Tra tutti i passaggi dirimenti di questo 2022 infuocato ancora dalla coda pandemica e dallo scoppio della guerra in Ucraina, dal riequilibrio geopolitico mondiale, con una Europa internamente divisa sulle sanzioni alla Russia, mentre avanzano i poli strategici asiatici e si riaffermano quelli dell’America del Nord, pare più che evidente che le elezioni amministrative italiane e i referendum sulla giustizia possano apparire ininfluenti davanti alla forza globale dei problemi appena accennati.
Ma, si sa, non di solo macrocosmo vive l’uomo e nemmeno ne vive la donna. Cosicché la politica italiana, raffrontata pure alle politiche transalpine, è ben poca cosa.
Si dirà, a parziale scusante, che, in fondo, siamo davanti ad una tornata di carattere locale, che non ha un respiro nazionale nel vero senso del termine e che neppure i referendum possiedono quel trascinamento emotivo che induce ad una partecipazione massiva. Tanto più se si tratta di argomenti molto tecnici, così specifici e difficili da disarticolare e rendere in parole povere alla generale comprensione della più ampia portata popolare.
Tutto assolutamente vero. Eppure, faremmo torto sia a chi ha lavorato con grande tenacia nei propri comuni per affermare le liste che sostiene, così come all’istituto referendario costituzionalmente previsto come esercizio nobile della sovranità di ogni cittadino, se liquidassimo il voto di domenica prossima come fosse una sorta di stanco rito dove tutto è già previsto e dove i risultati lasciano poco spazio ad una emozionante suspence, ad una atmosfera di incertezza che, a onor del vero, non regna per niente sovrana.
Importanti capoluoghi di regione e di provincia vanno alle urne e, differentemente dalle altre volte, l’eco di queste consultazioni è arrivato molto poco laddove non si vota.
Tanto meno è stata fatta per le strade, in televisione e sui maggiori mass media una campagna referendaria che veramente informasse le persone sui quesiti posti più che altro da un centrodestra, saldo in un non nuovo attacco alla magistratura, unitamente ai Radicali che, questa volta, hanno sbagliato obiettivo e, soprattutto, hanno scelto degli improbabili alleati su temi come il garantismo e la preservazione dei diritti degli imputati e dei rei.
Tanto è vero che i referendum, alla fine della fiera, sono stati proposti dai presidenti di regione leghisti, forzitalioti e affini. Per motivi tecnici, per quisquiglie di pastoie burocratiche, si dice chiosando, evitando le domande dei giornalisti e rimandando la questione alla legittimità dell’ultima spes, di una presentazione dei quesiti senza un vero sostegno popolare a monte.
Fatto sta che la politica italiana di inizio estate, con il Presidente del Consiglio pronto a rassicurare le istituzioni europee sulla fedeltà italiana alla linea atlantica anche sul piano economico espresso da Bruxelles, finisce per essere davvero molto poco eccepibile come modello di democrazia partecipata, bensì subita, mal tollerata. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni è, se non ai minimi storici, certamente non in stato di grazia.
Nemmeno le promesse del PNRR sono state un toccasana per il disagio sociale molto oltre l’incipienza decantata dai tromboni della maggioranza di unità nazionale. Messe nero su bianco dall’enfasi europea di fare sempre più affari su larga scala con le confindustrie nazionali senza però riuscire a produrre uno straccio di pianificazione economica continentale, a cominciare dalla risposta unitaria sulle sanzioni al regime di Putin, le cifre del piano magnificato dalla “maggioranza Ursula” hanno rallentato la loro corsa impantanate dall’imprevisto bellico.
La riconfigurazione economica dell’Unione europea, stretta tra due imperialismi che si fronteggiano in Ucraina, ha scombinato le certezze tanto della BCE quanto delle borse di mezzo mondo.
Non per niente, Christine Lagarde ha rotto quello che poteva diventare una sorta di tabu del liberismo del Vecchio Continente in questa fase: dopo un decennio di stabilizzazione del costo del denaro, da domani questo tornerà a salire. La valutazione della ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale è critica nei confronti di tutti quei provvedimenti nazionali (Italia compresa) che sono stati presi col rischio che aumenti l’inflazione e che si produca quello che il capitalismo internazionale teme più di ogni altra cosa: la “stagflazione“.
