C’è stato un tempo in cui gli autori denunciavano e lottavano contro ogni forma di censura: quella cinematografica, quella della Rai, quella delle grandi case editrici. Un tempo in cui i giornalisti denunciavano e lottavano contro tutte le censure.
Un tempo in cui i sindacati dei giornalisti, dei dipendenti Rai, dei lavoratori dello spettacolo organizzavano manifestazioni e scioperi contro ogni forma di censura.
Un tempo in cui un grande e plurale movimento democratico portò ad una riforma che rivoluzionava il servizio pubblico radiotelevisivo iniziando col sottrarlo al controllo del governo per condurlo sotto quello del Parlamento che diventava il garante dell’indipendenza, obiettività
Un tempo in cui i Presidenti della Rai venivano scelti tra intellettuali quali Paolo Grassi, Sergio Zavoli, Walter Pedullà, Enzo Siciliano, Roberto Zaccaria, per citarne solo alcuni.
Oggi è un tempo in cui grazie al Pd e al suo, allora, segretario Renzi e nel silenzio generale (degli autori, dei sindacati, dei giornalisti, dei dipendenti Rai, dei partiti presenti in Parlamento) la Rai è tornata sotto il controllo del governo, il che rende “normale” e “legittimo” che sia solo il governo in carica a decidere le nomine di chi deve gestire la più grande azienda pubblica di produzione di senso.
Con quella riforma è il ministero dell’Economia a scegliere un amministratore delegato, non un semplice direttore generale, che ha le mani libere sulle nomine (con l’eccezione dei direttori giornalistici) e sui contratti fino a 10 milioni. Su queste nomine il nuovo Amministratore delegato con i super poteri deve consultare il cda, che però non può bocciarle.
Così dal 2015 tutti i governi in carica hanno cambiato i vertici della Rai e così è “autorizzato” a fare il nuovo governo di destra. E così sta facendo.
Forse oggi dovrebbe essere il tempo in cui il Partito democratico e la sua nuova Segretaria oltre che scandalizzarsi delle nomine dovrebbe fare una seria autocritica per aver promulgato leggi che quelle nomine e quelle censure consentono, per non parlare di quelle contro i diritti dei lavoratori.
Forse oggi dovrebbe essere il tempo in cui un Amministratore delegato – nominato da Draghi, non si dimette un anno prima della scadenza lasciando libertà di manovra alla destra, ma porta a termine il suo incarico a garanzia dell’autonomia del servizio pubblico radiotelevisivo.
E oggi dovrebbe essere il tempo in cui un conduttore con un potere contrattuale come quello di Fabio Fazio, proprio perché non è persona “per tutte le stagioni” come dichiara, invece di chiudere in sordina un contratto probabilmente milionario con una azienda privata lasciando libero lo spazio “pubblico” da lui occupato, avrebbe dovuto continuare il suo lavoro – pagato profumatamente – e costringere il governo di destra ad esporsi e a cacciarlo.
E magari lottare contro chi lo vuole mandare via. Una ragazza licenziata per il colore dei suoi capelli ha avuto il coraggio di farlo. Fazio?
Non è allora oggi il tempo delle lotte, individuali e collettive, di organizzare per esempio uno sciopero dei giornalisti e dei lavoratori della Rai? Se si vuole realmente sottrarre la Rai all’ingerenza dei partiti si cambino criteri e modalità delle nomine: per concorso pubblico, su curricula pubblici, su progetti editoriali pubblici, su nomi proposti dalle forze sociali, culturali, professionali e produttive.
Oggi è il tempo di lavorare a costruire un nuovo movimento riformatore che sottragga la Rai dal governo e restituisca al servizio pubblico il suo ruolo fondamentale di dare voce e volto a tutte le realtà sociali, culturali, economiche e politiche di questo paese.
STEANIA BRAI
Resp. Cultura, Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea
15 maggio 2023
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