L’ennesima morte provocata dalle azioni della polizia questa volta non è connessa alle forti tensioni e aggressioni che si stanno registrando attorno a Sfax, seconda città della Tunisia, o nel deserto al confine con la Libia, questa morte è avvenuta a Sbeitla, una regione emarginata dell’entroterra. Si deve partire anche da qui per cercare di capire il piccolo Stato nordafricano al di là di quanto sta succedendo tra la popolazione locale e la comunità subsahariana.
Martedì 4 luglio un giovane tunisino di 24 anni è stato ucciso da un proiettile della polizia. Stava passando a piedi in una delle strade di Sbeitla mentre le forze di sicurezza erano impegnate in un’operazione contro un locale clandestino di gioco d’azzardo. A seguito dell’accaduto in città e nel governatorato di Kasserine, uno degli epicentri della Rivoluzione del 2011, sono cominciati disordini di vario tipo e il ministero dell’Interno ha dovuto garantire la messa in sicurezza degli edifici pubblici.
Il senso di frustrazione da parte della popolazione è evidente. Lo è ancora di più in determinate zone della Tunisia e assume sfumature diverse a seconda delle problematiche: violenza della polizia; crisi economica e sociale; perdita di potere d’acquisto e, in generale, un senso di rassegnazione diffusa che sta cominciando ad attecchire anche sulla fascia media della popolazione.
A Sfax, polmone industriale del paese e uno dei principali punti di partenza della rotta migratoria verso l’Italia, quel senso di frustrazione è diventato rabbia e si è scatenata contro la comunità subsahariana presente in città. A notti di violenze di ogni tipo contro cittadini originari di Costa d’Avorio, Sudan, Camerun, Guinea, Mali e Burkina Faso sono seguite vere e proprie deportazioni di Stato, con la polizia impegnata a organizzare trasferimenti di massa verso il confine libico e algerino.
Secondo le ultime stime raccolte da Human Rights Watch, sarebbero 700 le persone tra richiedenti asilo, lavoratori, donne incinte, bambini e neonati che si trovano in una situazione disperata da giorni (i primi trasferimenti sono cominciati lo scorso 2 luglio) senza cibo, acqua o cure mediche. I pochi video che riescono a rompere il muro del silenzio testimoniano di un dramma umanitario in corso, mentre altre immagini da Sfax raccontano di una fetta della popolazione locale intenta a risolvere una volte per tutte «la questione dei subsahariani in città».
Attacchi con bastoni e sbarre di metallo accompagnati dalle volanti della polizia, migranti subsahariani ammassati per terra e controllati da cittadini tunisini e code infinite alla stazione dei treni sono solo alcune delle istantanee che provengono da un contesto estremamente fragile. Chi può si nasconde in casa. In attesa di capire cosa fare, le scorte di cibo e acqua diminuiscono e sale il livello della preoccupazione.
La morte di un 38enne tunisino nella serata di lunedì durante gli scontri a Sfax per mano di un migrante può solo parzialmente spiegare il quadro della situazione. C’è di più e se oggi le denunce su quanto sta avvenendo nel paese stanno aumentando è anche grazie a una società civile attiva che sta cercando di fornire aggiornamenti quotidiani. In altri luoghi dove questo non è possibile, ad esempio al confine tra Algeria e Niger, sono mesi che si registrano respingimenti di massa di migliaia di persone.
A garantire il precario equilibrio tunisino resta il presidente della Repubblica Kais Saied. Dopo aver pronunciato un duro discorso contro la comunità subsahariana lo scorso 21 febbraio, il responsabile di Cartagine ha voltato lo sguardo dall’altra parte quando è esplosa bomba sociale che si attendeva da tempo. Saied è impegnato soprattutto a non far diventare la Tunisia un paese di transito e un cuscinetto perfetto per le istituzioni europee, alle prese con più di 60mila arrivi da inizio 2023 nella sola rotta del Mediterraneo centrale.
È proprio il silenzio dell’Unione europea a tenere banco sulle due sponde del Mediterraneo. Non è un caso: in settimana era prevista la firma di un memorandum d’intesa che prevede anche il potenziamento delle frontiere esterne tunisine. Se la firma dovesse arrivare in questo preciso momento storico, il silenzio si trasformerebbe in aperto imbarazzo. Neanche il governo di Giorgia Meloni si è ancora espresso sul tema nonostante le numerose visite di Stato degli ultimi mesi.
Nel frattempo su Twitter sono arrivate le parole di Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale e occidentale: «Gli accordi di cooperazione con la Tunisia devono essere condizionati all’effettivo rispetto dei diritti dei rifugiati e dei migranti».
MATTEO GARAVOGLIA
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