«Peggio che in fase Covid». Il commento raccolto ieri dalle agenzie di un medico di un pronto soccorso romano – ex-medico, visto che ha appena deciso di dimettersi – racconta bene lo stato del servizio sanitario. Dalla pandemia la nostra sanità non è uscita affatto migliore.

Sette Regioni, non tutte del sud, non garantiscono nemmeno i livelli essenziali di assistenza. Quindici veleggiano verso il commissariamento con bilanci in rosso e molti servizi a rischio stop. Un terzo dei ricoveri rinviati causa virus, e quasi la metà di visite e analisi, non è mai stato recuperato, con le consuete differenze tra nord e sud.

Palazzo Chigi non sembra rendersi conto di una situazione che invece appare chiarissima ai cittadini. Il magro aumento nominale del Fondo sanitario nazionale stanziato nel 2022 (4 miliardi, +3% rispetto a un anno prima) è stato ampiamente rimangiato dall’inflazione, che ha fatto esplodere le bollette.

In termini reali nel 2023 gli ospedali hanno avuto meno soldi di prima: secondo le Regioni la perdita arriva all’11,5%. Lo stesso governo nell’ultimo Def prevede che da qui al 2025 la spesa sanitaria scenda al 6,2% del Pil, cioè sotto i livelli pre-pandemia e circa la metà della percentuale di Francia e Germania.

Su ogni ipotesi di rilancio pesa il tetto alle spese per il personale imposto alle Regioni che, quando manca un medico, impone agli ospedali di ricorrere ai cosiddetti «gettonisti» (medici a chiamata che rientrano nella voce «beni e servizi» e non in quella del «personale») invece di assumerne uno: un paradossale caso di maggiore spesa in cambio di un servizio di livello inferiore.

Il ministro della salute Orazio Schillaci, uno stimato radiologo privo di peso politico, ha chiesto al collega Giorgetti quattro miliardi per tamponare i buchi della sanità pubblica italiana, non certo per rilanciarla.

Non è solo una rivendicazione dell’opposizione, che sulla sanità sta tentando una manovra di accerchiamento al governo simile a quella compiuta sul salario minimo. Stavolta, anche presidenti di regione di centrodestra come l’abruzzese Marsilio e il veneto Zaia chiedono al governo di fare di più nella prossima legge di bilancio.

I quattro miliardi richiesti basterebbero appena per restituire alle Regioni le spese straordinarie anticipate per far fronte all’emergenza Covid. Poi, rimanendo sulla linea di galleggiamento per scongiurare un ulteriore peggioramento dei servizi sanitari, ce ne vorrebbero altri tre per recuperare l’inflazione e pagare le bollette – se le previsioni ottimistiche sui prezzi saranno confermate – e quasi altrettanti per finanziare i rinnovo del contratto dei medici scaduto nel 2021.

Se si volesse rafforzare il servizio riducendo le liste d’attesa, irrobustendo i servizi di prossimità, incentivando i medici in prima linea e soprattutto la prevenzione, bisognerebbe andare oltre e stanziare più della decina di miliardi complessivi sin qui approssimativamente elencati.

Fantascienza: il ministro dell’economia di investimenti non vuole sentir parlare nemmeno se i soldi ce li mette l’Europa. Se si realizzassero nuovi ospedali e case di comunità come prevedeva il Pnrr, infatti, bisognerebbe anche pagare i medici e gli infermieri da metterci dentro. Meglio – si fa per dire – rinunciare agli uni e agli altri, restituendo i soldi a Bruxelles.

Chi potrà si salverà attingendo alle proprie tasche: la spesa a carico delle famiglie (farmaci, esami e visite specialistiche private) già tocca i 40 miliardi, quasi un quarto della spesa sanitaria totale e una percentuale doppia rispetto a Francia e Germania.

Tra invecchiamento e crisi climatica e ambientale, i bisogni di salute della popolazione aumentano ma il governo riduce le risorse: è questo il «mondo al contrario» che sogna la destra.

ANDREA CAPOCCI

da il manifesto.it

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