Gli imputati di Norimberga

I crinali che separano una vallata della Storia da un’altra, nell’inesorabile proseguire del tempo, sono linee che svettano sopra gli eventi, che li racchiudono un preciso momento e che,...

I crinali che separano una vallata della Storia da un’altra, nell’inesorabile proseguire del tempo, sono linee che svettano sopra gli eventi, che li racchiudono un preciso momento e che, nonostante l’altezza a cui si elevano, non sono intercapedini inoltrepassabili, ma solo difficili da raggiungere. Per salire fino alla vetta occorre aver ben presente tutto quello che si è appena svolto e che ha determinato la fine di un’epoca e l’inizio repentino di un’altra.

Non sempre questi passaggi sono indolore. Anzi, il più delle volte si tratta di vere e proprie frantumazioni sociali, di crolli di grandi apparati statali che duravano da secoli o di sovvertimenti violenti di ordini costituiti che, talvolta, superavano i millenni.

E’ stato così, pressapoco, in tutte le evoluzioni (che almeno consideriamo tali in base al termometro di un progressismo sociale e civile che ha messo da parte vecchie ruggini classiste, xenofobe, suprematiste, schiaviste e via dicendo…); ma, per un bilanciamento quasi taoistico, per un alternarsi fra bene e male nell’eterna lotta che va oltre l’umano, è stato così pure in quelle circonvoluzioni storiche in cui si sono avvicendati periodi di ragionevolezza e dinamismo dei diritti universali a conservatorismi retrogradi inastati sulle bandiere dei totalitarismi tipicamente novecenteschi.

Pur avendo avuto solo dodici anni di vita istituzionalmente attiva, il nazionalsocialismo ha fatto danni a questa umanità come se si fosse trattato del più buio dei secoli o, peggio, dell’era più disumana che si possa annoverare nella storia dell’umanità stessa.

Ciò, proprio perché in un così breve lasso di tempo, grazie ad una congiuntura di fattori che ne hanno determinato la nascita, l’espansione e il consolidamento, la densità di orrori perpetrati contro una sterminata massa di popoli e su scala mondiale con la guerra che ne è derivata, non ha pari nel cammino che i sapiens hanno fatto dalla preistoria ad oggi.

Ma anche la notte più buia ha la sua fine, perché, almeno ancora per qualche miliardo di anni, il Sole continuerà a sorgere. Almeno quello attorno a cui giriamo senza sosta alcuna.

Ma non è affatto detto che il lume della ragione, unito alle ragioni dell’economia e degli interessi di un capitalismo sempre più vorace, possa schiarire la vita dei popoli con così regolare costanza, qualora dovessero nuovamente verificarsi tragedie come l’Olocausto del popolo ebraico e di tutte quelle persone ritenute da Hitler e dalla sua cerchia dei sottosviluppati, degli inferiori, degli scarti da eliminare fisicamente e in massa per far trionfare la superiorità di una razza su un’altra.

Il crinale che separò l’orrore del conflitto mondiale (almeno in Europa) e dello sterminio sistematico della “soluzione finale” dalla nuova società che si andava costruendo dopo la resa della Germania nel maggio 1945, almeno sul piano del diritto internazionale fu il primo processo di Norimberga.

Alla sbarra del tribunale delle potenze alleate e vincitrici vennero portati alcuni dei gerarchi nazisti più noti e che erano parte della cerchia ristretta che gravitava attorno al Führer.

Emblema del governo nazista, forse il protagonista in assoluto del processo visto all’ombra della svastica, il maresciallo del Reich Hermann Göring, i comandanti supremi dell’esercito e della marina (Wilhelm Keitel e il successore designato da Hitler nelle ultime ore dell’assedio di Berlino, il grande ammiraglio Karl Dönitz); ed ancora il già delfino del cancelliere, Rudolf Hess, l’architetto e ministro Albert Speer, uomini delle SS, ex ambasciatori e uomini meno compromessi col potere nazista.

La maggior parte dei grandi papaveri del Terzo Reich era finita prigioniera degli inglesi e degli americani, mentre ai russi, pur essendo toccato l’onore di conquistare Berlino ed issare la bandiera rossa con la falce e martello sulla cancelleria quasi completamente crollata sotto la furia dei bombardamenti, era rimasto invece un pugno di mosche in mano.

A parte Hitler, Himmler, Borman e Goebbels, passati a peggior vita con qualche fiala di cianuro morsa nel momento in cui si erano sparati (alcuni dopo aver tentato anche una ignominiosa fuga travestiti un po’ come Mussolini…), la cerchia del potere nazista poteva essere processata perché era scampata e sopravvissuta al grande lago di sangue e alla completa rovina della Germania ordinata dal Führer nelle ultime settimane dentro l’angusta claustrofobia del bunker.

Come spiega molto bene Eugene Davidson, nel suo meticoloso lavoro “Gli imputati di Norimberga” (nato col titolo originale “The Trial of the Germans” nel 1966), il primo dei processi che si tennero contro i vertici del nazismo era un unicum nella storia del diritto plurimillenario dello sviluppo umano su scala globale.

