Piccolo mondo antico

Benedetto Croce ne aveva colto tutta la peculiarità, la quasi intrinseca, e forse un po’ casuale, genialità di un’opera certamente minore, rispetto a tante altre del suo tempo e...

Benedetto Croce ne aveva colto tutta la peculiarità, la quasi intrinseca, e forse un po’ casuale, genialità di un’opera certamente minore, rispetto a tante altre del suo tempo e dei decenni precedenti, ma comunque degna di stare nel Pantheon della nuova letteratura italiana.

Un fine ottocento che era stato particolarmente generoso nella prolificità degli scrittori, nel dare al nuovo piccolo regno che si era mano a mano assemblato un terreno culturale nuovo e antico al tempo stesso.

Piccolo mondo antico” di Antonio Fogazzaro (Biblioteca Universale Rizzoli ed altri editori) è effettivamente un punto di incontro tra l’aulicità della grande prosa manzoniana che inventa il romanzo e apre la via ad una sconosciuta prateria delle parole e dei concetti tradotti in forma dialogica e di racconto a capitoli, e la sempre più diffusa novellistica da giornaletto che si impadronisce della voglia di sognare tanto delle giovani quanto delle meno giovani generazioni.

Devoto, Croce e altri critici hanno messo in guardia ogni lettrice ed ogni lettore dal tentare azzardati paragoni con “I promessi sposi“, seppure nel romanzo di Fogazzaro (che, è bene ricordarlo, fa parte di una tetralogia con “Piccolo mondo moderno“, “Il Santo” e “Leila“) si possano riscontrare molti parallelismi nelle descrizioni tanto dei personaggi quanto dei luoghi e in certe scene che l’autore trasporta dal contesto seicentesco a quello degli ultimi anni di vita del Regno Lombardo-Veneto, della severa amministrazione austriaca che qui vive nella molteplicità caratteriale del controllore Pasotti, dei commissari di polizia, della devozione della marchesa Maironi.

Si tratta di un romanzo intensamente biografico, anche se non proprio autobiografico, perché certi spunti, certe ispirazioni diradano la nebbia nella costruzione della ambivalente e dicotomica trama, tutta fatta di similitudini e di contraddizioni, di confronti e di scontri personali, morali, politici, culturali e religiosi, ma non sono direttamente riconducibili alla sola vita di Fogazzaro.

E’ proprio lui a dedicare la sua opera ad una cara amica che gli è stata confidente epistolare per molto tempo. Con lei ha conosciuto la Valsolda, con le l’ha rivissuta nei minimi particolari e ha avuto modo di approfondire temi che gli sono sempre stati cari: tra i tanti quello della fede e del rapporto con l’ignoto, l’inconoscibile, con Dio, con l’Universo, con la impenetrabilità del significato dell’esistenza.

Luisa Campioni Venini è, quindi, un po’ la musa ispiratrice di alcuni tratti fisiognomici della storia che si dipana tra le vicende familiari dei Maironi e dei Rigey che si alternano tra schiarite e profondi bui nella dialettica degli opposti.

Fogazzaro non scrive il romanzo per lei, ma è felice di poterglielo dedicare, di farla in qualche modo entrare nella storia con la esse minuscola, dando alla principale figura femminile il nome dell’amica e permettendole così di sentire ancora più consolatoria sul piano della fede la triste vicenda della nipote Gemma che, nel libro, diviene la dolcissima Maria detta Ombretta.

Il lago farà da sfondo e da fondo vero e proprio di quello che accadrà, gettando una inaspettata e tragica luce sulle certezze tanto di Franco quanto di Luisa, sparigliando i sentimenti, disadornando le sicurezze tanto legate alla ragione quanto legate alla fede.

Luisa Campioni aveva chiesto, in una delle sue lettere all’amico Antonio, quale lettura avrebbe potuto accostarla ad una minore sofferenza possibile per la morte della sua giovanissima nipote, annegata nello specchio d’acqua grigio, stagnante, plumbeo come quel dolore che pesava come un macigno sulle sue giornate. Fogazzaro le aveva risposto che, a prescindere dai libri, avrebbe potuto trovare conforto in quel Dio in cui anche lui credeva. Ma sarà proprio “Piccolo mondo antico” a dare alla donna gli strumenti psicologici ed emotivi per affrontare il lutto in modo nuovo e, quindi, diverso.

Nei primi cinque anni di ipotesi, di inizio stesura degli appunti per la scrittura del romanzo, Fogazzaro non ha chiaro ancora il filo morale della storia, l’impronta etica e sociale che vuole assegnare ai suoi personaggi.

