Unione Popolare punti alla formazione del “polo progressista”

Unione Popolare è un azzardo. Un giusto, necessario azzardo. La sinistra di alternativa non è riuscita a coalizzarsi in un polo progressista che facesse da quarto incomodo nella competizione...
Luigi de Magistris

Unione Popolare è un azzardo. Un giusto, necessario azzardo. La sinistra di alternativa non è riuscita a coalizzarsi in un polo progressista che facesse da quarto incomodo nella competizione elettorale di settembre.

Quell’unità programmatica e di intenti che poteva realizzarsi attorno ad un asse formato da Cinquestelle di nuovo corso contiano, Sinistra Italiana, Verdi e, per l’appunto, UP, non è stata presa in considerazione nemmeno dopo i tanti appelli che da “il manifesto”, da settori della cultura, del costituzionalismo e dell’associazionismo in difesa della Costituzione, si sono levati per chiamare alla rappresentanza di una grande fetta di popolazione senza patria politica, senza riferimento anche soltanto simbolicamente ideologico.

Si potrà recuperare l’errore dopo il voto. Ammesso che anche Unione Popolare riesca a superare l’asticella del 3% dei voti per poter entrare in Parlamento, dopo aver davvero fatto uno sforzo enorme, eppure sempre così generoso da parte delle compagne e dei compagni che vi si sono impegnati in un mese di agosto pieno di imprevisti e di calura asfissiante, nella raccolta delle oltre 40.000 firme necessarie per potersi iscrivere alla gara del voto.

Questa volta le differenze tra le forze di quello che deve essere molto di più di un richiamo alla disperazione politica, di un mero cartello elettorale tanto per oltrepassare la data del 25 settembre, non si sono fatte sentire più di tanto. Anzi, per niente. Le discussioni interne sono il sale non solo della democrazia, ma un opportunissimo anticorpo che può preservare da futuribili lacerazioni. Meglio proseguire nella chiarezza subito, piuttosto che trascinarsi appresso per un mese problematiche mai veramente risolte.

Omen nomen, Unione Popolare è oggi quello che pretende di essere immediatamente domani, prima di subito: una unità tra forze politiche che convengono su una medesima critica senza appello del capitalismo e del liberismo, su una rivendicazione di giustizia sociale che guarda alla pace come fondamento strutturale di una società dove non prevalgano le aggressioni imperialiste tanto dell’Est quanto dell’Ovest, su uno stretto, sincretico rapporto tra lavoro, ricchezza sociale, beni comuni e ambiente da tutelare nella rivalorizzazione del patrimonio nazionale entro una cornice più ampia di globalizzazione dei diritti di tutti gli esseri viventi.

Da unità politica ad unità sociale, il passo è relativamente breve se veramente si vuole fare del progetto qualcosa che prescinda dal risultato del 25 settembre: non potrebbe altrimenti trovare spazio una rigenerazione culturale e sociale della sinistra di alternativa se puntassimo tutto, esclusivamente tutto, sulle percentuali da superare per rientrare nelle Camere.

Eppure risedere in Parlamento è un passo non più rimandabile, perché oltre ad una soddisfazione psico-politica, ad un ricrescere della speranza e della passione energetica che le viaggia appresso, c’è la necessità della rappresentanza di istanze sociali che altrimenti nessuno porterebbe all’attenzione tanto della maggioranza quanto delle opposizioni che si formeranno.

Le proposte programmatiche che Unione Popolare mette in questa campagna elettorale sono tutt’altro che inapplicabili, improponibili per le congiunture economico-sociali in cui sopravviviamo.

Proprio per questo, devono essere il collante di una rinnovata critica antiliberista, di una formulazione compiuta di una nuova ideologia socialista, comunista e comunque anticapitalista per un nuovo millennio, rappresentando l’ambizione di essere oggi il punto di partenza di una progettualità progressista di alto grado e non soltanto poche paginette scritte per un tatticismo frettoloso imposto dai giochi di una politica malsana che punta a scardinare la Costituzione in nome delle compatibilità del mercato.

Quando esigiamo un salario minimo reale di 10 euro all’ora e lo accompagniamo alla rivendicazione storica della riduzione dell’orario di lavoro (non più a 35 ma ora a 32 ore, o tempora o mores…) a parità di retribuzione, non scimmiottiamo un’altra volta l’esempio della sinistra anticapitalista francese, ma innoviamo una visione veramente alternativa di società, sapendo che viviamo sempre in un sistema economico che mira a depotenziare la forza rivendicativa dei lavoratori, che esclude il contratto collettivo nazionale dall’agenda delle trattative tra imprese e sindacati e che mette la precarietà sempre e soltanto al primo posto come pseudo-novità costante del rapporto tra classe dirigente e maestranze.

Il ruolo del salario deve essere oggi riconsiderato completamente e messo al centro di una lotta che garantisca a tutte e tutti una dignità di vita che non può essere vincolata agli indici di borsa, alle fluttuazioni della produttività e all’anarchia dei mercati. Passa proprio attraverso questa centralità del conflitto plurisecolare, ma sempre nuovo e sempre attuale, tra capitale e lavoro la fisiognomica di una sinistra moderna che Unione Popolare può essere sia nel Parlamento sia nel Paese reale.

Noi dovremmo considerare le elezioni un momento essenziale per la vita democratica della Repubblica, sapendo che torneranno ad essere anche una forma di espressione sociale soltanto se gli elettori potranno votare per forze politiche che ne rappresenteranno veramente gli interessi di classe entro le aule parlamentari.

