Dopo un colpo di Stato plurimo, che lo ha destituito con infamanti accuse di corruzione, dopo la fine della presidenza di Dilma Rousseff e, ancora, dopo (si spera) il quadriennato bolsonariano fatto di una caterva di false notizie, di inganni e infingimenti di massa, di repressioni e ghettizzazioni, di sdoganamento dei peggiori, retrivi sentimenti di rabbia egoistica e l’elevazione delle classi dirigenti imprenditoriali ad unica potenza economica del Paese, oggi Lula ha la possibilità di lasciare alle proprie spalle ed a quelle dell’intero Brasile una storia di diritti negletti, di scivolamento sempre più inquietante della società verso un classismo prevaricatore, militarista, xenofobo e criminale.
Jair Bolsonaro, insieme a Donald Trump, ha rappresentato in questi anni forse il peggio della destra ultraconservastrice, sostenuta dai ricchissimi, da una chiesa evangelica fanaticamente tradizionalista, esclusivista, sorpassata in quanto a timide espressioni progressiste persino da quella cattolica.
Con Bolsonaro non sono soltanto venuti sempre meno i diritti e le garanzie per il mondo del lavoro, per quello dell’indigenza e della miseria più totale che regna nelle favelas; con lui sono avanzati i privilegi di vere e proprie caste di potere all’interno della classe dominante. La deforestazione dell’Amazzonia è arrivata a livelli mai visti, mentre sotto la presidenza di Lula aveva conosciuto un costante, progressivo rallentamento nel rispetto dell’ambiente e, quindi, anche dei nativi indigeni che la abitano. Un rapporto che Bolsonaro ha cancellato, innescando una lotta contro tutte e tutti coloro che erano differenti dai coloniali.
C’è chi sostiene – prove alla mano – che il presidente abbia usato persino la pandemia da Covid-19 per falcidiare queste comunità e che, quindi, il governo stesso abbia volutamente diffettato nella tutela sanitaria, così da aumentare i decessi proprio tra coloro che erano visti come una minaccia per l’unità e l’integrità della popolazione bianca, di origine portoghese.
Una origine che, ormai, si perde nei secoli, ma che viene rivendicata come legame con una stirpe superiore a cui debbono poter appartnere diritti maggiori rispetto ad altre fasce sociali che sono considerate “oggettivamente” di serie B e, quindi, come tali da trattare nel rapporto diseguale che ne consegue.
Dopo la fine delle presidenze legate al Partido dos Trabalhadores, il Brasile ha potuto essere profondamente edotto sul carattere “rivoluzionario” di una reazione conservatrice di destra, neofascista nel senso più brutale del termine: una sinergia di sovranismo e militarismo, nazionalismo e razzismo, il tutto legato ad una difesa, sempre in prima istanza, dei privilegi del mondo imprenditoriale, dell’aristocrazia finanziaria moderna, delle alte sfere di chiese, culti e associazioni che inneggiano alla vita da tutelare fin dal suo più sottile stato embrionale, per poi negarla un attimo dopo se questa vita è nera, magari lesbica e magari anche di sinistra.
Le denunce delle repressioni poliziesche volute dal governo di Bolsonaro nelle favelas, sono costate la vita a Marielle Franco, sociologa e consigliera comunale a Rio de Janeiro per il Partido Socialismo e Liberdade: un assassinio brutale, veramente degno della peggiore ferocia degli squadroni della morte che, già dagli anni ’70 e ’80, imperversavano nelle zone più depresse delle grandi aree urbane del paese per depredarle delle giovani vite e farne commercio di organi da destinare al civile primo mondo…
Nessuno ancora oggi può dire chi sia stato il mandante di quell’omicidio. Ma, di sicuro, il clima di odio e la diffusione indiscriminata di armi voluta dal presidente, non hanno certo frenato le pulsioni più rabbiose legate ad una montagna di pregiudizi cresciuti sulla scorta di una serie incontrollata di falsità che hanno fatto del Brasile uno dei paesi al mondo in cui il tasso di mortalità degli oppositori politici è tra i più alti in assoluto.
Se Lula vincerà al primo turno, la sua determinazione politica sul ripristino pieno della democrazia potrà contare su un sostegno popolare ampio e già consolidato.
