Agenti italiani in Turchia, nei principali aeroporti e nei luoghi di imbarco lungo le coste, per realizzare controlli preventivi sui migranti. Poliziotti turchi nei punti di sbarco della rotta che viene da oriente, soprattutto in Puglia e Calabria, per interrogare chi arriva e dare la caccia ai presunti scafisti.
Un nuovo corridoio umanitario, cui lavorerà anche Caritas da fine mese, per portare al sicuro alcune centinaia di afghani bloccati in Turchia e nei paesi limitrofi. Sono i tre assi principali della cooperazione bilaterale sulle politiche migratorie siglata lunedì tra Mario Draghi e Recep Tayyp Erdogan.
Al 30 giugno scorso, dicono i numeri diffusi ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), gli arrivi dalla Turchia sono stati 5.856. Contro 15.187 dalla Libia, 5.843 dalla Tunisia, 472 dal Libano e 6 dalla Grecia. Dall’inizio dell’invasione russa, invece, i profughi giunti dall’Ucraina sono 145mila.
Ma non è a loro che pensava Draghi nella conferenza stampa finale del vertice intergovernativo di Ankara. «Sui migranti l’Italia è arrivata al limite», ha detto il primo ministro. In analisi matematica i limiti si possono calcolare da sinistra o da destra. Il premier evidentemente preferisce la seconda possibilità. Un po’ Marco Minniti, un po’ Matteo Salvini. Lo dicono i numeri.
A ieri gli sbarchi complessivi sono stati 29.852. Quando cinque anni fa l’allora ministro dell’Interno Pd Minniti disse che l’ondata migratoria gli aveva fatto «temere per la tenuta democratica del paese» erano più del triplo, 12.500 in un giorno solo: il 29 giugno. Alla fine del 2017 hanno raggiunto quota 119mila. La Costituzione è rimasta in vigore e il parlamento ancora aperto.
Anche guardando alle presenze nel sistema d’accoglienza italiano è difficile capire quale limite sia stato raggiunto: il 30 giugno scorso i cittadini stranieri ospitati erano 89mila, a fine 2017 oltre 183mila. La tesi di Draghi, che ricalca quella dei precedenti governi, è che gli altri stati Ue non facciano abbastanza.
I dati, però, dicono che la parte del leone sulle richieste d’asilo in Europa è di paesi dove non sbarca nessuno: quasi la metà delle 535mila domande del 2021 sono arrivate a Germania (148.200) e Francia (103.800). In Italia sono state 43.900, poco sopra la ben più piccola Austria (36.725).
Per non parlare della situazione in Turchia che, complice l’accordo anti-migranti con l’Ue, ospita il più alto numero di rifugiati al mondo: 3,8 milioni, il 4,4% della popolazione (dati Eurostat). Secondo il Centro Astalli lo scorso anno i profughi in Italia erano 128mila, lo 0,2% della popolazione.
A Draghi ha risposto ieri il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: «Sono parole gravi perché tornano sul frame dell’invasione e nascondono ancora una volta la completa inefficacia dei meccanismi di accoglienza del nostro paese. I fenomeni strutturali hanno bisogno di politiche strutturali».
Anche nella maggioranza le dichiarazioni del premier hanno sollevato malumori. Per Riccardo Magi (+Europa): «I veri limiti sono quelli al riconoscimento dell’asilo e al salvataggio in mare, la cui operatività effettiva ha enormi criticità. Resta poi il problema della normativa italiana sull’immigrazione. Persino un rappresentante leghista come Massimo Garavaglia dice che sono necessari più lavoratori stranieri. Ma per averli serve anche la possibilità di regolarizzarli».
Il deputato PD Erasmo Palazzotto ha dichiarato: «Dire “siamo arrivati al limite” in un momento storico come questo è un’offesa nei confronti di paesi che si stanno facendo carico di una vera emergenza. Una cessione a una narrazione populista che da parte di Draghi non mi sarei aspettato».
Invece l’ha pronunciata proprio accanto a Erdogan, l’ex «dittatore» diventato un prezioso alleato. Alla faccia di democrazia e diritti umani.
GIANSANDRO MERLI
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