Le cattive abitudini cui ci siamo un po’ tutti uniformati, volenti o nolenti, nell’assistere al triste, mesto e patetico spettacolo del balletto di alleanze e di grandi ammucchiate messe lì alla bisogna della tutela dei grandi privilegi economici, devono lasciare il passo ad una innovazione della politica italiana che deve avere tra i suoi nuovi genitori anche la ripresa di un lavoro edificante, ricostituente e rifondante della cultura sociale, civile e morale dell’intero Paese.

Senza una idea, senza una ideologia, senza quindi una chiara distinzione tra noi e tutti coloro che invece abbracciano la teorizzazione pratica del liberismo nostrano, non può esservi veramente un inizio per nessun progetto politico e tutto rimarrà nel solco della rassegnazione disperata di raffazzonati e bislacchi assemblaggi di microcreature resistenti solo per sé stesse.

Questa impostazione settaria la dobbiamo scardinare, contro tutto e contro tutti. Contro, in particolare, noi stessi, che siamo sovente i peggiori nemici dei progetti che – ne va dato atto – con una ostinazione quasi maniacale e una cocciutaggine non riscontrabile altrove, hanno una potenzialità che, il più delle volte, viene mortificata dagli insuccessi elettorali.

Andiamo ben oltre tutto questo. Pensiamo nuovamente ad una riunione comunitaria, ad una creazione di questa comunità attraverso un medesimo sentire in una pluralità di voci che riflettano su proposte unitarie magari formulate con completezza su un nuovo giornale di sinistra, su un nuovo settimanale o quotidiano che possa arrivare anche a chi non ha Internet, anche a chi non lo vuole avere, anche a chi preferisce leggere un cartaceo e discuterne al bar, nelle vecchie case del popolo, nei circoli ARCI, ANPI e nelle feste che facciamo oggi e che dovremo fare domani.

Ogni momento di aggregazione e di confronto ci è veramente indispensabile per fare di una lista elettorale un nuovo piccolo “paese nel paese“. L’importanza del web è acclarata. Eppure non ci aiuta a ritornare ad essere quella collettività che vorremo poter diventare. Per fare questo serve un partito, una forza politica con una sua organizzazione e (ri)strutturazione sui territori, capace così di contendere alle destre un primato che non si sarebbero mai sognate di avere un tempo.

Anche in questo modo si riprendono gli spazi, si ritorna ad essere più che percepibili per una popolazione che si è, più che comprensibilmente, dimenticata che esisteva, esiste e dovrà continuare ad esistere una sinistra che metta al primo posto non il governismo in relazione ad una politica di riforme di piccolo cabotaggio, ma gli interessi esclusivi del mondo del lavoro, del non-lavoro, della precarietà e di tutta quella incertezza sul futuro che oggi riguarda oltre 14 milioni di italiani.

Da qui bisogna ripartire. Da questi 14 milioni di persone, più o meno indigenti, che invece di vivere, sopravvivono e con grande fatica. La nuova cultura di Unione Popolare, la nuova azione politica che intende mettere in campo e le prove che la attendono per la riformulazione di una organizzazione politica che abbia il fermo sapore intenso della giustizia sociale, già oggi devono pensarsi come qualcosa di durevole nel tempo, perché se le destre prevarranno nella contesa elettorale, la necessità di una sinistra di alternativa sarà ancora più stringentemente impellente.

All’offensiva neocentrista e neoliberista in campo, va contrapposto un polo progressista che si ripensi come tale dopo il voto. Non archiviamo la possibilità di una convergenza con forze come i Cinquestelle, Sinistra Italiana e Verdi, che oggi corrono su piani alternativi e confliggenti. Non possiamo concederci il lusso di una presuntuosa lotta solitaria contro l’uniformità delle proposte politiche che da destra a sinistra si fanno concorrenza spietata per rappresentare la classe dirigente e dominante.

Non diamo per scontato di essere da soli. Non lo siamo e non lo dobbiamo essere. Dobbiamo contribuire al cambiamento anzitutto rientrando in Parlamento: questo è il primo presupposto per iniettare a tutte e tutti noi un po’ di fiducia perduta, per riequilibrare psicologicamente le nostre cumulate disaffezioni, rassegnazioni e allontanamenti dalla lotta, dalla militanza; ed è, ancora di più, il passo obbligato attraverso cui aprire contraddizioni nei programmi altrui, nelle coalizioni messe insieme con il nastro adesivo della infingarderia del voto utile, della governabilità necessaria, della salvezza della Costituzione con ricette già tristemente conosciute.

Non condanniamo, ma dialoghiamo, polemizziamo pure, ma teniamo aperti tutti i canali di comunicazione. Perché il blocco liberista che può saldarsi da destra al centro(sinistra) è il più grande pericolo che toccherà affrontare subito dopo il 25 settembre. Partendo dal presupposto che, con una vittoria dei sovranisti-liberisti, il quadro sociale peggiorerà e, con esso, quello dei diritti civili, di quella giustizia egualitaria che rischia di essere stravolta, partendo dalle fondamenta della Carta.

Se il polo progressista non è stato possibile realizzarlo prima e per il voto, mettiamolo in agenda per il dopo. Ma non derubrichiamolo alla voce “impossibile“, sinonimo inconscio di mancanza di volontà, di ristretta visione politico-sociale per la vicinanza della complessità autunnale che ci attende e per l’immediato, sempre più attorcigliato, futuro.

MARCO SFERINI

20 agosto 2022

foto: screenshot

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