Se, invece, vi sarà il ballottaggio con Bolsonaro a fine mese, quello cui è possibile assistere è un acutizzarsi dei fronti opposti, un esacerbarsi degli animi e una vittoria ad un secondo tempo non certo di minore importanza rispetto al primo, ma più complicata nel suo utilizzo politico immantinente, per rilanciare un piano di riforme che archivino la stagione repressiva, militarista e bigotta delle destre estreme.
Benché il PT sia sceso spesso a patti con forze che potremmo definire “borghesi“, benchè lo stia facendo anche in queste elezioni con l’alleanza stretta da Lula con Geraldo Alckmin e il suo centrista Partido da Social Democracia Brasileira, è del tutto evidente che se lo Stato carioca ha una possibilità di redimersi dal periodo di ottusità destroide e retrocessione economica in seno alla crisi globale di un liberismo che smania per farsi largo ovunque, a discapito della povera gente, questa la ha con la coalizione di Lula e con tutte le contraddizioni che si porta appresso.
Alckmin viene ricordato a San Paolo come colui che non disdegnava l’utilizzo della polizia contro i cortei e le manifestazioni o, anche e soprattutto, gli scioperi operai. Ma oggi, a leggere le lunghe interviste dei commentatori che vivono la realtà del bolsonarismo da molto, troppo tempo, ogni “campo largo” è qui necessario per andare oltre l’illegalità, l’immoralità, la degenerazione autoritaria di Bolsonaro.
Fa ben sperare il numero di iscritti al voto, soprattutto in giovane età. Fa ben sperare che, almeno per il momento, si metta avanti a tutto la sconfitta di quel liberalismo finto del “centrão” che è un grumo di potere coagulato da interessi privati che si sono imposti, in questo modo, su qualunque interesse pubblico.
La premessa, per poter parlare di nuovo di diritti sociali e civili, per poter rimettere in campo una stagione di sviluppo economico legato a quello di tutto il paese, è la vittoria di Lula, la messa all’angolo di una destra ispirata da Bannon nel proporsi come la soluzione semplice a problematiche invece di una complessità indipanabile con promesse, proclami e toni populisti.
L’internazionale nera va da una sponda all’altra dell’oceano e non risparmia nessuna nazione. Nemmeno quelle che possono vantare una Costituzione robusta e solida, rigida nella propria autodifesa.
C’è un filo nemmeno poi così tanto sottile che lega il bolsonarismo al trumpismo nordamericano e, da qui, passa nell’Europa dei neonazi-onalisti e conservatori alla Le Pen, Orbàn e Meloni. Non si tratta solamente di un legame ideale o ideologico, che pure esiste e fa proseliti. Si tratta di una visione congiunta per affermare un potere discrezionale che appaia formalmente tale e che, invece, diventi un abuso del medesimo. E questo sempre a svantaggio delle assemblee elettive e mai dei governi.
La destra punta alla conquista delle maggioranze per ridimensionare il ruolo della partecipazione democratica: prima di tutto nei parlamenti e poi, di riflesso, nel contenimento delle critiche e dei movimenti di opposizione nelle piazze. Il piano è quello di un’affermazione di un conservatorismo che, dopo aver utilizzato la distorsione del linguaggio, pervertito in strepiti e urla da mero comizio, si mostri istituzionalmente presentantabile per quei poteri economici che non amano le guerre civili ma la pace sociale, il compromesso prima e la compromissione politica poi.
Tutto questo per dire che quello che è avvenuto in Brasile potrebbe accadere in Italia con il futuro governo Meloni? Chissà… Certo, i continenti sono diversi, gli ambienti sociali, economici e politici pure. Ma “dio, patria e famiglia” invocava Bolsonaro quattro anni fa, al pari di quei neofranchisti di Vox in Spagna e dei sovranisti di casa nostra…
Dunque, a Lula e al Brasile auguriamo di vincere e di avere nuovamente delle istituzioni pubbliche, democratiche, laburisteggianti ed ecologiche. Per quanto ci riguarda, sarebbe bene non stare troppo alla finestra ad attendere quello che avverrà. Potrebbe sempre essere peggiore di quel che, anche lontanamente, possiamo oggi immaginare.
MARCO SFERINI
2 ottobre 2022