della società e, quindi, la dialettica che la stessa ha al suo interno e che si esprime, coscientemente o meno, nella lotta tra queste stesse classi.
E’ Engels, a proposito del rapporto tra pensiero e azione nel movimento di liberazione proletaria, a mettere alcuni puntini sulle i, quando scrive della condizione della classe operaia in Inghilterra:
«Non c’è quindi neppure da meravigliarsi se gli operai, trattati come bestie, o divengono veramente tali o riescono a conservare la coscienza e il sentimento della propria umanità soltanto mediante l’odio più ardente, mediante una perpetua rivolta interna contro la borghesia dominante; divengono bestie non appena si adattano pazientemente al loro giogo cercando soltanto di rendersi piacevole la vita sotto di questo, senza spezzare il giogo stesso».
C’è la consapevolezza che le bestie, ossia gli animali non umani, soffrono e sono trattati appunto come tali e che, pertanto, questa sorte non deve più toccare alle lavoratrici e ai lavoratori.
Ma non troveremo mai, nel lungo filone del materialismo scientifico, storico e dialettico, una considerazione egualiaria tra le specie. E’ lo specchio dei tempi, di allora: il vegetarismo appare come un vezzo intellettualistico, di qualche scrittore famoso come Tolstoj, di qualche circolo nascente che si batte contro la crudeltà nei confronti dei cani randagi, dei circhi che girovagano.
Marx riconosce che le condizioni delle circostanze sono determinate dalla strutturazione economica della società e, quindi, la “prassi rivoluzionaria” è in sostanza affidata alla “coincidenza del variare delle circostanze dell’attività umana” su un piano ovviamente di razionalità (materialistica).
Quindi lo specismo è una forma ancora maggiore di critica della critica stessa affidata all’evolvere delle condizioni date, dei rapporti tanto tra le classi quanto tra i popoli. Gli scambi commerciali, il diffondersi del capitalismo su scala globale, esasperando la tenuta ecosistemica del pianeta renderanno il tema della liberazione umana ed animale al tempo stesso un punto dirimente dell’anticapitalismo odierno.
Qui prende il sopravvento una domanda importante: come sia nata la proprietà privata e, nello specifico, quella dei mezzi di produzione. In quell’affascinante saggio di Nicolao Merker intitolato “Introduzione alla teoria economica marxista” (piccola antologia – a proposito! – degli studi del filosofo e germanista italiano), si apre un’intera analisi economico-antropologica sul rapporto tra attività autoconservativa della specie umana e formazione dei rapporti di potere che ne sono direttamente conseguiti.
Il “sovraprodotto” è alla radice di quel malefico incipit da cui prende il via la necessità dell’accumulazione. Perché di quello che si produce in eccesso rispetto ai propri bisogni non si spreca nulla in termini di utilizzo. E, siccome ancora oggi produciamo di più di quello che possiamo consumare per una certa parte del mondo, molto cibo, molte merci di ogni tipologia vanno sprecate invece che scambiate o lasciate gratuitamente a chi ne avrebbre veramente necessità.
Lo squilibrio attuale di un capitalismo liberista che ha raggiunto il massimo delle contraddizioni e, pertanto, degli eccessi che poteva generare “naturalmente” nell’essere innaturale, antiecologico, disumano e specista all’ennesima potenza, è la punta di un iceberg davvero enorme, formatosi nel corso di tre secoli (e anche di più).
Marx nota che non vi è una grande differenza tra l’autoalienazione che la classe dei proprietari e degli sfruttatori presenta come concausa degli effetti che mette in essere ogni giorno nel riprodursi e nel conservarsi rivoluzionandosi di continuo, e quella che il proletariato e gli sfruttati inducono in medesima maniera.
Il sistema è “alienante” non di per sé, ma perché solo così può essere tale; ed è tale perché determinati rapporti di potere e, quindi, di proprietà, rimangono inalterati pur mutando le condizioni sociali, civili, politiche e morali che contornano la complessità della struttura capitalistica.
L’antologia pensata da Donaggio e Kammerer ha, anche in questo caso, nella proposta dei testi marxiani che trattano l’importantissimo fenomeno dell’alienazione, una scelta ricca di spunti, audace nell’introdurre al dubbio critico chiunque abbia la pazienza di addentrarsi in questa selva insidiosa di numeri, calcoli e di mutazione dei concetti.
Fare la rivoluzione vuol dire ripensare anche ai concetti borghesi e sovvertirli, per oltrepassare l’immaginazione proudhoniana dell’anarchismo comunistico di metà Ottocento, oppure non lasciarsi irretire da un riformismo peggiore del conservatorismo reazionario esplicito e sfacciato.
L’antologia, ovviamente con gli scritti del Moro, ci permette di analizzare tanti assunti che diamo per scontati: come la durata della “giornata lavorativa“, il “giusto salario“, la “natura” stessa delle cose e l’origine della “ricchezza” che, contesta Marx ai socialdemocratici tedeschi, non sta nella forza-lavoro e nella sua capacità trasformatrice delle materie che divengono lavoro sociale e merci, ma nella Natura stessa. Quella con la enne maiuscola.
Gli autori confidano nella curosità delle lettrici e dei lettori a tal punto da sopprimere le note e dal proporre, e, inoltre, proprio a partire dalla grande questione appena citata del lavoro alienato (e dell’alienazione in senso più lato, ma rigorosamente scientifico per quanto attiene la disarticolazione del fenomeno capitalistico), propongono interi capitoli di alcuni testi dei Marx (tra tutti, meritano una citazione i “Manoscritti economico-filosofici del 1844“).
Starà a chi aprirà il libro fare un viaggio davvero entusiasmante nella straordinaria vastità dell’analisi che Marx ha saputo riservare a tante discipline, utilizzandole, facendole proprie e trasformandone la storicità dei contenuti in una chiave così moderna da essere, dopo secoli, uno dei paradigmi della comprensione critica e continuamente aggiornata dell’involuzione evolutiva del capitale.
Della contraddizione massima da cui nascono gli squilibri di oggi: dalle ingiustizie sociali fino a quei grandi stermini di massa che sono le guerre.
ANTOLOGIA. CAPITALISMO, ISTRUZIONI PER L’USO
KARL MARX
A CURA DI ENRICO DONAGGIO E PETER KAMMERER
FELTRINELLI
€ 13,00
MARCO SFERINI
25 ottobre 2023
foto: particolare della copertina del libro
Leggi anche:
- Dialoghi sull’anarchia
- Storia della Rivoluzione russa
- L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza
- L’Unico e la sua proprietà
- I mandarini del capitale globale
- L’estremismo, malattia infantile del comunismo
- L’ecomarxismo
- La Rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin (1917-1929)
- Il capitale del XXI secolo
- L’ultimo Marx. 1881 – 1883
- Tra i fiori non ce n’è alcuno che sia nero
- Riforma sociale o rivoluzione?
- I dieci giorni che sconvolsero il mondo
- Critica al programma di Gotha
- Introduzione alla teoria economica marxista
- Compendio del Capitale
- Lettere di lotta e di disperato amore
- Cronache anticapitaliste
- Stato e anarchia
- Salario, prezzo e profitto
- Karl Marx, ovvero lo spirito del mondo