Le accise sui carburanti pesano in Italia per circa il 30% sul costo della benzina e per il 34% su quello del gasolio. In molti chiedono strumentalmente di abbassarle per dare respiro agli italiani in un periodo in cui il potere di acquisto delle famiglie è particolarmente in sofferenza. Quale può essere la posizione del campo ambientalista e di sinistra davanti a queste proposte?
Nel 2019 in Francia, il rialzo delle accise deciso per finanziare la transizione energetica diede origine alle proteste dei Gilets Jaunes e a una contrapposizione di fatto tra diritti sociali e diritti ambientali. Questa contrapposizione è però evitabile. È vero che abbassare le accise significherebbe dare un po’ di respiro agli italiani, ed è ancora più vero se si pensa che questo tipo di imposte indirette colpiscono proporzionalmente di più i ceti medio-bassi di quelli benestanti, in quanto non dipendono dal reddito né dal patrimonio.
Al tempo stesso, però, sappiamo bene come la transizione energetica non sia più rimandabile, e un taglio delle accise equivarrebbe a un vero e proprio sussidio a favore delle energie non rinnovabili. Questo in un contesto in cui l’Italia spende secondo Legambiente circa 35 miliardi di euro ogni anno per i cosiddetti «sussidi ambientalmente dannosi». Sussidi politicamente intoccabili che riguardano incentivi alle trivellazioni, alla ricerca nei comparti del gas, del carbone e del petrolio, nonché sgravi e agevolazioni.
Da un lato si continua quindi a finanziare massicciamente chi danneggia l’ambiente e dall’altro si vuole presentare un nuovo incentivo alle energie fossili come una misura presa in favore dei redditi medio-bassi.
La soluzione per tenere insieme diritti ambientali e diritti socioeconomici in realtà c’è, e la suggerisce nientemeno che il Fondo Monetario Internazionale. In una nota del giugno 2022, gli economisti del Fondo spiegavano infatti che per quanto un abbassamento artificiale dei prezzi dell’energia possa sembrare una buona idea, i prezzi sovvenzionati incoraggiano in realtà un maggiore consumo. Questo sul medio periodo eserciterebbe ulteriori pressioni al rialzo sui prezzi.
Gli autori dello studio suggerivano quindi di intervenire direttamente sul welfare, con politiche redistributive a sostegno delle fasce più deboli della popolazione.
È in effetti questa la posizione di chi nel mondo cerca di tenere insieme la transizione energetica con i diritti dei più deboli. Certo non si tratta di incentivare i consumi di energie non rinnovabili abbassando i loro prezzi, ma piuttosto di utilizzare i proventi delle imposte sulle energie fossili per finanziare la transizione energetica e al tempo stesso per compensare i cosiddetti «perdenti della transizione», coloro i quali sono più direttamente colpiti dalle accise, dalle riconversioni industriali, e in generale dalle cosiddette politiche green.
Questo sarebbe ancora più fattibile se si andassero a colpire da un lato i sussidi ambientalmente dannosi, e dall’altro i consumi a forte impatto ambientale dello 0,1% più ricco della popolazione (si pensi ad esempio all’uso dei jet privati).
Certo tutto questo richiederebbe una forte volontà politica realmente interessata al sociale e non ad alimentare conflitti tra diversi diritti. Da questo governo è difficile aspettarsi questa volontà. È anzi facile aspettarsi che il taglio delle accise, se realmente ci sarà, finirà ancora una volta nelle tasche dei ricchi tramite l’introduzione della flat tax.
STEFANO UNGARO
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