Nell’attuale destabilizzazione globale, in questa ridefinizione dei confini degli imperialismi ad est ed ovest, il caso cinese è sempre molto interessante da analizzare. Ieri come oggi, dagli anni ’70 e ’80 ad oggi, Pechino è una singolarità sociale, politica, istituzionale ed economica ovviamente.
In mezzo ad un liberismo che eccede sé stesso e trascina il capitalismo novecentesco in una nuova contesa mondiale, di cui la guerra in Ucraina è soltanto l’ultima carta cinica da giocare sulla pelle di uno e più popoli, e, parimenti, ad un emergere di oligarchisimi ed autoritarismi di ogni sorta, la Cina di Xi Jinping pare mettersi oggi in una condizione di competizione frontale con gli Stati Uniti d’America, nonostante gli abboccamenti per alleggerire le tensioni internazionali e reciproche non siano mancati di certo.
La visita prevista del Segretario di Stato USA Blinken nella capitale del dragone è stata annullata. Il volo del pallone – sonda – spia che ha, pare, percorso una traiettoria dal sud della Cina fino al mare di Barents per, poi, piombare sul Montana e infine essere abbattuto in pieno oceano, ha creato i presupposti per l’esacerbazione di una nuova tensione tra le due superpotenze.
Un po’ a tutte e tutti è venuto l’amletico dubbio: ma diavolaccio, con tutte le tecnologie satellitari che esistono oggi, con Google Maps che riesce persino ad inquadrare le targhe piccole delle moto di ogni città, con le migliaia di stazioni che si trovano lassù a centinaia di chilometri di distanza dalla Terra, serve davvero un evidentissimo pallone bianco per spiare le installazioni dei missili atomici della Repubblica stellata?
Con la tipica ossessione, tutta americana, per le invasioni extraterresti, forse i cinesi si saranno detti che quegli scriteriati degli yankee avrebbero scambiato il tondeggiante spione volante per un UFO o qualcosa di simile… Non esiste altra spiegazione possibile per una smargiassata di questo tipo, perché ogni altra illazione sui motivi che avrebbero spinto ad agire in questo modo sono, francamente, molto più avvilenti e degradanti. Per primi proprio per una potenza come quella di Pechino.
Parliamo di un paese che ha conosciuto nel corso di quarant’anni una accelerazione economica impressionate: soltanto nei primi anni ’80, se si leggevano i report del Fondo Monetario Internazionale o le relazioni accurate della Banca Mondiale, la condizione di povertà della popolazione cinese era grandemente preoccupante.
Più di 850 milioni di abitanti del paese dei Ming e di Mao era in condizioni davvero di indigenza quotidiana. La vita nelle campagne differiva da quella delle grandi città per una arretratezza ovviamente agricola, mentre gli effetti della stagnazione economica si facevano sentire nella crisi dell’urbanizzazione e nella contrazione della domanda interna.
Economisti e storici dell’economia riportano con grande dovizia di particolari la complessità del sistema cinese e la sua capacità di adattamento ai tempi rimanendo, nonostante le doverose critiche ad un sistema che si è pervertito con i peggiori istinti del capitalismo moderno, a conduzione politica “comunista“, formalmente tale ma praticamente inserito in un regime di economia mista che ha, a partire dalle ultime decadi del Novecento, innovato sé stesso accelerando su un ricorso alla concorrenzialità fra le aziende estere che venivano a produrre a sempre più bassi costi proprio all’ombra della Grande Muraglia.
Quegli 850 milioni di poveri che i principali grandi istituti di conservazione del capitalismo mondiale registravano nella Cina della crisi economica asiatica, mentre il Giappone, Taiwan e persino Hong Kong fiorivano tutto attorno e divenivano i paladini dell’espansione liberista, si ridussero in modo impressionante alle soglie del nuovo millennio.