In una lettera del 10 settembre del 1899 confida più che altro a sé stesso di aver trovato un punto di partenza per il reticolo di interazioni tra Franco, Luisa, lo zio Piero, la marchesa e il piccolo mondo in cui si avvicendano le loro esistenze: «…chi vive per godere di questo mondo disprezzando l’altro; chi vive per fare il bene in questo mondo non mirando all’altro; chi vive mirando all’altro ma più con la fede, colla preghiera, che colle opere….

E’ una congiuntura di situazioni in cui la fede e le credenze si mescolano con l’integerrimità di un carattere agnostico, dedito tutto ad un pragmatismo terrestre, che rifiuta il trascendentalismo dei riti ma non esclude la conservazione – critica – delle tradizioni millenarie, comprese le cerimonie pubbliche che contengono, nelle manifestazioni processionarie, tutto il potenziale di un esorcismo collettivo nella venerazione dei santi, nella devozione di massa.

Da un lato, quindi, c’è la famiglia Maironi che, in quanto nobile, aderisce al regime di turno che governa la Lombardia (e il Veneto), calandosi in una doppia forma devozionistica (verso l’autorità laicale e verso quella ecclesiastica); dall’altro ci sono i Rigey che sono molto più affini ad una filiazione popolare, ad una discendenza da borghesia medio-piccola, sentimentalmente accomunati alle disgrazie popolari, alle ristrettezze economiche che sono proprie di una condizione di sofferenza diffusa, invisibile agli occhi gelidi della nobiltà italiana dedita ad una condivisione pressoché acritica dell’asburgismo dominante,

L’amore tra Franco e Luisa è una delle tante dicotomie unitarie, dei paradossi reali che sviluppano la trama del romanzo, tra le piccole rotte delle imbarcazioni che sul lago si muovono nella nebbia, portando con sé le paure della signora Barborin, letteralmente terrorizzata dalle acque che fanno oscillare l’orizzonte, che rendono tutto precariamente instabile e che sollevano le paure al di sopra delle coscienze, mentre il Pasotti la deride dall’alto di una sicumera che fa il paio con un ruffianissimo atteggiamento di riverenza imbarazzante verso tutto ciò che gli è superiore.

Piccolo mondo antico” si prese tre anni della vita di Fogazzaro: la stesura correva anche lesta, ma la revisione dei capitoli comportò un andirivieni tra correzioni, annotazioni e riscritture di interi paragrafi.

Il risultato fu una affinatura che fece del racconto un modello di scrittura autobiografica senza dare l’idea di esserlo. E’ lui medesimo, descrivendo in un’altra lettera, questa volta all’amico Alfonso Garovaglio, il meticoloso lavoro di creazione del canovaccio, a smentire che fatti, persone e luoghi siano dei riferimenti casuali.

Tutto, o quasi, ha un corrispondente con l’attualità del suo tempo, con la quasi quotidianità della sua esistenza: di Ombretta abbiamo già detto, mentre professori come Gilardoni, avvocati, commissari della regia imperial polizia, la stessa madre di Luisa, i coniugi Pasotti e gli stessi sposi al centro della storia sono tutti rintracciabili in corrispondenti reali, in persone viventi attorno a Fogazzaro. Alcuni parte della sua famiglia, altri sono invece amici e conoscenti. Sempre l’autore rivela: «Franco Maironi è mio padre, Luisa Maironi Rigey ha qualche tocco di immaginazione ma deve somigliare spesso alla Luisa Venini. La signora Teresa Rigey, madre di Luisa Maironi, è mia madre…».

Dunque, come se ne può evincere, il piccolo mondo di cui Fogazzaro vuole scrivere e di cui vuol far parlare è anche il suo. Strettamente suo, riconoscibile solo per chi lo conosce a fondo, per chi è di quel tempo. Per noi, oggi, questa correlazione ha un valore anche artistico e letterario solo se leggiamo le lettere e il diario tenuto dall’autore insieme a sua moglie proprio durante la stesura del libro.

Ma è bene tenere a mente, nel corso della lettura, che dal paesaggio della Valsolda ai personaggi primari e secondari, fino alla descrizione dei rapporti tra le persone, i cittadini e il potere che li sovrasta e li circonda, tutto è molto poco frutto della fantasia fine a sé stessa.

I parallelismi sono qui un eufemismo per descrivere compiutamente lo stretto legame che Fogazzaro intende mantenere tra verità e immaginazione, tra storia popolare e storia letteraria. L’11 agosto del 1895, alle 15,45 il romanzo era terminato. Ne conosciamo data e ora precisa di fine perché il diario già citato, quello redatto insieme alla consorte, ci permette di sapere quasi tutto sulla cronistoria della redazione dei capitoli e sul loro termine. Una anticipazione venne data alle stampe sul “Corriere di Napoli” nel numero di Natale del 1892. Poche, brevi pagine, ma riscossero un successo forse un po’ inaspettato.

