La decisione del Cda dell’Aifa di non approvare la gratuità della pillola scatena una guerra interna all’agenzia. Il Cda non ha formalmente detto di no, ma ha accusato le commissioni tecniche di aver preparato un dossier lacunoso, in cui non era specificato per quali prodotti e fasce di età debba essere garantito l’accesso gratuito alla contraccezione.
A rispondergli è Patrizia Popoli, presidente della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa che sul sito specializzato Quotidiano Sanità difende il suo lavoro. «Se il Cda chiede ulteriori chiarimenti siamo disponibili a fornirli, ma non vorrei che passasse il messaggio che la nostra istruttoria fosse lacunosa o inadeguata, perché così non è». Popoli precisa che la scelta di non restringere il perimetro non è frutto di una dimenticanza.
«Abbiamo discusso su questo argomento per mesi, esaminato le evidenze scientifiche e le raccomandazioni prodotte da organismi internazionali come l’Oms, consultato esperti di salute materno-infantile. Con il supporto degli uffici di Aifa – spiega a Quotidiano Sanità – abbiamo predisposto un’istruttoria molto approfondita, in cui abbiamo affermato che tutti gli anticoncezionali già in commercio e utilizzati da tante donne sono estremamente efficaci e che risulta opportuno rimborsarli per tutte le donne per le quali il medico lo ritenga appropriato».
Inoltre, prosegue «non abbiamo indicato fasce di età specifiche per la rimborsabilità perché, di concerto con il Comitato prezzi e rimborso, abbiamo ritenuto che non fosse opportuno imporre limiti di questo tipo». E, sia pure con cautela, non esclude che in queste scelte il Cda potrebbe aver tenuto conto delle sensibilità politiche della maggioranza di governo. «Inutile negarlo: non è un tema neutro».
I veleni attraversano l’agenzia in un momento cruciale della sua storia. Il governo ha già deliberato la sua riforma, che vedrà il potere decisionale concentrato nelle mani del presidente e organismi tecnici ancora più deboli: invece delle attuali due commissioni, nell’Aifa di domani ci sarà un unico organismo composto da soli dieci membri che dovrà valutare sia gli aspetti medici che quelli economici di farmaci e terapie.
Non si ricorda uno scontro interno di questo livello, con gli organi tecnici dell’agenzia in così netto contrasto con il Cda. La decisione sulla pillola mette in discussione il ruolo dell’Aifa, che dovrebbe mantenersi autonoma da interessi di natura politica ed economica per vigilare sulla sicurezza e l’efficacia dei farmaci somministrati alla popolazione. E adesso anche la politica, con qualche ritardo, la invita a rispettare la sua missione.
«Lo prendiamo come un rinvio tecnico, ci aspettiamo che Aifa decida alla fine in piena autonomia», dice la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella «Siamo deluse, ovviamente, perché ci pare che nulla osti alla applicazione di questo fondamentale principio di tutela della salute riproduttiva delle donne. E non vorremmo che si andasse avanti con una situazione a macchia di leopardo: alcune regioni offrono la pillola gratis altre no, alcune la autorizzano solo a donne di una certa fascia di età».
Zanella ricorda che il primo governo guidato da una donna ha scelto di lavarsene le mani. «Ha la sua responsabilità il governo che non ha detto chiaramente che metterà a disposizione i 140 milioni necessari», la cifra che secondo i tecnici Aifa basta a garantire che la pillola sia distribuita gratuitamente.
Di «scelta politica e non scientifica» parla la deputata Pd Ilenia Malavasi. «Dispiace che un organismo che dovrebbe essere terzo si sia piegato ai desiderata di un esecutivo ultra conservatore che non ha a cuore i diritti civili. L’ennesimo schiaffo alle donne». «Purtroppo avevamo ragione: non basta la prima donna premier per avere un governo amico delle donne, anzi. Sta succedendo l’esatto contrario» le fa eco la collega Valeria Valente.
Gilda Sportiello, deputata M5S, ricorda che la pillola è già gratuita in 13 Paesi dell’Ue e dovrebbe esserlo in sei regioni italiane e sottolinea l’impatto sociale della mancata gratuità. «L’assenza di politiche nazionali che garantiscano l’accessibilità alla contraccezione acuisce i divari sociali ed economici tra le donne del nostro Paese, non tutela la salute riproduttiva e sessuale e non garantisce il diritto all’autodeterminazione».
Secondo il rapporto OsMed, le donne spendono circa 250 milioni l’anno per acquistare contraccettivi orali, la metà dei quali per i cosiddetti prodotti «estroprogestinici» di quarta generazione. Non è detto che ci sia stato bisogno di un intervento dall’alto per bloccare la pillola gratuita. Potrebbe trattarsi, afferma il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni Marco Cappato , «di una semplice autocensura per accondiscendere all’impostazione ideologica del governo». E annuncia una raccolta firme da inviare al Parlamento.
ANDREA CAPOCCI
Foto di MART PRODUCTION