Non si erano mai formate corti internazionali perché non esisteva una legislazione internazionale, perché, almeno fino a far data dalla fine della Prima guerra mondiale, nessuna organizzazione, nemmeno la Società delle Nazioni, aveva sentito il bisogno e l’urgenza di processare dei criminali di guerra, dei capi di Stato e di governo per quella nuova categoria di reato che sarebbe stata definita come “crimini contro l’umanità“.

L’Olocausto e la persecuzione sistematica di popolazioni e genti appartenenti a precise categorie sociali, a gruppi etnici e nazioni giudicate inferiori dal terrore nazista, o aderente a credi filosofici, politici e religiosi, nonché segnata con i triangoli della vergogna per la propria sessualità, era una tristissima novità sul palcoscenico della Storia.

Mai così tanti milioni di individui erano stati massacrati in un lasso di tempo breve, con la motivazione aberrante del solo diritto della razza ariana tedesca di primeggiare su tutti gli altri popoli e, quindi, farsi largo eliminando chi la ostacolava. Il delirio contenuto nel “Mein Kampf” lasciava presagire che, una volta al potere, i nazisti avrebbero dato nazionalismo pangermanista un carattere virulento, aggressivo, apertamente antisemita.

Ma forse nessuno sarebbe stato in grado nemmeno di immaginare che, per quanto spietati e terroristici fossero i metodi delle camicie brune, l’Europa intera sarebbe stata trascinata nel baratro infernale che l’attendeva.

Caratteristica del nazismo, come di tutti i totalitarismi fascisti, è il fondare lo Stato che hanno in mente su una propaganda che mente costantemente e che regala bugie a pieni polmoni. Per questo, il compito del processo di Norimberga fu anche quello di fare luce, con un grande dispendio di forze, di studi e di elaborazioni critiche appena dopo la fine del conflitto, sulla intricatissima rete di potere che i nazisti avevano instaurato in Germania con l’avvento di Hitler al potere nel 1933.

Davidson ricostruisce nel suo libro non solo gli ultimi mesi dei ventidue criminali di guerra a giudizio delle potenze alleate, ma ne ripercorre le vite fin dal principio, per capire, con una vera dovizia di particolari attinti da un intreccio di dati che sono riportati meticolosamente nelle note e nella grande bibliografia che segue, quali siano stati i motivi che li hanno condotti ad aderire all’NSDAP. Molti di loro, con Baldur von Schirach, il capo delle “Hitlerjugend“, avevano alle spalle famiglie borghesi benestanti, le cui sorti si erano legate anche a paesi lontani come gli Stati Uniti e che, quindi, per metà, proprio per effetto dell’emigrazione, erano pure americani.

Lo stesso comandante in capo della marina da guerra tedesca, il grande ammiraglio Erich Raeder, aveva – come da tradizione nel reclutamento ufficiali – origini meno altolocate, ma sia lui sia Dönitz, non erano dei sottoproletari abbindolabili dal primo pittore fallito viennese che s’era messo a parlare nelle birrerie di Monaco di Baviera.

Lo stesso vale per i diplomatici e per ministri come Speer, oppure per lo stesso Göring. Tutti quanti sedotti da quella che Anna Harendt definì, con grande acume, “la banalità del male“. Perché a quella ideologia perversa, malsana e criminale si poteva dare la forma che più accattivava e, quindi, sfuggire alle contraddizioni della democrazia di Weimar che non aveva saputo reggere l’urto della crisi economica post-bellica, mentre l’inflazione galoppava e il popolo tedesco veniva ridotto alla fame e strangolato anche dai dettami del Trattato di Versailles.

Non ci sono però attenuanti, rileva Davidson, che possano essere invocate per ciò che il nazismo decise di essere e per ciò che, quindi, fu. Ogni scelta politica, tattica e strategica venne uniformata nel Reich al volere di Hitler, seguendo il Führerprinzip come principio ordinatore interno e come ispirazione assoluta per ogni attività che veniva pensata e concretizzata avanti il 1° settembre 1939 e nei cinque anni successivi…

Il lavoro di Davidson è una importante ricostruzione di quel crinale della Storia che separò le ere senza un diritto internazionale sui crimini di guerra da un inizio in tal senso e da tutti gli sviluppi che ne derivarono. Su come poi questo groviglio di normative venne costruito e istruito nelle diverse pieghe della storia del Novecento, vi sarebbe da discuterne e scriverne a lungo.

Iniziare a conoscere come, quando e perché venne posata la prima pietra di una legislazione che punisse le guerre di aggressione e i crimini contro l’umanità, è senza dubbio un buon primo passo per affrontare tutto quello che ne seguì. Nel bene e nel male…

GLI IMPUTATI DI NORIMBERGA
EUGENE DAVIDSON
NEWTON COMPTON EDITORI (ED. 2003, 2007, 2016)
€ 12,90

MARCO SFERINI

10 agosto 2022

foto: screenshot

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