Saranno i sondaggi, che danno l’ampia maggioranza degli italiani favorevole alla proposta di un salario minimo orario. Sarà anche un pizzico di tattica politica e parlamentare per alleggerire il confronto tra maggioranza e opposizione prima della pausa agostana e magari scompaginare l’inedito fronte delle opposizioni. Fatto sta che Giorgia Meloni formula un’apertura abbastanza inattesa al dialogo sul tema.
Lo fa spiazzando anche i suoi, che in questi giorni sono sperticati a denigrare la proposta, con il ministro Nello Musumeci che commentando l’iniziativa della minoranza ha parlato di «assistenzialismo» e l’alleato Antonio Tajani che aveva tirato in ballo addirittura l’Unione sovietica.
«Ho trovato molto garbato l’appello di Carlo Calenda – dice Meloni a Repubblica – E siccome penso che sia giusto aprire al confronto quando c’è un’opposizione non pregiudiziale non escludo di rispondere». Il leader di Azione il primo a commentare, non nasconde una certa soddisfazione: Sono felice che ci sia un’apertura da parte del governo a discutere di salario minimo – dice Calenda via twitter – Sospendiamo le polemiche e proviamo a fare insieme qualcosa di utile per l’Italia».
La segretaria del Partito democratico Elly Schlein accoglie l’apertura ma pone una condizione: “Sono felice di leggere che ci sarebbe un’apertura della presidente del Consiglio a un confronto nel merito. Allora la maggioranza ritiri l’emendamento soppressivo, io sono disponibile a un incontro anche domattina con lei e con il governo». Resta dunque il braccio di ferro sull’emendamento soppressivo depositato dalla maggioranza alla Camera, sulla quale la commissione si esprimerà martedì dopo che il colpo di mano è stato sventato dall’ostruzionismo dell’opposizione.
La destra, al contrario, chiede invece di rinviare tutto a settembre. L’apertura di Meloni, in effetti, è a un generico dialogo e non presuppone che il testo delle opposizioni sia la base di della discussione. Dunque, dicono dalla maggioranza, bisognerebbe ripartire da zero. Di conseguenza, la condizione dettata da Schlein viene rigettata dalle forze che sostengono il governo.
Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, dopo le polemiche dei giorni scorsi assicura che «l’apertura c’è sempre stata». «Io stesso avevo proposto di rimandare a settembre un ragionamento più ampio su salari e lavoro – giura Rizzetto – Perché anche la maggioranza potesse dire la sua». Se Schlein non dicesse ai suoi di frenare sulla proposta, prosegue l’esponente di FdI, «io, da presidente della commissione, ho l’obbligo di traghettare il progetto di legge in aula il 28 luglio. Quindi, stando così le cose, martedì si vota l’emendamento soppressivo e poi in aula si vede».
Queste parole, smorza gli entusiasmi di Calenda il segretario di +Europa Riccardo Magi, «sembrano svelare il giochetto di Meloni: aprire al salario minimo per rinviare la discussione. Siamo davanti a un vero e proprio trappolone per togliersi dall’impaccio di dover spiegare perché hanno detto no a una misura di civiltà e allo stesso tempo far stare buone le opposizioni fino a che il tema non sarà caduto nel dimenticatoio».
Dal Movimento 5 Stelle, che pure per bocca di Giuseppe Conte aveva detto di confidare nella dinamica parlamentare prima di ricorrere alla raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare, nessun commento. «Senza ritiro dell’emendamento soppressivo siamo di fronte al solito gioco delle tre carte della destra», dice per Alleanza Verdi Sinistra Nicola Fratoianni.
E Arturo Scotto, che per i dem è capogruppo in commissione lavoro, la riassume così: «La destra non ha mai proposto un tavolo. Hanno proposto soltanto un rinvio a settembre perché spiazzata dalla proposta unitaria delle opposizioni di tre settimane fa. Non hanno mai avanzato una obiezione sul merito della nostra legge, ma solo un emendamento soppressivo. Se ora ci hanno ripensato e vogliono confrontarsi, il macigno da rimuovere è quell’emendamento».
MARINA DELLA CROCE
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