Tanto che a cavallo tra il 2000 e il 2010 era proprio la Banca Mondiale a riportare l’avanzata economica impetuosa di una Cina che, grazie all’apertura al mercato, pur mantenendosi ideologicamente marxista e istituzionalmente e politicamente comunista, poteva dire di aver ridotto il numero dei poveri a poco più di 40 milioni di persone.
Una simile capacità di recupero sociale non è riscontrabile in nessun altro contesto di sviluppo interno (ed esterno) di un qualunque Stato, di una qualunque comunità organizzata di questo povero mondo.
La svolta politica ed economica impressa da Xi Jinping alla fine degli anni ’90 ha escluso che si potesse trasformare la Repubblica Popolare Cinese in una democrazia moderna: ha, praticamente, sancito l’impossibile coniugazione tra la necessità impellente di un recupero esclusivamente sociale del paese e la progressiva uscita da un regime ben più che oligarchico, dalla dittatura del partito unico, dal ferreo militarismo imposto come misura di contenimento delle spinte autonomiste nel Qinghai e nel Tibet.
La crisi internazionale su una Taiwan considerata parte integrante della Cina stessa non ha permesso al governo di Pechino rilassamenti sul terreno dei diritti civili, mentre l’apertura al mercato e alla voracità della concorrenza tra aziende americane, europee e cinesi stesse consentiva un livello di sfruttamento della forza lavoro non certo compatibile con una idea di società che si rivolga alla propensione libertaria del marxismo e al futuro del socialismo nel mondo.
Proprio queste contraddizioni hanno consentito a Pechino di essere il niente di un comunismo inesistente in un tutto di un capitalismo sempre più emergente. E proprio per questo il ruolo della Cina nella complessità dei tempi di oggi è più che mai rilevante e nulla può essere visto, analizzato, prospettato e anche solo immaginato senza tenere conto che, al di là del nostro mondo “occidentale” c’è un gigante che mostra – come l’Inghilterra dell’800 mostrava alle altre nazioni – come sarà la società del futuro, come potrebbe essere anche una sorta di “capitalismo sostenibile” o di “socialismo capitalistizzato“.
Tornando all’oggi, appare oggettivamente molto curioso che il pallone – spia sia davvero il metodo di raccolta di informazioni sui tatticismi e le strategie nucleari degli USA da parte cinese: esistono, per una economia così consolidata e così concorrenziale col resto del pianeta (non solo con la Repubblica stellata…), mille modi diversi, attraverso tecnologie avanzatissime, per ottenere quello che oggi si dice quel tondeggiante bianco grande oggetto volante dovesse riportare al drago rosso.
Washington accusa, Pechino non nega, ma neppure afferma. Si alza il livello dello scontro proprio mentre la primavera ai affaccia su una Europa in cui la guerra prenderà un nuovo corso: le truppe russe vengono ammassate nelle zone ucraine occupate e si rinforzano i battaglioni, si fa del terreno la nuova fase delle operazioni militari. Dall’artiglieria e dai bombardamenti è probabile che si passi alla ripresa dell’avanzata al centro, al cuore dell’Ucraina, ai confini col Dnepr.
Il pallone – spia pare, tra i chiaroscuri di tutti questi avvenimenti, un pretesto per esagitare gli animi, per confondere le carte e, più che una azione di spionaggio intercontinentale, somiglia molto ad una provocazione. Non si sa bene da quale parte arrivi per prima, ma di sicuro il primo effetto lo ha avuto: se Blinken cercava un pretesto per evitare la visita in Cina lo ha avuto. Se lo cercavano i cinesi, hanno ottenuto lo stesso pure loro.
La conclusione che, almeno per ora, se ne può trarre, dando uno sguardo globale a tutto questo incredibile scambio di finzioni diplomatiche e furoreggiare di attività belliche, è che Cina e Russia si avvicinano, USA e Cina si allontanano. Ma per ora. Soltanto per ora. Cosa riservi l’immediato futuro è un mistero. Un mistero magari legato a qualche altro stratagemma fluttuante nell’aria per migliaia e migliaia di chilometri.
MARCO SFERINI
5 febbraio 2023
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