Con Sergio Staino se ne va un pezzo di quell’intellighenzia un tempo maggioritaria e oggi derubricata a «sinistra Ztl»: compagni in là con gli anni, generalmente benestanti, ben inseriti ma aperti. È un mondo che i lettori millennial del manifesto possono aver vissuto solo attraverso i quotidiani e le riviste che illo tempore giravano per casa: L’Unità e Linus.
È proprio sulla rivista fondata da Giovanni Gandini che l’ex insegnante delle medie Staino, classe 1940, fa il proprio debutto sulla scena nel 1979. L’ispirazione arriva dal Donald Duck di Carl Barks, perdente costretto a ridefinire di avventura in avventura la propria identità, il proprio ruolo, le proprie ambizioni, metafora perfetta per ogni militante di sinistra.
Sul mensile, l’autore di Piancastagnaio lancia «Bobo». Recita la scheda del personaggio scritta per il volume del 2020 Quel Signore di Scandicci: «Educato al comunismo e al rispetto delle istituzioni dal nonno stalinista e dal babbo carabiniere… Fuma Ms, veste camicie militari e, nel portafoglio, ha una foto di Che Guevara». Berlingueriano, ostile alla destra comunista ma anche al “Nuovo che avanza”.
Al pari di Cipputi, Bobo è figlio di un’epoca in cui la gauche cerca di sopravvivere al terrorismo, alla bulimia del Psi di Craxi e all’oggettivo declino del Pci. Come in altre strip della “Rivista di fumetti e d’altro”, la satira delle strisce di Bobo è contemporaneamente politica e di costume: il protagonista e alter ego dell’autore commenta mese dopo mese i massimi sistemi dell’attualità e della politica.
Nel giro di poche apparizioni, il character si ricava un posto nel cuore dei lettori-militanti. Da lì in poi, comincia il bello: tra il 1981 e il 1982, Staino intraprende una collaborazione con la pagina culturale de Il Messaggero. Nel 1982, poco dopo il primo volume delle avventure di Bobo pubblicato da Milano Libri Edizioni, comincia la tormentata liaison con L’Unità.
Spiegherà il fumettista senese in un’intervista del 2013 al periodico Il Ducato: «Il rischio maggiore per un vignettista non è la censura esterna, ma quella interna. Facendo vignette che riguardano la parte politica a me più vicina, a volte ho avuto la tentazione di stemperare la verità dei fatti. Cerco sempre di resistere e nel 90% dei casi ci riesco». Quindi: giù botte a Natta, a Occhetto e a D’Alema (che non gradirà).
Nel 1986, arriva la fondazione del settimanale satirico Tango: Staino riunisce sul supplemento due generazioni di vignettisti, la sua e quella successiva: sul giornale appariranno le ultime vignette satiriche realizzate da Andrea Pazienza prima della sua scomparsa nel giugno 1988. Ma la carta stampata è solo un trampolino di lancio per l’autore toscano: nel 1984, interpretato da Paolo Pietrangeli, Bobo compare in carne e ossa nella trasmissione del Biscione Drive In, generando addirittura il «MeToo» Orazio, sit-com interpretata da Maurizio Costanzo.
Due anni dopo, nel programma di Rai Tre Va’ Pensiero, Staino dirige la rubrica Teletango, coinvolgendo attori come Paolo Hendel e David Riondino. nel 1989 arriva il debutto alla regia con il film in costume Cavalli si nasce. Nel ’90, tocca un altro lungometraggio, Io e Margherita, alle parentesi satiriche del Tg3 e al varietà Cielito Lindo, senza dimenticare la successiva parentesi come direttore artistico del Teatro Puccini di Firenze e dell’Estate fiorentina.
Nel frattempo, il barbuto Bobo è tracimato anche sul Corriere della Sera e relativo supplemento Sette, ma anche su La Repubblica e L’Espresso, fino al settimanale satirico Cuore e all’ineffabile Tv Sorrisi e Canzoni di Berlusconi.
Gli ultimi anni coincidono con le polemiche per la direzione de L’Unità poco prima della temporanea chiusura, con le fuggevoli simpatie renziane ma anche con l’insorgere di una retinopatia che lo costringerà a ridurre gli impegni affidando a collaboratori il disegno di serie come Hello Jesus, realizzata per il quotidiano L’avvenire: «Quando mi chiedono un autografo io faccio sempre un Bobino, ne ho fatti milioni e so che alla fine il disegno esce e a me sembra di vederlo. Finché un giorno un ragazzo ha avuto il coraggio di dirmi: “Guardi che la penna non scrive”».
Ora l’inchiostro si è definitivamente seccato.
ANDREA VOGLINO
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