Tra i duecento emendamenti alla legge di bilancio segnalati dalla maggioranza nella quinta commissione alla Camera ce ne sono almeno tre utili per capire come il «reddito di cittadinanza» sarà fatto a pezzi e ripensato, in attesa del suo ripensamento.

Il primo emendamento è stato presentato da una delle gambe della maggioranza, «Noi Moderati» di Maurizio Lupi che intende togliere il sussidio agli «occupabili» dopo sei mesi e non più otto come sostiene il governo Meloni. Inoltre si cerca di eliminare l’astratto concetto di «offerta congrua di lavoro» togliendo la parola «congrua».

Nella prospettiva improbabile di un lavoro questo significherebbe che i beneficiari del «reddito» sarebbero costretti ad accettarlo anche a mille chilometri di distanza dalla residenza con paghe da fame e contratti precari. Dal canto suo il governo taglierà il numero delle offerte da due a una. Chi non l’accetta, perderà il sussidio teoricamente prima di agosto quando sarà abolito per gli «occupabili». È una prospettiva prevedibile già da quando i Cinque Stelle con la Lega hanno collegato il «reddito» alle offerte di lavoro.

Un altro colpo basso ai beneficiari potrebbe arrivare dall’emendamento che prevede l’erogazione del contributo all’affitto direttamente al proprietario di casa. Chi riceve il reddito dovrebbe comunicare i dati del locatore alle autorità. Apparentemente si tratta di una diversa declinazione della misura esistente, in realtà si tratta della negazione dell’autonomia dei beneficiari già ristretta dai paletti posti dal governo Conte 1 che impone, tra l’altro, di spendere l’imposto del «reddito» entro il mese.

La norma è una di quelle che nega la possibilità a chi è in difficoltà di risparmiare e gestire spese impreviste che possono rendere la vita ancora più difficile a chi è in condizioni di necessità.

Tra gli emendamenti che tendono a controllare e disciplinare i «poveri» ci potrebbe essere anche quella sbandierata dall’ideologo del governo, il ministro «dell’Istruzione e del Merito» Giuseppe Valditara. La Lega ne ha presentato uno che lega il «reddito» all’iscrizione e alla frequenza di un percorso di studi almeno triennale per i beneficiari del «reddito» tra i 18 e i 29 anni che non lavorano, né studiano (i cosiddetti «Neet»).

Giovani disoccupati e precari, che cercano di integrare salari irrisori e intermittenti, per lo più costretti a vivere nell’economia informale, subirebbero gli effetti di un uso sanzionatorio o ritorsivo di uno strumento che, per loro, terminerà comunque ad agosto.

Dal pacchetto emendamenti è spuntato uno firmato dai capi gruppo di maggioranza e opposizioni che deroga al Jobs Act e chiede la sospensione dei vincoli ai contratti a tempo determinato per i dipendenti di gruppi parlamentari e consiliari. Tra quelli presentati dalle opposizioni (250) c’è quello dei Cinque Stelle che prova a salvare 5 mila assegnisti di ricerca che rischiano di essere espulsi dalle università a causa dell’applicazione delle nuove norme sulle assunzioni.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ripresasi dalla febbre, ieri ha riaperto il suo «diario» virtuale. E ha ribadito, in primo luogo, che il «bonus cultura» per i diciottenni sarà rimodulato in base all’Isee familiare, non ancora precisato il tetto (25 mila euro?).

Il tutto per evitare «truffe» che rappresentano una percentuale infinitesimale. Prospettiva contestata da tutta l’industria del libro in un comunicato congiunto con i sindacati: «Legare la carta cultura al reddito, cancellarne il carattere universale, vuol dire svilirne la natura di sprone alla partecipazione». Meloni ha cercato anche di riorientare, e sminuire, il senso delle dure contestazioni all’impianto della legge di bilancio fatte dalla Banca d’Italia in un’audizione la settimana scorsa. Meloni ha ridotto le critiche solo al Pos («Togliere le commissioni sarebbe incostituzionale», al «tetto del contante» e alla «Flat Tax».

E le ha pure equivocate. Sul Pos Fabrizio Balassone, capo del servizio della struttura economica di Bankitalia, ha detto che «il costo del contante in percentuale dell’importo della transazione è superiore a quello delle carte di debito e credito». Sul taglio del «reddito di cittadinanza» nella prospettiva di un aumento della povertà nel 2023 quando l’economia rallenterà rischiando inflazione e recessione.

Sulla «Flat tax» Balassone ha visto il rischio di «trattare in modo ingiustificatamente dissimile individui con la stessa capacità contributiva». Ci sarà una discriminazione tra i dipendenti e le partite Iva. E tra le partite Iva medio-ricche e quelle proletarizzate.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

Foto di Nataliya Vaitkevich