Meloni e Orbán, in nome, per conto e in difesa di Dio

E’ dove ritrovi te stessa che sei a casa tua. E’ dove ti senti più a tuo agio, lontana dai compromessi e dai patteggiamenti che ti autoproponi per galateo...
Giorgia Meloni e Viktor Orbán nel 2018

E’ dove ritrovi te stessa che sei a casa tua. E’ dove ti senti più a tuo agio, lontana dai compromessi e dai patteggiamenti che ti autoproponi per galateo istituzione e opportunità di governo, che riesci ad esprimere realmente ciò che pensi. Ed è dove il clima politico ti è veramente amico che riconsci l’altro da te come il tuo miglior alleato, come l’espressione speculare di ciò che sei per davvero.

Il tutto, dentro comunque un contesto formale di un istituzionalismo e di una reciprocità di politica estera, ha permesso a Giorgia Meloni di essere molto franca con sé stessa e con gli altri.

Primo fra trutti con Viktor Orbán, il leader ungherese che è la quinta essenza di un sovranismo a cui il governo italiano delle destre ha dovuto parzialmente rinunciare nel nome delle compatibilità con l’Europa, della messa a terra del PNRR, degli obblighi internazionli e della presentazione del suo esecutivo come affidabile agli occhi degli investitori (FMI, Banca Mondiale, OCSE) e della linea nord-atlantica sulla guerra in Ucraina.

Ma con Orbán, Meloni è stata estremamente sincera: al centro dell’azione del governo italiano non c’è la preoccupazione per l’aumento della povertà, per l’indigenza crescente, per la precarietà diffusa, per la sicurezza sul lavoro, per i diritti delle donne, per quelli delle cosiddette “minoranze” (che lo sono pure, ma che vengono marchiate ripetutamente come tali per stigmatizzarne il ruolo nella società).

Non c’è nemmeno il timore che la scuola sia tutt’ora inadeguata al grande compito che le spetta, visto che i finanziamenti nella legge di bilancio vanno ovunque tranne dove realmente dovrebbero essere riservati.

Nemmeno Giorgia Meloni mette come fulcro della sua avventura a Palazzo Chigi tutti gli altri cardini di quello che un tempo era lo stato-sociale. Neppure in nome del vecchio, finto armamentario filopopolare di un MSI che le è stato maestro di eloquenza, di dialettica e di punto e contrappunto.

Oggi, al centro di tutto, dice la Presidente del Consiglio, c’è la questione della natalità che, ovviamente, lei declina in tutte le altre enormi, titaniche questioni dei tempi presenti:

– il contenimento, se non il superamento, di politiche per la famiglia che non siano quelle dedicate alla tradizionale e “naturale” composizione della stessa, quindi rigorosamente eterosessuale;

– il potenziamento di sostegni economici ai nuclei familiari che intendano dare figli alla Patria;

– la rimodulazione delle politiche sui migranti per evitare quello spettro che aleggia nell’ideologismo delle destre: la contaminazione tra diversi, la tendenza alla lollobrigidiana (ma pure meloniana, se si ascoltano i comizi elettorali del settembre 2022 ed anni precedenti) propensione a valutare il pericolo della “sostituzione etnica“.

In Ungheria, al convegno sulla natalità e sulla demografia magiara, Meloni può rispolverare il linguaggio comiziale e lo può avvicinare e simbiotizzare con un certo tono istituzionalizzante, così da evitare la ripetizione delle scalmanatissime parole urlate in Spagna alle adunate dei franchisti di Vox.

La presentazione del problema delle nascite in Italia come un elemento preponderante avrebbe un senso se si denunciasse, senza mezzi termini, la condizione di assoluta instabilità sociale che anche il suo governo ha contribuito a rigenerare nel corso dell’anno appena trascorso dal voto del 25 settembre 2022.

La crisi della natalità, però, non è per la Presidente del Consiglio una spia della più generale crisi economica che attanaglia tanta parte del popolo italiano. Per le destre è anzitutto una crisi di “identità” che è il nome che prende un patriottismo post-fascista quando non sa che altra forma darsi, visto che già pecca alquanto di sostanza.  Come non ricollegare al Ventennio mussoliniano l’idea dell’incremento demografico e della formazione di una nuova generazione di italiani con la tensione identitaria che esprime questo governo?

Il timore della scomparsa dell’italianità lo si lega anche ad una paradossale lotta ai “forestierismi” linguistici (a tratti pure comprensibile, ma solo perché le mode del momento rendono l’uso degli inglesismi una mentalmente pigra, e quindi sbrigativa, sintesi dei concetti, con un conseguente impoverimento dell’utilizzo del nostro idioma); oppure alla istillazione di concetti quasi autarchici nei più consueti usi quotidiani.

Demografia e identitarismo pseudo-nazionalista fanno delle destre capitanate da Giorgia Meloni l’esatto contrario delle necessità che l’Italia avrebbe di collocarsi in un contesto veramente continentale e internazionale in cui, anzitutto, la partita viene giocata da un multipolarismo che, proprio seguendo le regole del mercato capitalistico e del liberismo, non ha in mente nessuna idea di nazione, nessuna preservazione delle culture nazional-popolari.

Ma, come è logico, i compromessi per governare esigono la messa da parte di un armamentario ideologico che, del resto, essendo il frutto di una costruzione del tutto arbitraria, che si è adattata agli istinti delle masse e che non ha mai preteso di ispirarle attraverso un vero progetto rivoluzionario, nonostante il conservatorismo in cui si riconoscono sia Fratelli d’Italia sia la Lega, ha una capacità di resilienza notevolissima.