Un successo che si replicò quando l’opera uscì nella sua interezza presso la casa editrice Galli. La critica lo accolse, come si suole dire, benevolmente salvo un non trascurabile quantitativo di giudizi negativi sulla figura di Franco Maironi, giudicato un “ardente cattolico fiacco di carattere“. Alla signora marchesa andò anche peggio. Sui giornali dell’epoca si potevano leggere recensioni tipo…: «La nonna di Franco è assai un brutto tipo di cattolica, e gli altri, anche i preti, valgono poco o nulla».

Ma dunque, “Piccolo mondo antico” è un romanzo che vuole esaltare la fede oppure no? Di sicuro il principio dialettico ispiratore di tutta la storia e dei rapporti tra i protagonisti funziona a meraviglia nel seminare, al proposito, il dubbio, alimentatore della critica e della ricerca della verità. La religione sembra quasi essere separata dai pessimi interpreti di alto bordo, come la nonna di Franco, scribi e farisei ipocriti, mentre chi la dovrebbe “istituzionalmente” rappresentare finisce sotto tono, salvo qualche raccomandazione proprio curatesca, dettata più dal rapporto amichevole che dal ruolo.

Le parole del curato a Luisa, la risposta piccata e piena di un razionalismo che suona come il disvelamento delle immaginazioni consolatorie che si vogliono propinare soprattutto a chi ha da lenire un dolore, sono un abile gioco di luci ed ombre, di chiari e di scuri in cui il lettore si può immergere per saggiare tanto la genuinità della fede di chi prega nella casa dove giace il corpo della piccola Maria, quanto dell’ipocrisia di chi vive il rapporto con Dio come un contratto per avere un salvacondotto paradisiaco.

La tragedia del lago è il principio di una contesa morale interiore: per tutti. Ma in particolare per la marchesa. Il dolore di Luisa la rinchiude nel recinto delle sue emozioni lancinanti. La consapevolezza delle colpe getta la nobildonna negli incubi della notte, nell’agitazione onirica, nel rimorso che prevale davanti allo spettro dell’inesistenza, dell’avanzare dell’ipotesi della morte con la colpa come fardello da portarsi appresso.

La fuga di Franco riporta tutto nella contestualizzazione temporale della preparazione della Seconda guerra d’indipendenza. Si vagheggia, nelle riunioni allegre di casa Maironi, dove la cospirazione è onnipresente, del nome del nuovo Stato che dovrà nascere: Piemonte, Regno del Nord, Regno padano. Oppure: Italia. Qui il rimando storico è del tutto evidente e ci dice di un dibattito ampio sull’identità degli italiani stessi di allora, sul loro sentirsi parte di qualcosa di più grande del “piccolo mondo” della Valsolda ma anche del Lombardo-Veneto di Cecco Beppe.

Le trasposizioni cinematografiche sono state innumerevoli. Più di tutte, quella del 1941 per la regia di Mario Soldati, con una grande Alida Valli nel ruolo di Luisa ha reso giustizia all’atmosfera di inesprimibile ambiguità dei rapporti, di inestricabile disarticolazione delle certezze che sono il substrato evidente dell’opera di Fogazzaro. Il bianco e nero permette di collocarlo più vicino ancora a quella pre-modernità che avrebbe in seguito sminuito il pathos di tante storie, consegnandole ad una consunzione della loro originalità, persa nello spietato valore di mercato.

All’apparenza, l’opera di Fogazzaro può sembrare un leggero romanzetto minore nella storia della letteratura italiana. In realtà, questa sottovalutazione è il peccato culturale peggiore che si possa fare nel considerare un pregiudizio come critica compiuta e incontestabile. Uno stigma che si porta dietro da troppo tempo e che va smentito. Ci sono tanti libri che meriterebbero una rivalutazione, facendoli uscire dal costrutto mentale che si è generato intorno a loro, nel valutarli come opere secondarie, tutto sommato non così importanti.

Ogni libro fa storia a sé, ma perché non leggere “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro o “Demetrio Pianelli” di De Marchi con la stessa curiosità con cui, almeno un tempo, ci veniva insegnato di avere nei confronti de “La coscienza di Zeno” di Svevo o “Il piacere” del Vate?

PICCOLO MONDO ANTICO
ANTONIO FOGAZZARO
BIBLIOTECA UNIVERSALE RIZZOLI
€ 9,50

MARCO SFERINI

30 agosto 2023

foto: particolare della copertina del libro


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