Letta non aspetta neppure che il governo presenti la legge di bilancio. Convoca per il 17 dicembre una manifestazione contro la «iniqua manovra». Si tratta di bruciare sul tempo Conte.
Ma il leader dei 5S ha tutti i motivi per protestare perché l’attacco al reddito di cittadinanza c’è davvero. Le motivazioni dell’ancora segretario del Pd sono meno chiare: la manovra che di lì a poco la premier, attorniata da tutti i ministri competenti, presenterà non si discosta dalla famosa «agenda Draghi». Ci si avvicina anzi tanto da accreditare le voci secondo cui qualche consiglio l’ex premier l’avrebbe dispensato.
In apertura Meloni ripete più volte che si tratta di «una manovra politica», cioè che si è scelto cosa privilegiare sulla base di criteri politici. È anche un modo di mettere le mani avanti: se la sostanza è poca le indicazioni politiche suppliscono, dicono non cosa il governo ha fatto ma cosa promette di fare.
Le cifre della legge varata nella notte senza scosse e la premier ci tiene a segnalarlo sono note: 35 miliardi, 21 dei quali servono a contrastare il caro bollette. È una scelta non politica ma obbligata e indica ben poco. Giorgia rivendica di aver portato da 12 a 15mila euro il tetto per i bonus famiglia e allo stesso tempo non rinnova il taglio delle accise sulla benzina. I poverissimi ci guadagnano qualcosina, la media dei consumatori ci perde.
I crediti d’imposta passano dal 30 al 35% per tutte le aziende, dal 40 al 45% per le energivore. La tassa sugli extraprofitti sale al 35%, meglio del 25% del governo Draghi ma sempre troppo poco per chi ha lucrato milioni di euro sulla pelle degli altri. Comunque la legge non si scosta dal solco tracciato da Mario Draghi anche se fa passetti un po’ più decisi. Basterà? Sì e no fino ad aprile.
È una pezza, non una soluzione. Il dilemma si ripresenterà fra pochi mesi e la sola strategia di cui il governo dispone per il momento è il pellegrinaggio a Bruxelles: «Potrebbe esserci un nuovo fondo Sure ma si potrebbero anche applicare con maggiore flessibilità gli strumenti già esistenti come i fondi di coesione». Speriamo bene.
L’innovazione principale, oggetto di trattativa serrata con Fi, è la detassazione completa delle nuove assunzioni o delle stabilizzazioni di giovani under 36, donne e percettori di reddito di cittadinanza. La voce entrata all’ultimo momento corrobora un po’ il deludente taglio del cuneo, che resta di 2 punti per i lavoratori sino a 35mila euro a cui se ne aggiunge un altro per quelli sotto i 20mila
. Ma non era proprio Giorgia Meloni a criticare Draghi perché spalmava i fondi a disposizione invece di concentrarli sul cuneo? «Non è affatto la stessa cosa. Draghi spalmava 8 miliardi su tutto, noi abbiamo fatto del cuneo la seconda voce di spesa della manovra». Difficile immaginare giustificazione più esile.
Per le pensioni resta quota 103, 62 anni, 41 di contributi, però chi accede non potrà prendere una pensione superiore a 5 volte la minima fino ad aver raggiunto i 67 anni. La rivalutazione delle pensioni è modulata in modo da premiare le minime, con indicizzazione del 120% e penalizzare le massime fino a un minimo del 35%. Però se dalle percentuali si passa al contante l’impressione è diversa: le minime passano da 523 a 570 euro al mese, neppure i 600 euro previsti alla vigilia. I «ricchi» le cui pensioni saranno solo parzialmente rivalutate partono dai 1600 euro netti.
Nonostante sia confermato il tetto al contante portato a 5mila euro, premier e ministri sono attentissimi ad anticipare l’accusa di aiutare gli evasori. Lo scudo sarà solo per le cartelle fino a mille euro e per le inesigibili: «Gli altri pagheranno tutto, anche se con penale ridotta al 3% e a rate», tuona il viceministro Leo.
Le sole vere indicazioni politiche sono la Flat Tax e il reddito di cittadinanza. La prima è divisa in tre voci: tassa piatta incrementale per gli autonomi sul maggior utile fino a 40mila euro, tetto innalzato a 85mila euro per la Flat al 15% degli autonomi e tassazione al 5 invece che al 10% per i premi di produzione fino a 3mila euro. Nella sostanza è poco, sufficiente però per indicare con chiarezza che la riforma fiscale inaugurata ieri premierà i più ricchi e in parte, con il tetto a 85mila euro , già li premia.
Politica è anche la scelta di massacrare il reddito di cittadinanza eliminandolo dal 2024 per i 600mila occupabili che ne usufruiscono e limitandolo a 8 mesi già nel ’23 ma anche rendendo obbligatoria l’accettazione della prima offerta di lavoro pena la perdita del reddito. Significa consegnare i lavoratori più poveri al capriccio dei datori di lavoro con le mani legate. L’impianto politico e sociale è in effetti chiaramente indicato: un po’ di carità, perché a questo si riducono molte delle misure illustrate, e per il resto se bisognerà fare cassa per aiutare i ceti medi e medio alti sarà sulla loro pelle.
ANDREA COLOMBO
Foto di MART PRODUCTION