Un record, se non mondiale, sicuramente italiano per il governo Meloni: il suo primo decreto a dieci giorni dall’entrata in vigore è già all’esame della Consulta per incostituzionalità.
A sollevare la questione alla Corte costituzionale è stato il giudice Simone Spina di Siena. L’oggetto è l’articolo 6 del decreto che ha prorogato l’entrata in vigore della riforma Cartabia dal primo novembre al 31 dicembre. Ma in questo modo sono state rimandate tutta una serie di norme di garanzia (favor rei).
Fra queste anche quella che prevede come per molti reati minori si possa procedere solo dopo querela di parte e non d’ufficio. Il tutto dopo l’eccezione dell’avvocato Paolo Lorenzini, difensore di un imputato di violenza privata e danneggiamento dopo un incidente del 2019: la querela è stata ritirata e dunque il caso sarebbe stato improcedibile.
La proroga dell’entrata in vigore della riforma Cartabia è stata decisa dal governo Meloni con la motivazione che gli uffici giudiziari non erano pronti per tale cambiamento. Nell’ordinanza il giudice contesta anche «l’irragionevolezza» dell’uso di un decreto così eterogeneo dove assieme alla riforma Cartabia si è intervenuto sul carcere ostativo e contro i rave. Ora, sebbene si contesti solo l’articolo 6, la Corte costituzionale potrebbe considerare l’«incostituzionalità consequenziale» per tutto il decreto, bocciandolo in toto.
Per ovviare, il governo potrebbe intervenire nella conversione del decreto con una norma retroattiva per riportare al 1° novembre l’entrata in vigore del pacchetto favor rei ma comunque sarebbe costretto a una sanatoria.
«Colpisce che un garantista come il ministro Nordio si sia subito dimenticato di norme garantiste e abbia invece appoggiato quelle securitarie sui rave», commenta Antonello Ciervo dei Giuristi Democratici.
MASSIMO FRANCHI
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