Non si usa tornare a parlare di un libro di cui sullo stesso giornale – in questo caso proprio il manifesto – non solo si è già parlato ma gli è stato dato grande rilievo, pubblicandone la lunga prefazione sulla prima pagina del suo importante inserto l’Extraterrestre.
Approfitto della mia vetusta età per prendermi la licenza di derogare alla regola e scriverne ancora. Perché il libro in questione (Il gusto di cambiare. La transizione ecologica come via per la felicità di Gaël Giraud, Carlo Petrini, con Stefano Arduini, Slow food Editore e Libreria Editrice Vaticana, pp. 176, euro 18), e in particolare questa prefazione che lo introduce, penso che segnino un mutamento epocale nella storia della Chiesa cattolica, e anche in quella della sinistra marxiana.
Non solo perché è la testimonianza di un dialogo ormai molto intenso e pure molto consonante su temi di fondo: la pace e la guerra, innanzitutto, ma anche la fiducia che il mondo possa esser cambiato da capo a fondo. Per dirla con due parole: che la rivoluzione non sia solo necessaria, ma ormai obbligatoria se non vogliamo finire tutti malissimo.
Intanto, credo sia inedito il fatto che questa prefazione al libro sia firmata nientemeno che dal papa; e che gli autori che Francesco introduce siano un economista gesuita, Gaël Giraud, e un laico di sinistra, Carlin Petrini (tant’è vero che come molti di noi sanno bene, è stato uno dei fondatori del Manifesto, nella «bianchissima» regione delle Langhe, dove i contadini accolsero le prime iniziative di questo nostro gruppo di compagni dicendo: «come sono bravi questi ragazzi, peccato che siano comunisti».)
Ha fatto assai bene Extraterrestre ad aprirci l’inserto, e però siccome purtroppo la questione ecologica – anche in larga parte della sinistra – non ha ancora ottenuto la centralità che le compete, non vorrei che qualcuno di quelli che si considerano «non addetti ai lavori» abbia prestato insufficiente attenzione a questa prefazione firmata da papa Francesco. O l’abbia assunta come contributo settoriale, destinato ai simpatizzanti di Legambiente.
Il libro, di cui ho ascoltato la vivace presentazione degli autori nella sala conferenze di sant’Egidio, è intitolato Il gusto di cambiare: già questo mi sembra importante, visto che la peggiore fra le tante bruttezze di questi ultimi decenni è stata la conquista egemonica di quella che gli anglosassoni chiamano TINA (There is no alternative); e cioè rimanere paralizzati di fronte a qualsiasi progetto che impone un mutamento radicale. Tant’è vero che nel linguaggio politico corrente si ha ormai paura persino di pronunciare certe parole.
Finalmente alla presentazione del volume è ricomparsa la parola «capitalismo», ormai usualmente nascosta dal più dolce termine di «modello di sviluppo»; e, anziché limitarsi a dire genericamente che occorre mutare il modello di consumi, si è usata la «terribile» parola «decrescita». Spiegando che non vuol dire miseria, ma solo che si tratta di ridurre i bisogni materiali per conquistare la felicità di dare un senso alla vita, creando l’«uomo comunitario» e trasformando i beni essenziali in «beni comuni».
Per evitare che qualcuno non intendesse il senso di queste parole, Carlin Petrini ha aggiunto: in passato le rivoluzioni tagliavano la testa dei re, oggi occorre tagliare il liberismo. Le rivoluzioni industriali che hanno caratterizzato la storia dal Settecento in poi hanno dato benessere, scienza, istruzione, scoperte. Oggi non possiamo non vedere il fallimento storico capitalista.
E ha continuato: «questo lo dice chiaro solo il nostro amico argentino». Che, va aggiunto, ha capito anche quanto sia importante che due persone che rappresentano punti di vista e origini culturali diverse come i due autori, uno credente, uno agnostico, portino avanti una conversazione costruttiva che diventa il manifesto di un futuro plausibile per la nostra società, minacciata da un approccio distruttivo, colonialista e dominatore del creato.
E poi Francesco non manca un accenno al femminismo: congratulandosi con Giraud, il gesuita, che ha raccontato una cosa che nessuno sembrava sapere, e cioè che storicamente il Pil si è affermato come parametro per misurare la salute economica di una nazione durante la stagione del nazismo e che il punto di riferimento era rappresentato dall’industria delle armi. Avendo il Pil un’origine bellica, è per questo «che il lavoro delle casalinghe non è mai stato conteggiato: perché il loro impegno non serve alla guerra».
Nelle conclusioni Giraud dice che la Chiesa nel secolo XI fu organizzata come uno stato, con al vertice il papa come monarca assoluto per diritto divino, al cui servizio fu posta una classe burocratica, i chierici, con una lingua unica, il latino, e con un sistema normativo, il diritto canonico. Un modello seguito da tutta l’Europa occidentale. Papa Francesco scrive che si «sta tentando di chiudere questo capitolo della nostra storia». Per arrivare a un mondo in cui ogni battezzato sia protagonista della comunità.
Come vedete, in questo libro si parla anche della Nato…
(Mi rimproverano di esser troppo ottimista: ma vi sembra niente questa consonanza inimmaginabile? Quando vedo adesso piazza san Giovanni stracolma di bandiere rosse e blu, penso che Gramsci e Togliatti brindino insieme nella tomba).
LUCIANA CASTELLINA
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