Le beghe della politica italiana, ancor più se locale e referendaria, finiscono così con l’essere davvero di poco interesse se, per tutte e tutti noi, i problemi economici si fanno pressanti, pesanti e ci occupano i pensieri da mattina a sera: il costo della benzina cresce e oltrepassa i due euro al litro; il grano, la farina, gli alimentari rischiano di seguire l’oro blu a stretto giro di posta; si vocifera di un autunno con aumenti di altro genere, oltre a gas e luce che sono già alle stelle…
Ce n’è abbastanza perché la democrazia repubblicana tiri il fiato e qualcuno provi a metterla pervicacemente da parte con azioni mascherate da pieno rispetto proprio della Costituzione. I temi trattati dai referendum ne sono già un chiaro esempio.
Se saranno battuti più dal menefreghismo popolare rispetto ad una consapevole scelta astensionista o da un NO ragionato, questa non potrà mai essere chiamata una vittoria delle argomentazioni contrarie al tentativo di pseudo-riforma della giustizia appoggiato dall’intero arco delle destre che, da sempre, hanno visto nel rigore dei magistrati degli attacchi alla libertà indiscriminata di azione di uomini e donne senza scrupoli che hanno fatto della politica uno strumento di difesa dei (non solo) loro profitti.
Probabilmente i toni e gli interessi verso le scelte elettorali muteranno col mutare della qualità delle consultazioni: le elezioni politiche del prossimo anno, a meno che la guerra non diventi veramente mondiale e il disastro non ci coinvolga in prima persona, saranno una ennesima prova della costruzione del quasi-nulla da una parte (per intenderci in quel centrosinistra che è ormai solo più centro) e di una proposta rinnovata di destra sovranista dall’altra parte.
L’appiattimento del riformismo sul punto di vista e sugli interessi del mercato liberista da un lato e dall’altro la capacità di reinventarsi come verginalmente nuovi con vecchi armamentari fascisti, nostalgie adeguate ai tempi e sostegni sempre maggiori da parte della borghesia imprenditoriale nazionale e di tutto un mondo dell’ultradestra conservatrice europea e nordamericana.
Il PD e i Cinquestelle non dimostrano al Paese di volersi spendere davvero per la salvaguardia dei diritti sociali, per la tutela del mondo del lavoro. Non possono farlo: il primo perché è nato per mettere insieme un trasversalismo culturale e politico che è anche negazione dello scontro di classe, propalazione di un progressismo infingardo che a parole sostiene i diritti più elementari e nei fatti approva tutte le politiche che servono a tutelare i grandi interessi, il regno delle imprese a cui viene affidata la rappresentanza sola dello sviluppo dell’intero Paese.
I lavoratori vengono lasciati in balia di quel precariato e di quell’incertezza di sopravvivenza che nasce ormai da lontano: dall’affondamento del movimento operaio organizzato politicamente nei grandi partiti di massa e sindacalmente nelle organizzazioni che sapevano discutere aspramente di come rapportarsi col padronato.
L’ultima speranza è la speranza stessa di riuscire a svelare un giorno l’inganno della politica del “meno peggio” e di una concretezza dei fatti che vengono contrapposti al presunto idealismo della sinistra comunista e di alternativa. La politica italiana necessita di un rinnovamento profondo, di una visione di lungo termine, di una programmazione sociale che le forze liberiste al governo non sono in grado di darle.
Continuando a pensare che il PD sia di centrosinistra e che i Cinquestelle rappresentino ancora – caso mai l’abbiamo davvero rappresentata – una rivoluzione politica che, nel migliore dei casi, si fermerebbe alla contestazione istituzionale del malaffare, all’organizzazione di un nuovo populismo adattato ai tempi.
La sinistra di alternativa deve avere altri obiettivi, rinsaldare il legame tra lavoro e rappresentanza politica dello stesso. Deve aggiornare questa interpretazione della moderna lotta di classe declinandola in un progetto costituente che riunisca le debolezze attuali e le trasformi in una forza capace di egemonizzare le coscienze, di ridefinire i programmi basandoli sui bisogni impellenti di un vasto disagio sociale che non può affidarsi alle destre per trovare una soluzione a sé stesso e nemmeno al fantomatico centrosinistra per superare le contraddizioni strutturali di questo sistema.
MARCO SFERINI
10 giugno 2022
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