Al culmine di questa parata di progetti ideologici estratti dal cilindro della propaganda, ad uso prettamente interrelazionale tra destre postfasciste italiane e destre nazionalistissime ungheresi, c’è persino la difesa di Dio. Sì, difendendo la famiglia, sostiene Meloni, si difende il padreterno, il creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

Qui siamo all’apoteosi del paradosso. Molto divertente, perché vi si possono costruire sopra tante di quelle vignette satiriche e di battute da far sbellicare, ma è anche il segnale o di una megalomania inconsapevole, di una alterazione dei rapporti tra l’essere umano e l’essere divino, di una sortita azzardata in un campo che spetterebbe alla serietà di studi teologici (e un po’ metafisici…); oppure ci troviamo innanzi ad una trovata meramente propagandistica.

Non c’è dubbio che, in chi ha a cuore il creazionismo, e quindi ritiene che i governi – dopo i sovrani di antica memoria – debbano magari rispondere a Dio (prima che alle Costituzioni) dei loro operati, e che i loro rappresentanti siano mandati dall’essenza suprema e iperuranica a guidare le nazioni (con la enne rigorosamente maiuscolissima), l’affermazione di Giorgia Meloni suonerà come una chiamata all’unità dei nuovi crociati laici e cattolici nella difesa di quel binomio del revisionismo storico rappresentato dalle radici “giudaico-cristiane” addirittura dell’intera Europa.

Fa fede – è proprio il caso di dirlo – il trittico: Dio, Patria, Famiglia. La destra è questo: una conservazione di valori che nemmeno più i conservatori centristi moderni si sognano di affermare sic et simpliciter.

Certi compromessi col liberalismo, almeno così sembrava, si erano raggiunti anche e soprattutto nella concezione odierna della democrazia come elemento fondante di repubbliche (e monarchie) in cui la pace sociale, voluta e ottenuta dai sostenitori del capitalismo con cruente lotte di classe, si coniugava con l’etica anche religiosa e dava adito al laicismo di Stato di essere onnicomprensivo dei diritti e dei doveri dei cittadini, concordando il rispetto delle varie fedi, arrivando così alla tolleranza reciproca.

La destra estrema dei nuovi conservatori e reazionari leghisti e fratellitaliani è meno condiscendente del liberalismo novecentesco: Dio è il principio da difendere, in quanto da lui si fa derivare una cultura sociale e civile che produce un’etica molto poco laica nell’essere anzitutto esclusivista

. Chi prova a pensarla senza concedere al creazionismo un valore assoluto, di morale totalizzante in quanto unica verità, finisce con l’essere trattato come il solito, cocciuto e ostinato miscredente.

Lo Stato di Orbán e di Meloni è, in fin dei conti, un insieme di tradizionalismi che provano a sopravvivere a sé stessi cercando di gettare ombra, discredito e rassegnazione su tutti i movimenti progressisti che poi sono esattamenti quelli che lottano, da oltre un secolo a questa parte, per l’emancipazione del lavoro, della femminilità e dei diritti delle donne, delle persone LGBTQIA+, delle minoranze etniche, di quelle linguistiche e di quelle anche filosofiche e religiose.

Ne consegue che l’idea di democrazia di queste destre è inadeguata di per sé, visto che per farla funzionare bisogna per forza alterarne le fondamenta, scardinarne i contenuti principali e trasformare l’essenza in forma e quest’ultima in una sostanzialità che, pneumaticamente vuota, avrà bisogno di essere riempita con emergenze sociali artatamente create per generare un’amor di Patria altrimenti secondarizzato dalla grande massa dei moderni proletari che non sanno come tirare avanti fino alla fine del mese.

Ma il vero patriottismo è prima di tutto soccorrere chi sta peggio, prendendo a chi ha di più. Far lavorare meno ognuno per far lavorare tutti, a parità di salario. Stabilire una piattaforma di riforme sociali veramente di lungo respiro, strutturali: il tempo per farlo ci sarebbe. Ma un governo come questo è l’esatta antitesi del miglioramento della condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati.

Il governo Meloni recepisce le direttive europee, quelle dalla NATO, dà più soldi alla produzione di armi e non aumenta di un centesimo di euro il gettito per la sanità pubblica. Pensa a trattare con i dittatori africani per fermare gli sbarchi e ottiene l’effetto opposto: maggiore ricattabilità, una emergenza umanitaria impressionante, un isolamento internazionale altrettanto tale.

Così non si difende nessuna famiglia, così nemmeno si difende Dio. Che forse non ha bisogno di essere difeso: uno, perché probilmente quello che ci siamo sempre raccontati e immaginati in mille storie e modi diversi in migliaia di anni, proprio non esiste; due, perché, qualora esistesse, essendo onnipotente perché mai avrebbe bisogno dell’aiuto di Giorgia Meloni per difendersi da una sua cancellazione da parte di una cattiva, cattiva cultura modernista, laica, agnostica e ateista?

Facciamone pure un punto di discussione teologica, se non altro per divertirci un poco… Se Dio può tutto, non ha bisogno di niente e di nessuno per essere sé stesso, per esistere e per continuare ad essere ciò che è sempre stato. L’ontologia è un cortocircuito deplorevole, noioso, che si autocompiace di esprimersi in un contesto paradossalistico che non ha fine.

Un po’ come la narrazione delle destre meloniane e salviniane: crocefissi e bibbie in mano, immagini della madonna, dei santi, riferimenti alla purezza etnica, all’identità, alla famiglia e alla patria per giustificare tutto il pressapochismo di una ingegneria antisociale che, invece, portano avanti con grande spirito collaborativo insieme ai più grandi poteri finanziari e padronali.

Il peggio del peggio…

MARCO SFERINI

15 settembre 2023

foto: screenshot You Tube ed elaborazione propria

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