Judy Batalion e la memoria ritrovata delle combattenti

Alla vigilia del 27 gennaio parla la studiosa canadese autrice di «Figlie della Resistenza», edito da Mondadori. La storia dimenticata di migliaia di giovani ebree che lottarono contro i nazisti nei ghetti della Polonia. «Pianificavano rivolte, nascondevano revolver nei pelouche, spiegavano cosa accadeva nei lager: la loro eredità di audacia e passione»
I documenti contraffatti con cui Vladka Meed, una delle combattenti la cui vita è raccontata in "Figlie della Resistenza", circolava nella Polonia occupata dai nazisti sotto il falso nome di Stanislawa Wachalska, 1943

Diverse centinaia, probabilmente addirittura migliaia. Le donne ebree, spesso anche giovanissime che nella Polonia occupata dai nazisti scelsero di combattere furono non solo numerose, ma offrirono un contributo spesso determinante alla coesione e alla lotta delle comunità minacciate.

Eppure, la storia che Judy Batalion, nata e cresciuta a Montréal in una famiglia di ebrei polacchi sopravvissuti alla Shoah, ha scelto di raccontare è in larga parte inedita.

In Figlie della resistenza (Mondadori, pp. 576, euro 25, traduzione di Giuliana Lupi), la studiosa canadese che ha lavorato a questa ricerca per più di dieci anni, dà infatti voce a vicende cadute perlopiù nell’oblio, rintracciando il percorso di alcune di queste combattenti e seguendone la storia, spesso fino alla morte per mano dei nazisti, in altri casi verso l’emigrazione in Palestina o negli Stati Uniti.

Appartenenti ai movimenti giovanili sionisti socialisti o al Bund, queste «ragazze del ghetto» fecero parte della Resistenza in oltre novanta «centri» ebraici, mentre solo a Varsavia, nell’insurrezione del ghetto, tra l’aprile e il maggio del 1943, si calcola che oltre un terzo dei combattenti fossero donne.

Dopo la guerra, di fronte alla tragedia del popolo ebraico, alla morte di milioni di individui e alla scomparsa di un’intera cultura dall’Europa centro-orientale l’eroismo di queste donne passò spesso in secondo piano, mentre in Israele si tenderà a privilegiare la narrazione di un «nuovo inizio» rispetto a quanto accaduto nel Vecchio continente durante la Shoah.

Anche in questo senso, come sottolinea la stessa autrice, il volume di Batalion risulta prezioso non solo nel riportare alla luce vicende a lungo dimenticate, ma anche nella ricerca di una nuova consapevolezza sulle scelte di quelle donne e delle loro eredi.

Nel libro lei segue il percorso di alcune delle giovani ebree che combatterono contro i nazisti nella Polonia occupata. Come è nata e si è sviluppata questa ricerca durata un decennio?

Quindici anni fa vivevo a Londra e stavo esplorando la mia identità ebraica. Sono la nipote di sopravvissuti polacchi all’Olocausto e stavo analizzando ciò che chiamo «l’eredità emotiva» della Shoah: il modo in cui il trauma scorre attraverso le generazioni. Sono una persona ansiosa e per la prima volta mi sono chiesta quanto di questo avesse a che fare con il mio background familiare.
Questa eredità ha modellato il modo in cui percepisco e reagisco alle minacce quotidiane? Perciò ho deciso di scrivere di donne ebree forti che hanno affrontato il pericolo. La prima donna che mi è venuta in mente, ne avevo studiato la vita in quinta elementare, era Hanna Senesh, una giovane poetessa ungherese trasferitasi in Palestina negli anni Trenta che durante la Seconda guerra mondiale si era unita alle forze alleate, diventando una paracadutista e offrendosi volontaria per tornare nell’Europa occupata dai nazisti.
È stata catturata, ma la leggenda vuole che abbia guardato negli occhi il suo carnefice quando le ha sparato; era il simbolo del coraggio ebraico, un’eroina. Ma non volevo solo sapere del suo eroismo, bensì capire la persona. Chi erano le donne che avevano scelto di combattere i nazisti, cosa aveva motivato tanta audacia, coraggio e convinzione?

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GUIDO CALDIRON

da il manifesto.it

Foto: screenshot – particolare dei documenti contraffatti con cui Vladka Meed, una delle combattenti la cui vita è raccontata in “Figlie della Resistenza”, circolava nella Polonia occupata dai nazisti sotto il falso nome di Stanislawa Wachalska, 1943 United States Holocaust Memorial Museum)

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Resistenze

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